Progetto Italia Federale

a cura di Francesco Paolo Forti
Il federalismo 
fiscale italiano
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 Ultimo aggiornamento: Gennaio 2002
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Federalismo fiscale italiano
Temi in discussione e proposte


Il dibattito sul federalismo fiscale italiano si sviluppa su questi temi:
  • finanza autonoma o distribuzione di tributi centrali?
  • finanziamento delle spese locali o rimborso di costi medi?
  • quali tributi assegnare ai membri della federazione, Imposte Dirette od Indirette?
  • i meccanismi di compensazione dei divari geo-economici
  • Dietro questi aspetti si fronteggiano due visioni: una ancora profondamente centralizzata che si coniuga con i timori del Sud di rimanere senza risorse, l'altra, più federalista, coniuga autonomia politica economica ed autonomia finanziaria in un quadro si sviluppo economico locale auto sostenuto, non drogato (anzi addirittura frenato) da ingenti trasferimenti di risorse.

    Per iniziare occorre esaminare i singoli aspetti del problema.

  • Distribuzione di tributi centrali.

  • Per attuarla serve una chiave di riparto, un meccanismo di calcolo.
    Inutile dire che serve l’accordo politico di tutti su questo calcolo e che la base di discussione o di scontro è sulla quantità di ricchezza tassata che deve tornare nel luogo in cui è stata prodotta da una parte e le necessità operative dall’altra.
    Visti gli ampi divari economici tra Nord e Sud si dice che un meccanismo del genere dovrebbe essere integrato da un meccanismo di compensazione degli squilibri.
    Questo sistema è adatto alla ipotesi "rimborso su costi medi".
  • Finanza autonoma.

  • Si tratta del sistema a finanze separate, nel quale, pur partendo da un sistema tributario coordinato ed armonizzato, si arriva ad una pressione fiscale diversa in ogni luogo, in quanto finalizzata solo al pareggio delle spese locali.
    È il metodo più classico per ottenere gettito dalla ricchezza prodotta in loco.
    Occorre vedere a questo punto quali tributi rendere periferici allo scopo di fornire gettito alle sovranità locali. Questo sistema è più indicato al finanziamento autonomo di enti sovrani ed è antitetico al sistema dei costi medi.
  • Sistema misto, finanza autonoma e tributi centrali distribuiti (compartecipazione al gettito).

  • Il rischio di un sistema misto è che se la maggioranza che governa il territorio federato è la stessa che governa la federazione, ci possa essere un indebito riversamento preferenziale di risorse centrali verso il territorio amico allo scopo di tenere bassa la fiscalità locale e di aver quindi un vantaggio elettorale. Un rischio presente anche oggi ma che in un sistema federale può assumere proporzioni molto più significative.
  • Sistema dei costi medi.

  • Si tratta di un rimborso alla periferia, tramite compartecipazione al gettito di tributi centrali, sulla base dei costi medi per le competenze locali. Se l'educazione è una competenza locale, si calcola un costo medio (per alunno) a seconda del tipo di scuola e si rimborsa questa cifra. Costi superiori saranno sopportati con la finanza locale. Se una comunità si trovasse a gestire bene ed economicamente una scuola (gestione virtuosa del bene pubblico) avrebbe sempre lo stesso rimborso, realizzando una plusvalenza che userebbe altrove. In un Paese con grandi divari economici è difficile calcolare dei costi medi. Si veda a proposito il grafico delle distribuzione geografica della ricchezza in Italia, all'interno di uno studio comparativo con alcuni paesi federali. Basti pensare alle spese di riscaldamento di un edificio scolastico, soggette a variazione stagionale e regionale. In questi casi c'è la tendenza a gonfiare il preventivo di spesa o a litigare sui criteri di determinazione dei costi medi. Il risultato potrebbe essere una defatigante concertazione ed un conseguente immobilismo, ben lontani dalle aspettative di amministrazione rapida ed efficiente di chi vuole il federalismo.
  • Finanziamento autonomo delle spese locali.

  • Ogni comunità determina con i suoi cittadini, nell'ambito delle materie di sua competenza, la qualità e la quantità della spesa, fatto salvo determinate caratteristiche minime di servizio imposte dalla federazione.


    Da questa breve elencazione risulta, a mio parere, che ci sono due sistemi ben distinti:

    il primo prevede:

  • la ridistribuzione di gettito raccolto centralmente e distribuito usando il criterio dei costi medi.
  • il secondo prevede:
  • la determinazione autonoma delle spese locali ed una raccolta tributaria autonoma in base al sistema a finanze separate. Ogni sovranità provvede al suo gettito, salvo eccezioni che si possono vedere in seguito.
  • Ogni sistema ha i suoi pregi ed i suoi difetti ed un sistema intermedio non è detto che sommi solo pregi; potrebbe presentare solo la somma dei difetti. Prima però di analizzare pro e contro della soluzione mista, vediamolo per le soluzioni distinte.

  • Ridistribuzione di gettito raccolto centralmente e distribuito usando il criterio dei costi medi
  • Elementi classificabili come pregi:
        1. non è necessario rivedere e ristrutturare a fondo il fisco. È opportuno solo provvedere ad una modifica di certe procedure in modo da aiutare la regionalizzazione e la localizzazione delle imposte (dirette o indirette a seconda della scelta). Questo può essere considerato un vantaggio, anche se in realtà un profonda riforma fiscale sarebbe da fare in ogni caso.
        2. Garanzia del gettito anche alle zone economicamente più povere. Questo sistema viene evidenziato partendo dalla ipotesi che la finanza locale sarebbe insufficiente per garantire i bisogni dei territori più poveri per cui sarebbe necessario un riversamento di ricchezza dalle zone più ricche verso le più povere, usando per questo tributi raccolti centralmente. In questo documento cercherò di determinare quanto questo sia vero oppure no.
    Elementi classificabili come difetti:
        1. Il costo medio può essere di difficile identificazione, in presenza di deviazioni standard elevate.
        2. Una volta determinato il costo medio per ogni servizio, non vedo meccanismi che inducano chi era sotto la media a continuare a risparmiare. Se chi era sopra la media lo era per pura inefficienza, può darsi che gradualmente inizi a risparmiare ma chi lo era per motivi oggettivi e non contemplati nel sistema di calcolo, continuerà a presentare costi superiori alla media. Ciò rende possibile che alla prossima determinazione del costo medio, questo salga. E’ un vantaggio per tutti, localmente, se l’importo riversato dal centro sale, per cui la pressione politica in questo senso sarà forte.
        3. Ecco quindi che sale la possibilità di accordi tra maggioranze centrali e locali per una suddivisione del gettito che sia dettata da favoritismi, sia nella determinazione delle quote riversate che nella celerità di tale riversamento.
        4. Sale anche la possibilità che il cittadino voti localmente la stessa maggioranza che c’è al centro, per non rischiare di perdere fette di tributi centrali e trovarsi con un inasprimento della finanza locale (un caso di voting with the feet).
        5. Questo capita soprattutto se la legge che regola la distribuzione del gettito è una legge ordinaria (votata quindi dalla maggioranza) e se manca una Camera territoriale paritetica, come quella del Senato americano o della Camera degli Stati svizzera.
        6. Mancanza di incentivo a darsi da fare per le zone povere, tanto c'è chi provvede

        1. Determinazione autonoma delle spese locali ed una raccolta tributaria autonoma in base al sistema a finanze separate.

        2.  

           

          Elementi classificabili come pregi:

        1. Premettendo che in una costituzione di tipo federale c’è sempre spazio per la determinazione di requisiti comuni e minimi di certi servizi fondamentali (ad esempio la gratuità della educazione obbligatoria), la determinazione locale della spesa responsabilizza i cittadini e li rende attenti alle scelte più delicate.
        2. Il fatto che le scelte locali debbano poi essere finanziate con una autonoma raccolta tributaria, aumenta il grado di responsabilizzazione del cittadino e si tenderà ad avere il massimo risultato con il minimo costo.
        3. La pressione fiscale è proporzionale alle scelte dei cittadini ed alle capacità di gestione della cosa pubblica. Non solo: più la gestione è virtuosa più può permettersi una riduzione della sua pressione e una maggiore potenza del suo tessuto imprenditoriale, che può peraltro essere indirizzato con ulteriori incentivi, da leggi generali, nelle aree più disgiate, realizzando così, anzichè un trasferimento di risorse passive, una creazione di centri di creazione di valore aggiunto là dove sono opportuni. Una buona gestione e una spesa accorta possono tradursi in una pressione fiscale moderata e quindi richiamare attività economiche.
    Elementi classificabili come difetti:
        1. La competizione fiscale può tradursi in degrado della qualità della spesa pubblica, sotto la pressione di un elettorato disposto a rinunciare a certi servizi pur di pagare meno imposte (ancora un caso di voting with the feet)
        2. Doppia imposizione fiscale.
        3. Dubbio sulla disponibilità reale in loco delle risorse economiche necessarie.
        4. È necessaria una profonda territorializzazione di molti tributi importanti.
        Problemi con il sistema misto: a seconda della preponderanza dei due sistemi in quello misto, prevarranno pregi e difetti degli uni e degli altri.

        L’attuale situazione italiana è quella di una netta preponderanza della finanza ridistribuita dal centro su quella autonomamente raccolta. Oggi in Italia la finanza locale autonoma di Comuni, Provincie e Regioni e pari al 38% circa delle sue necessità. Il resto viene come riversamento dal centro. Le necessità di spesa locale rappresentano in totale circa il 30% delle necessità dello Stato. Sul fronte opposto in Svizzera la finanza locale di Comuni e Cantoni è autosufficiente per un 95% e rappresenta inoltre il 64% della spesa pubblica totale. Entrambi possono essere considerati, teoricamente, sistemi misti, solo che il primo è a predominanza netta di tributi centrali ridistribuiti ed nel secondo invece è predominante la finanza locale. Una descrizione del sistema elvetico è contenuta nel documento "Federalismo fiscale svizzero".

        Tra i pregi ed i difetti non ho messo volutamente alcunché sulla competizione fiscale perché sono entrambi presenti e comunque in una economia di mercato la competizione, se ben regolata, è sempre un aspetto positivo.

        Il problema è ora, soggettivamente, di vedere quali effetti positivi si preferiscono e come minimizzare quelli negativi. Ciò che è da evitare, a mio modo di vedere, è un sistema misto al 50%. I punti positivi si indeboliscono mano a mano che la loro presenza si affievolisce e non c’è motivo quindi di cercare soluzioni perfettamente intermedie. La presenza residua di una componente in un sistema misto è più che altro giustificata dalla necessità di alleviare alcuni difetti.

        I punti negativi del sistema a costi medi e tributi centrali ridistribuiti sono tutti incentrati sul sistema dei costi medi. Infatti la parte relativa agli opportunismi politici tra maggioranze locali e centrali è facilmente superabile con una Camera a rappresentanza territoriale paritetica (uguale numero di rappresentanti indipendentemente dalla popolazione territoriale) e da un meccanismo di ripartizione che sia in qualche modo ancorato, nei concetti fondamentali, alla Costituzione, o comunque sottratto agli opportunismi della maggioranza di turno. È chiaro però che ciò introduce rigidità nel sistema ed il caso tedesco, dopo la riunificazione, è eclatante. Difficile invece, a mio modo di vedere, trovare rimedi ai difetti del sistema a costi medi. È chiaro che un rimborso di spese a piè di lista è ancora peggio. È il concetto di rimborso, a mio avviso, ad essere alieno ai concetti di federalismo e può essere adottato solo per quelle competenze centrali che la federazione riversa sui territori come se fosse un normale stato decentrato. Minore è questa parte, meglio è per la gestione della cosa pubblica.

        I difetti del sistema a finanze separate sono attenuabili in questo modo:

        1. La competizione fiscale può tradursi in degrado della qualità della spesa pubblica

        2. In questo caso ciò che conta è la responsabilità dei cittadino e la tipologia delle competenze locali. È esperienza personale che nel campo della educazione, che pur tocca solo alcuni contribuenti e non tutti, si cerca di dare il massimo e di non fare risparmi. Lo stesso accade per tutte quelle competenze che toccano da vicino il cittadino e che poi sono alla base del principio di sussidiarietà. Il cittadino che cerca casa, guarda prima ai servizi (scuola, trasporti, polizia, impianti sportivi) e poi guarda anche la pressione fiscale locale. Chi governa la cosa pubblica cercherà inoltre di fornire il massimo dei servizi, come qualità e quantità, al minimo dei costi. Prima di rinunciare infatti ad un servizio giudicato facoltativo, si tenterà di fornirlo in vari modi più economici. Gioca a questo punto la competizione tra territori. Se infatti a parità di pressione fiscale, un Comune riesce a fornire servizi migliori, sarà avvantaggiato e richiesto sia come residenza di persone fisiche che giuridiche.
          Come punto di incontro si ottiene un ottimo bilanciamento costi/benefici. In sintesi, sostengo che se il principio di sussidiarietà è stato ben adottato, questo pericolo non esiste localmente in quanto lì vengono assegnati i servizi più diffusi e richiesti dai cittadini. Il pericolo esisterebbe solo per le competenze centrali ma in questo caso i tributi federali (unici sul territorio) mettono al riparo da interpretazioni locali.
           
        3. Doppia imposizione fiscale.

        4. È evitabile con una normativa unica nazionale che identifichi il concetto di imponibilità e lasci localmente solo la libertà di determinare aliquote, soglie di esenzione ed importi delle deduzioni.
    Cantone
    Comuni (%)
    Cantone (%)
    Imposte dirette locali (%)
    Zugo 
    4.49 
    3.95 
    8.44 
    Zurigo 
    6.17 
    5.53 
    11.70 
    Glarona 
    1.84 
    8.30 
    10.14 
    Basilea Città 
    0.80 
    16.11 
    16.91 
    Ginevra 
    4.28 
    15.13 
    19.41 
    Nidvaldo 
    5.17 
    4.21 
    9.38 
    Basilea Campagna 
    4.09 
    8.41 
    12.50 
    Argovia 
    5.09 
    5.98 
    11.07 
    Vaud 
    5.62 
    8.13 
    13.75 
    Grigioni 
    6.04 
    6.25 
    12.29 
    Sciaffusa 
    5.99 
    6.50 
    12.49 
    Svitto 
    5.11 
    4.19 
    9.30 
    Friburgo 
    5.55 
    6.52 
    12.07 
    Soletta 
    7.04 
    6.50 
    13.54 
    San Gallo 
    5.66 
    6.27 
    11.93 
    Lucerna 
    6.40 
    5.59 
    11.99 
    Neuchatel 
    6.68 
    7.91 
    14.59 
    Turgovia 
    6.09 
    5.91 
    12.00 
    Ticino 
    6.53 
    10.04 
    16.57 
    Berna 
    6.92 
    7.14 
    14.06 
    Uri 
    3.79 
    6.77 
    10.56 
    Appenzello Est. 
    6.26 
    5.86 
    12.12 
    Obvaldo 
    7.45 
    3.75 
    11.20 
    Vallese 
    6.27 
    6.61 
    12.88 
    Giura 
    6.70 
    6.94 
    13.64 
    Appenzello Int. 
    6.22 
    6.71 
    12.93 
    Totale e medie 92 
    5.67 
    7.44 
    13.11 
    I dati, ordinati in base al PIL procapite decrescente, indicano che per gestire le competenze prima elencate è sufficiente garantire risorse tramite imposte dirette tra il 12% ed il 13% del PIL. Il rimanente, per arrivare al 20.8% è reperito tramite imposte indirette e tasse locali. Questo avviene per un numero veramente elevato di competenze ed è il risultato di decenni, se non secoli, di federalismo.
    Come si può osservare, l’andamento delle entrate tributarie locali svizzere è abbastanza costante e sopportabile, in rapporto alla ricchezza prodotta procapite, fatta eccezione forse per le due grosse città stato di Basilea e Ginevra.

    L'insieme delle spese dello Stato italiano (attorno al 50% del PIL) è superiore a quello elvetico (32%) ma le differenze maggiori sono nel campo della previdenza e del debito pubblico, che rimarrebbero federali. Tolte queste due dal bilancio italiano si arriva al 26% del PIL e togliendo la Difesa Nazionale e le altre classiche competenze federali (esteri, amministrazione generale dello Stato) si arriva al 22%.

    Questo è l'onere da finanziare localmente nella ipotesi di un federalismo completo, di stampo elvetico, tedesco od americano, in cui la maggior parte delle competenze viene assegnata a quelli che oggi sono gli enti locali. Si parte dal presupposto che poi, col tempo la gestione locale a finanze separate porti ad ottimizzazioni e risparmi (se non lo si pensa o non lo si considera un obiettivo, allora secondo me non vale nemmeno la pena di imboccare la via del federalismo) ma l'importo da finanziare può essere inizialmente posto pari al 22% per arrivare, con tempo e con le dovute riforme, centrali e locali, ad un 2% in meno.

    Lo studio della Ragioneria Generale dello Stato, assegna, in base a vari criteri attributivi, ad ogni regione italiana i seguenti tributi:

  • IRPEF (capitolo 1023)
  • IRPEG (capitolo 1024)
  • ILOR (capitolo 1025)
  • RITENUTE SUGLI INTERESSI E REDDITI DI CAPITALE (cap. 1026)
  • RITENUTE D’ACCONTO E A TITOLO DEFINITIVO SUGLI UTILI
  • DISTRIBUITI DA PERSONE GIURIDICHE (capitolo 1027)
  • IMPOSTA SUL PATRIMONIO NETTO (capitolo 1040)
  • IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO (capitolo 1203)
  • IMPOSTA DI BOLLO (capitolo 1205)
  • TASSE SULLE CONCESSIONI GOVERNATIVE (capitoli 1217 e 1238)
  • CANONI DI ABBONAMENTO ALLE RADIOAUDIZIONI E ALLA TELEVISIONE (capitolo 1216)
  • IMPOSTE DI REGISTRO, IPOTECARIE E CATASTALI, SUCCESSIONE E DONAZIONE E INVIM (capitoli 1201, 1210, 1239, 1243)
  • IMPOSTA SULLE ASSICURAZIONI (capitolo 1208)
  • TASSE AUTOMOBILISTICHE (capitoli 1219, 1232, 1235, 1236)
  • IMPOSTE SULLA PRODUZIONE, SUI CONSUMI E DOGANE
  • (capitoli 1409, 1411, 1421, 1460)
  • MONOPOLI (capitolo 1601)
  • LOTTO E LOTTERIE (capp. 1801 - 1809)

  • Il risultato di quella stima di regionalizzazione (che di fatto esclude solo i contributi previdenziali, che tuttavia sono quasi 1/3 delle entrate dello Stato) porta a queste due grandi suddivisioni, realizzate con i dati del 1994 convertiti in Euro di oggi.

    Imposte dirette (IIDD):

    Regione IIDD Milioni di €  %PIL IIDD 
    Valle D'aosta
    322 
    15.14 
    Lombardia
    28'091 
    17.50 
    Emilia
    11'295 
    16.23 
    Trentino
    2'033 
    12.98 
    Friuli
    3'005 
    14.98 
    Veneto
    10'444 
    14.30 
    Ligura
    4'150 
    15.23 
    Piemonte
    11'318 
    16.62 
    Lazio
    13'347 
    16.38 
    Toscana
    8'344 
    15.80 
    Marche
    2'845 
    13.88 
    Umbria
    1'476 
    13.40 
    Abruzzo
    1'931 
    13.33 
    Molise
    405 
    11.44 
    Sardegna
    2'208 
    12.70 
    Puglia
    4'909 
    12.24 
    Campania
    7'109 
    13.38 
    Sicilia
    6'157 
    13.18 
    Basilicata
    673 
    12.02 
    Calabria
    2'077 
    12.29 
    Totale
    122'139 
    15.27
    Il grafico sottostante illustra visivamente l'andamento della regionalizzazione delle imposte dirette in proporzione al PIL locale.
    Nota: una visione geografica di questi dati è visibile sul documento "Pressione fiscale regionale Diretta ed Indiretta"


    Imposte indirette
    Regione
    Indirette (Milioni di €) 
    % PIL Ind 
    Valle D'aosta
    285 
    13.39 
    Lombardia
    18'878 
    11.76 
    Emilia Romagna
    8'664 
    12.45 
    Trentino
    1'978 
    12.63 
    Friuli VG
    2'368 
    11.80 
    Veneto
    8'987 
    12.30 
    Liguria
    3'437 
    12.61 
    Piemonte
    8'335 
    12.24 
    Lazio
    9'840 
    12.07 
    Toscana
    7'147 
    13.53 
    Marche
    2'742 
    13.38 
    Umbria
    1'474 
    13.38 
    Abruzzo
    2'070 
    13.23 
    Molise
    445 
    12.58 
    Sardegna
    2'492 
    14.33 
    Puglia
    5'392 
    13.45 
    Campania
    7'285 
    13.71 
    Sicilia
    6'942 
    14.86 
    Basilicata
    725 
    12.94 
    Calabria
    2'649 
    15.68 
    Totale
    102'133 
    12.75 
    Il grafico sottostante illustra visivamente l'andamento della regionalizzazione delle imposte indirette in proporzione al PIL locale.
    Nota: una visione geografica di questi dati è visibile sul documento "Pressione fiscale regionale Diretta ed Indiretta"

    Come si vede da ambedue le grandi suddivisioni emerge che le regioni possono accedere ad una quantità proporzionata di risorse autonome. Ad esse deve essere aggiunto la imposizione locale (ICI, quote di tasse automobilistiche, contributi sanitari ecc) che già oggi costituiscono il 5.7% del PIL. Sommando le imposte dirette (15.27%) ai tributi locali (5.7%) si ottiene un 21% che rappresenta una ottima approssimazione al 22% stimato come necessario. Una piccola parte di imposte indirette, pari all'1% del PIL, riversata dal centro in modo proporzionale alla popolazione residente potrebbe determinare il quadro ottimale di copertura per un quadro "elevetico", e quindi elevato, di competenze locali. Riducendo queste ultime può essere ridotta, di conseguenza anche la necessità di prelievo fiscale autonomo.


    Imposte Dirette o Imposte Indirette?

    Come si vede dai dati riportati e dal grafico, le imposte indirette hanno al Sud un gettito in rapporto al prodotto interno lordo che è superiore a quello della media del Nord e del Centro. Questo perché si tratta di imposte, come l'IVA, con una alta aliquota fissa e quindi altamente regressive, che agiscono cioè, come la Flat-Tax, colpendo maggiormente le regioni più povere, quelle in cui una alta quota di reddito si trasforma in consumo e viene colpito dalla imposizione indiretta. Il maggior peso al Sud delle imposte indirette è visibile in questo grafico:


    Vista l’alta percentuale di evasione però questi dati vanno presi con estrema cautela. Nulla vieta di pensare che al Nord si evada molta IVA e che al Sud si evadano maggiormente le Imposte Dirette. Inoltre lo studio in questione elenca le varie difficoltà incontrate nel tentativo di regionalizzazione delle varie imposte e gli artifici fatti per aggirare i problemi ed arrivare ad una stima attendibile.

    Assegnare ad un meccanismo a finanze separate le imposte indirette, significa implicitamente prevedere che le aliquote si modifichino sul territorio in funzione delle necessità di cassa. Questo è poco auspicabile in quanto grosse aziende si vedrebbero costrette a gestire una elevata quantità di aliquote territoriali. Inoltre lo studio della RGS sottolinea come sia difficile regionalizzare le imposte indirette, attribuire cioè ad ogni regione l'IVA di competenza. L'IVA ricavata dalla vendita degli autoveicoli prodotti a Melfi, ad esempio, dove dovrebbe essere contabilizzata?

    Le imposte dirette si prestano invece meglio ad essere "localizzate" in quanto c'è annualmente un modulo di dichiarazione che può essere usato allo scopo di chiarire alcuni aspetti deterritorializzazione di alcuni redditi. Ad esempio nel caso del federalismo fiscale svizzero i redditi ottenuti fuori dal Comune e dal Cantone di residenza non vengono tassati internamente ma dalle altre sovranità fiscali (con le loro aliquote) realizzando così una ripartizione di imposte che distribuisce in modo equo le imposte sui redditi dove questi sono prodotti. Le imposte dirette inoltre si prestano benissimo nel fornire un gettito "modulato" secondo le necessità di cassa, utilizzando aliquote locali, soglie di esenzione e deduzioni calibrate con il pil procapite locale e quindi più aderenti alla realtà ed alle necessità sociali di ogni territorio.

    Per questo motivo mi pare di poter concludere che nella ipotesi di federalismo fiscale a finanze separate le imposte più adatte ad essere assegnante alle nuove sovranità fiscali locali, partendo anche dai Comuni, siano proprio le imposte dirette.

    Le imposte indirette, assieme ai contributi previdenziali, rimarrebbero come fonte di gettito per le spese federali e per il settore pensionistico.

    Il fatto che ogni regione appaia dotata di risorse sufficienti (se proporzionalizzate al PIL) consiglia che, come avviene nei paesi federali, le spese locali siano anche loro proporzionali alla ricchezza prodotta localmente. Ciò significa, ad esempio, che anche gli stipendi dei dipendenti locali non saranno più stabiliti a livello centrale ma, pur partendo dalla odierna base comune, seguiranno andamenti diversi di luogo in luogo. In generale si può immaginare che al Nord ci sia un incremento dei salari degli stipendi pubblici, legato al maggior costo della vita e che questo si rifletta gradualmente in un inasprimento della pressione fiscale al Nord. Parimenti al Sud ci sarà una sostanziale tenuta degli attuali livelli (non immagino una loro diminuzione) e ciò aumenterà la concorrenzialità fiscale del Sud e ciò può richiamare insediamenti produttivi al Sud, se nel frattempo si fanno gli opportuni investimenti nelle strutture e nella sicurezza.



    La compensazione finanziaria.

    Contemporaneamente occorre osservare che se ogni regione pare dotata di risorse autonome sufficienti, occorre vedere se ciò rimane vero al loro interno. Dentro grosse regioni ci sono infatti notevoli differenziazioni di reddito e gettito e ciò accade anche dentro le province, dove il divario città campagna si sente maggiormente. La soluzione a questi divari interni è la stessa di quelli precedentemente esaminati. Un sistema a finanze separate proporzionalizzato al reddito locale rende attrattivo un territorio dal punto di vista fiscale. Nel caso in cui, in piccoli centri, mancassero le risorse minime per mettere in funzione una organizzazione di governo autonomo del territorio, allora possono subentrare i meccanismi di compensazione tra territori.
    Questi seguono il principio di sussidiarieta' per cui partono dal basso, dalle esigenze locali.

    Primo livello: la compensazione intercomunale.

    Partendo da un sistema a finanze separate in cui le spese sono finanziate principalmente dal gettito delle imposte dirette, fatti gli opportuni riparti territoriali d'imposta, è relativamente semplice calcolare un indice di potenzialità economica di ogni Comune di una certa Provincia (la sommatoria degli imponibili PF e PG) ed integrare tramite un fondo orizzontale le eventuali deficienze oggettive; quelle sopra una certa soglia comunemente determinata a livello provinciale.

    Oltre al fondo di tipo orizzontale può intervenire un fondo verticale, ad opera della Provincia.

    Secondo livello: la compensazione interprovinciale.

    A questo punto è possibile calcolare un pari indice per le province di una determinata regione, determinato e regolato da una legge regionale. Anche in questo caso si possono adottare fondi orizzontali e verticali. Questo consente non solo una compensazione tra le province siciliane ma anche che avvenga una compensazione all'interno della Lombardia, in cui esistono notevoli differenze di reddito e quindi di gettito, anche se nessun territorio si rivela essere sotto una soglia minima di potenzialità economica. In alternativa si potrebbe attuare una compensazione interprovinciale a livello nazionale, saltando il livello regionale.

    Terzo livello: la compensazione interregionale.

    E' il livello finale, che permette una compensazione orizzontale tra regioni ed una verticale dallo stato verso le regioni. Seguendo il principio di sussidiarietà questo livello sarebbe decisamente ridotto, in quanto la maggior parte delle deficienze di gettito sarebbe già stata appianata nei passaggi precedenti. Per questo sarebbe forse più razionale unificare il secondo ed il terzo livello in uno unico o rinunciare al terzo.

    La metodologia sussidiaria, qui esemplificata, è esattamente l'opposto di quanto ora si dibatte al livello nazionale. Infatti le proposte di discussione partono da fondi nazionali, senza prima aver calcolato la potenzialità locale, e quindi finiscono con ipotizzare grossi fondi che risulterebbero poi troppo gravosi per chi dovrebbe versare e poco virtuosi per chi dovrebbe ricevere.



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    Nota: all'inizio di gennaio 2002 ho provveduto a convertire in Euro i vecchi importi che erano espressi in Lire italiane.
    Gli importi di questo documento si riferiscono tuttavia ad un periodo in cui l'Euro non era ancora in vigore.
    Molti importi in Lire erano stati calcolati sulla base di un rapporto di cambio Franco/Lira prossimo a 1'200 lire per un Franco svizzero e l'importo risultante dal calcolo di allora è stato oggi diviso per 1936,27 per avere le cifre in Euro.