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L’ECONOMIA SOMMERSA, PROBLEMI DI MISURA E POSSIBILI EFFETTI SULLA FINANZA PUBBLICA

Audizione del presidente dell’Istituto nazionale di statistica

V COMMISSIONE BILANCIO - CAMERA DEI DEPUTATI -

ROMA, 16 LUGLIO 1998


SOMMARIO

1. Introduzione
2. Principali definizioni
3. I diversi approcci alla misurazione dell’economia sommersa
4. L’approccio alla misurazione dell’economia sommersa nell’ambito della contabilità nazionale italiana
5. Alcune specifiche iniziative dell’Istat
6. Il peso del sommerso
7. Un esercizio di quantificazione dell’impatto sui contributi sociali
8. Conclusioni


1. Introduzione

Nei mesi scorsi, in diverse occasioni, la stampa italiana e quella internazionale hanno diffuso cifre sull’economia sommersa, risultati di analisi di varia impostazione e provenienza, che hanno creato non poca confusione sull’interpretazione dei fenomeni economici ed hanno provocato un certo imbarazzo agli Istituti di statistica europei, attualmente impegnati proprio nello sforzo di assicurare una migliore copertura statistica delle attività produttive.

Nel mese di aprile 1999 entrerà in vigore il nuovo Sistema europeo dei conti e sarà effettuata una revisione generale delle serie di contabilità nazionale in tutti i paesi dell’Unione europea.

Per quella data, ogni paese dovrà verificare il grado di completezza delle proprie stime, con particolare riguardo all’economia sommersa, e l’esercizio verrà effettuato attraverso metodologie comparabili a livello internazionale.

Non sono in grado di anticipare se questa azione di verifica condurrà a modifiche significative del PIL dei vari paesi, anche se è irrealistico pensare che possano avere una entità paragonabile alle cifre diffuse dalla stampa. Ciò che mi interessa anzitutto in questa occasione è chiarire la portata e la qualità del lavoro già fatto in questo campo, i cui risultati sono già incorporati nei nostri conti, e indicare le direzioni nelle quali si sta procedendo per il prossimo futuro. Per sgomberare il campo da possibili incomprensioni, è utile confrontare l’approccio usato dall’Istat con quello di altri studi recenti, partendo da una precisa individuazione delle definizioni sottostanti al fenomeno dell’economia sommersa.

2. Principali definizioni

Nel sistema dei conti nazionali (SNA 93) vengono stabiliti i principi per l'identificazione dell’economia sommersa, finora caratterizzata da contorni molto confusi; infatti, nelle analisi, vengono utilizzati spesso, come sinonimi, termini diversi: economia sommersa, economia nascosta, economia ombra, economia informale ecc.. Rifacendoci ai concetti dello SNA 93 è possibile chiarire i confini del problema e fornire le definizioni che vengono adottate per l'elaborazione dei conti nazionali. In essi devono essere comprese sia le attività produttive che sono direttamente osservate e registrate, sia quelle non direttamente osservate. Naturalmente questo vale all'interno della frontiera di produzione definita nello SNA, secondo il quale, ad esempio, le attività di produzione di servizi svolte all'interno della famiglia dai relativi membri non vengono considerate.

L’ Economia non (direttamente) osservata (da qui in avanti ENO) include le seguenti principali aree, per le quali esistono problemi di misurazione statistica: illegale, sommersa, informale.

Nello SNA 93 troviamo definizioni dell’economia illegale e sommersa (SNA 93: 6.30-6.36), e strumenti attraverso i quali è possibile identificare il settore informale.

Le attività illegali sono quelle proibite dalla legge (ad esempio, la produzione di droghe), o che possono essere legali considerate in sé ma non allorchè siano condotte da soggetti non autorizzati (ad esempio, la pratica di una professione senza autorizzazione). La produzione illegale è quindi classificata in due categorie:

                            (1.a) produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono proibiti dalla legge;

                            (1.b) attività produttive legali realizzate da persone non autorizzate.

Entrambi i tipi di produzione sono inclusi all’interno della frontiera di produzione del Sistema dei conti a patto di essere veri e propri processi produttivi che risultino in beni e servizi per i quali esista un’effettiva domanda sul mercato.

Nel raccomandare l’inclusione delle attività illegali all’interno della frontiera di produzione, lo SNA fa una distinzione chiara tra le transazioni per le quali esiste mutuo consenso tra compratore e venditore (ad esempio la vendita di droghe o di merce rubata, la prostituzione), che sono incluse, e le altre attività dove tale accordo manca (ad esempio, l’estorsione, il furto), che sono escluse.

Bisogna infatti prestare attenzione al fatto che un’attività illegale può essere o produttiva o redistributiva; soltanto la prima ha un impatto sulla stima del PIL, mentre la seconda non implica creazione di valore aggiunto.

L’economia sommersa indica l’insieme della produzione legale di cui la pubblica amministrazione non ha conoscenza per diverse ragioni:

                               (2.a) evasione fiscale (delle imposte sul reddito, sul valore aggiunto o di altre tasse);

                              (2.b) evasione di contributi sociali;

(2.c) non osservanza di regole dettate dalla legge relativamente a: salario minimo, numero massimo di ore di lavoro, sicurezza sul lavoro, ecc.;

(2.d) mancato rispetto di norme amministrative, come nel caso della mancata compilazione dei questionari statistici o di altri moduli amministrativi, ecc..

Le attività sommerse possono far parte del sommerso economico, che comprende le attività caratterizzate dalla deliberata volontà di non rispettare le norme di legge (non penale) al fine di ridurre i costi di produzione, oppure del sommerso statistico, che comprende le attività non rilevate a causa delle inefficienze del sistema statistico, della mancanza di sensibilità statistica delle unità istituzionali (privati, società, ecc.) cui è richiesta la compilazione dei questionari statistici o della effettiva difficoltà di cogliere unità produttive non ostensibili, cioè non identificabili in specifici luoghi di lavoro (ad esempio ambulanti, liberi professionisti, consulenti, ecc.).

Il confine tra sommerso e produzione illegale può essere a volte sfumato. Anche se il PIL dovrebbe tenere conto di entrambi (a patto, come già detto, che si tratti di veri e propri processi produttivi che risultino in beni e servizi per i quali esista un’effettiva domanda sul mercato, SNA 93: 6.31), è comunque utile a fini operativi distinguere tra i due concetti, per quanto arbitraria possa essere tale distinzione.

Per chiarire questo punto, occorre aggiungere due ulteriori osservazioni: la mancanza di autorizzazione amministrativa non è sufficiente per definire un’attività come illegale: bisogna distinguere tra diversi tipi o livelli di attività in contrasto con la legge. Da una parte, l’illegalità in senso stretto si riferisce ad atti di violazione della legge penale. D’altra parte, l’illegalità in senso lato si riferisce alle attività che infrangono la legge attraverso la violazione di norme riguardanti tasse, contributi sociali, alcuni standard legali come il salario minimo, il numero massimo di ore lavorative, norme sanitarie e di sicurezza, ecc..

Dato che le leggi differiscono da stato a stato, la distinzione tra le diverse categorie di ENO si deve collocare in ogni specifico contesto e, anche per un medesimo stato, si deve riferire ad un dato momento o periodo di tempo. Il caso dell’aborto, tratto dall’esperienza italiana, è significativo. Prima del 1978, l’aborto in Italia era illegale e le relative attività non venivano registrate nei conti nazionali. Dopo quella data, la legalizzazione ha condotto all’inclusione nelle stime di contabilità nazionale della produzione dell’industria sanitaria e della spesa delle famiglie per aborti legali; ne è conseguìto un incremento (anche se di entità contenuta) sia della produzione sia della spesa sanitaria. Un altro esempio è la eventuale legalizzazione della produzione e dell’uso di droghe leggere.

Da questi esempi si può comprendere l’importanza di descrivere ciò che è considerato produzione illegale in ciascun paese in un dato momento, così da garantire la comparabilità delle stime di contabilità nazionale nello spazio e nel tempo.

Per definire il settore informale, lo SNA 93 fa riferimento a unità istituzionali produttive caratterizzate da:

                              (3.a) basso livello di organizzazione;

                              (3.b) poca o nessuna divisione tra lavoro e capitale;

(3.c) relazioni di lavoro basate per lo più sull’occupazione occasionale, parentela o relazioni personali e sociali, in contrapposizione ai contratti formali. Queste unità appartengono al settore famiglie e non possono essere associate ad altre unità produttive. In esse, il proprietario è totalmente responsabile per tutti gli obblighi finanziari e non finanziari contratti per l’attività produttiva in questione. Non c’è bisogno di sottolineare che le attività informali non vengono necessariamente svolte per evadere le tasse o i contributi sociali, mentre è questo invece il motivo sottostante il sommerso non registrato per ragioni economiche.

Sulla base delle leggi in vigore in ciascuno stato, si può identificare questo settore ad esempio considerando la dimensione delle unità produttive e/o le caratteristiche della legislazione (che potrebbero non prevedere alcun obbligo di registrazione presso le autorità pubbliche).

La stesura della nuova versione dello SNA e il successivo aggiornamento del Sistema europeo dei conti (SEC 95) hanno contribuito in modo determinante alla chiarificazione del concetto di attività sommersa. Esso costituisce il punto di riferimento per le stime di contabilità nazionale effettuate dai singoli Istituti di nazionali statistica, particolarmente in ambito europeo, ed è uno dei presupposti per garantirne la massima omogeneità ed esaustività.

3. I diversi approcci alla misurazione dell’economia sommersa.

Data la particolarità dell’oggetto di misurazione, è palese la difficoltà di definire una metodologia unica. L’insieme delle tecniche e degli approcci utilizzati nei diversi paesi è determinato, oltre che dal sistema di informazioni statistiche disponibili, o che è possibile predisporre, anche dalle caratteristiche con le quali il fenomeno si presenta.

I diversi approcci, che hanno dato luogo a differenti stime del peso dell’economia sommersa in Italia e negli altri paesi, possono essere classificati in quattro categorie:

  1. metodi diretti basati sulla raccolta di informazioni statistiche e/o amministrative presso le imprese e le famiglie: controlli fiscali e indagini speciali sulle famiglie sono i principali strumenti utilizzati;
  2. metodi indiretti basati su modelli econometrici: all’interno di questa categoria possiamo collocare l’approccio monetario che si propone, pur con diverse articolazioni, di stimare l’ampiezza dell’economia sommersa attraverso la relazione che si ipotizza esistere tra quest’ultima e le variazioni della velocità di circolazione della moneta. L’idea sottostante a questo approccio è che quella parte di transazioni sui beni e servizi nel sistema economico che sfugge all’osservazione e alla misurazione statistica possa essere quantificata grazie alle informazioni derivanti dalle statistiche finaziarie;
  3. metodi indiretti che si basano sulla integrazione tra fonti, ossia sulla possibilità di misurare lo stesso aggregato economico usando fonti informative che lo osservano da differenti punti di vista, come quello della produzione e del consumo. Le eventuali discrepanze tra le diverse stime possono costituire il punto di partenza per misurare le attività sommerse;
  4. metodi misti che utilizzano combinazioni dei precedenti metodi e si basano altresì su informazioni raccolte presso esperti di settore.
Tra i più recenti studi sull’economia sommersa che hanno avuto una notevole risonanza a livello internazionale si ricordano quelli effettuati da Bizeur (1995), Deloitte e Touch (1997) e Schneider (1997), citati in nota 1. I risultati di questi lavori hanno costituito la base informativa principale per il rapporto Flynn (Aprile 1998) sul lavoro non dichiarato, un documento ufficiale della Commissione europea.

Si è di fronte, in questi casi, a analisi che utilizzano approcci e impostazioni teoriche molto diverse tra loro i cui risultati, quindi, non sono facilmente e direttamente comparabili. L’approccio usato da Bizeur, che si colloca nel filone dell’analisi delle discrepanze (tra dati fiscali e dati statistici, tra dati di offerta e domanda), cerca di quantificare quanta parte dell’economia sommersa sia compresa nei conti nazionali, assumendo, cioè, che le stime ufficiali riescano a cogliere questo fenomeno. Deloitte e Touch e Schneider adottano due differenti varianti dell’approccio monetario alla misurazione dell’economia sommersa. Secondo entrambi, i dati ottenuti rappresentano stime non comprese nei conti ufficiali, che dovrebbero quindi essere aggiunte a questi ultimi; essi danno, in definitiva, una misurazione dell’economia non osservata che potrebbe comprendere anche una quantificazione della quota di economia illegale.

3.1 Alcune considerazioni sullo studio di Schneider.

Come si è detto il lavoro di Schneider, che ha avuto nel nostro paese numerose riprese giornalistiche, si colloca pienamente nell’ambito dei metodi indiretti ed utilizza in particolare un approccio basato sulla domanda di moneta (currency demand approach), nell’ipotesi secondo cui le transazioni dell’economia sommersa avvengono per cassa, in modo da non lasciare "tracce" nel sistema bancario.

La domanda di denaro esercitata dall’economia sommersa viene quindi misurata partendo dalla stima econometrica di una funzione di domanda complessiva di moneta, in cui sono considerate tutte le variabili che tradizionalmente la spiegano: livello dei prezzi, valore e dinamica delle transazioni, consuetudini di pagamento, tassi di interesse.

L’ammontare di domanda di moneta che non è spiegato dai fattori convenzionali, bensì da variabili quali il crescente carico fiscale e l’iperregolazione dello stato, viene quindi attribuita all'economia sommersa. In particolare, le variabili esplicative del residuo, utilizzate da Schneider sono quattro:

Il metodo della domanda di moneta va incontro a molteplici obiezioni (del resto già indicate e discusse dallo stesso Schneider ma raramente richiamate dalla stampa), fra le quali segnalo le seguenti: Va anche ricordato come i regolamenti per cassa potrebbero riferirsi non soltanto alle attività dell’economia sommersa in senso stretto, ma anche a quelle dell’economia illegale, le cui transazioni non costituiscono prodotto sommerso e non sono quindi considerate nell’ambito dei conti nazionali.

Sul piano dei risultati, ricordiamo le conclusioni alle quali Schneider perviene:

  1. il peso dell’economia sommersa sarebbe in rapida crescita nell’ultimo quarantennio: da meno del 5% del PNL nel 1960 ad oltre il 10% nel 1994;
  2. i paesi dove risulterebbe più elevata l’incidenza del sommerso nel 1994 sarebbero l’Italia (25,8% del PNL), il Belgio (21,4%), la Svezia (18,3%), la Norvegia (17,9%) e la Danimarca (17,6%), mentre essa sarebbe più ridotta in Svizzera (6,2% nel 1994), in Austria (6,7%) e negli Stati Uniti (9,4%).
3.2 Il programma dei lavori sull’esaustività e la situazione negli altri paesi

L'elevata incidenza dell'economia sommersa in quasi tutti i paesi europei, quale emerge dallo studio di Schneider, ha destato non poche perplessità nei paesi interessati, i quali, da tempo, nell'ambito delle stime di contabilità nazionale, effettuano rettifiche e integrazioni per tenere conto del fenomeno. Nella relazione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla applicazione della direttiva PNL (direttiva del Consiglio 89/130 sulla fissazione del prodotto nazionale lordo ai prezzi di mercato), presentata nel 1996, sono passate in rassegna le rettifiche e gli aggiustamenti finora effettuati, che appaiono di entità diversa nei vari paesi. All’adeguamento sistematico della Francia, quantificabile in un 12% di cui 4 punti circa attribuibili al sommerso economico, fa riscontro quello dell’1% dei Paesi Bassi. Grecia, Portogallo e Lussemburgo hanno, negli scorsi anni , condotto a termine revisioni che hanno prodotto rivalutazioni del PNL rispettivamente del 20%, del 10% e del 15%, imputabili in parte ai miglioramenti nelle fonti statistiche.

Nella stessa relazione si fa cenno ai lavori che si intende effettuare nell'ambito del progetto Eurostat sull'esaustività. Quest'ultimo è un programma di lavori basato su un atto giuridico della Commissione (decisione della Commissione europea 94/168/EC, Euratom del 22 febbraio 1994), attraverso il quale ci si propone di affrontare il problema della completezza delle stime di contabilità nazionale (e quindi della copertura dell'economia sommersa), utilizzando un apparato metodologico integrato per le procedure di stima degli aggregati presenti nei conti. La metodologia è basata prevalentemente sull'integrazione e l'incrocio delle fonti statistiche ed è tale da garantire un elevato grado di confrontabilità internazionale.

I risultati dei lavori sull'esaustività verranno resi noti in occasione dell'adozione del nuovo sistema europeo dei conti (SEC 95), prevista per l'aprile del 1999. Per quanto riguarda l'Italia, il sistema dei controlli contemplato dal programma sull'esaustività è parte integrante del processo di costruzione delle stime, che viene descritto nel paragrafo successivo.

4. L’approccio alla misurazione dell’economia sommersa nell’ambito della contabilità nazionale italiana

La metodologia utilizzata dall’Istat consente una stima esaustiva dell'economia osservata e non osservata, ad eccezione dell’economia illegale. Ex-post, e soltanto in misura parziale, è possibile arrivare all’individuazione delle diverse componenti dell’economia non osservata. La metodologia è documentata; esiste quindi la possibilità di ripeterla nel tempo e di replicare i procedimenti per una determinata stima.

Vediamo ora come la stima dell’economia non osservata si inserisca nelle valutazioni di contabilità nazionale. I metodi di stima della produzione e del valore aggiunto sono diversificati per branca di attività economica, in vista di ottenere migliori risultati in termini di copertura del fenomeno. Si distinguono cinque approcci:

  1. stime ottenute tramite il prodotto tra quantità e prezzo, usate per i settori agricolo, energetico e per parte delle costruzioni;
  2. stime ottenute attraverso la spesa, usate per la restante parte delle costruzioni, per locazioni e servizi privati d’insegnamento e ricerca, sanità, spettacolo e servizi ricreativi;
  3. stime ottenute tramite assemblaggio diretto di voci di costi e ricavi derivate dai bilanci, usate per i settori del credito, assicurazioni e per alcune branche in cui risultino prevalenti le aziende pubbliche;
  4. stime ottenute a partire dai redditi distribuiti, usate per i servizi non di mercato;
  5. stime ottenute tramite il prodotto fra numero di unità di lavoro e valori medi pro-capite; in questo caso, si stima il livello complessivo dell’input di lavoro impiegato nella produzione e si correggono i valori pro-capite per l’eventuale sottodichiarazione. E’ il metodo utilizzato in prevalenza per l’industria manifatturiera e la maggior parte dei servizi privati.
Circa il 70% del valore aggiunto delle branche nelle quali è ipotizzabile l’esistenza di attività sommersa è stimato utilizzando l’ultimo approccio. In questo ambito, l’Istat considera l’utilizzazione di lavoro non regolare nel processo produttivo e la sottodichiarazione della produzione i due aspetti che maggiormente caratterizzano la componente sommersa dell’economia.

Le metodologie generali descritte in precedenza sono sostenute anche da indagini speciali. Queste mirano ad acquisire informazioni dirette e/o indirette sull’economia sommersa in particolari settori di attività economica nei quali si ritiene particolarmente significativa la presenza del fenomeno. Sono state impostate indagini campionarie relative alla spesa delle famiglie per specifici servizi. Queste informazioni sono utilizzate per verificare l’esaustività delle stime per le diverse branche, sostenendo l’integrazione nel procedimento della quantità di lavoro utilizzata, se e dove si presentasse una incongruenza tra quantità di servizi prestati e, appunto, quantità di lavoro necessaria per la loro realizzazione. Le principali indagini effettuate sono relative a:

Altre indagini e fonti vengono impiegate per verificare l’esaustività in relazione ad altri settori economici: E’ anche opportuno ricordare che, per il settore agricolo, sono inclusi nella componente regolare dell’occupazione soltanto coloro che hanno svolto attività lavorativa per oltre 180 giornate nell’anno e nella componente non regolare i braccianti ed i giornalieri oltre, ovviamente, gli stranieri non regolari e gli occupati non dichiarati.

L’informazione raccolta relativamente all’economia non osservata viene integrata nella base statistica usata per stimare i flussi economici e finanziari nelle diverse fasi del circuito del reddito. Il bilanciamento finale dei conti economici rende il sistema coerente e permette di individuare eventuali altre attività non registrate in modo simmetrico.

Le stime dell’input di lavoro mirano a quantificare in modo esaustivo due insiemi fondamentali:

  1. input di lavoro regolare, cioè impiegato in luoghi di produzione riconoscibili (unità locali, negozi, cantieri, ecc.) e, se alle dipendenze, registrato nei libri paga, quindi trattato secondo le norme vigenti in materia retributiva, previdenziale e fiscale;
  2. input di lavoro non regolare, cioè impiegato in luoghi di lavoro non riconoscibili o, se alle dipendenze, non registrato nei libri paga.
L’input di lavoro non regolare è ottenuto per somma di quattro categorie di occupati: Le stime sono particolarmente complesse e si basano su numerose fonti statistiche. Le principali, dal lato delle imprese, sono il censimento dell’agricoltura, il censimento dell’industria e dei servizi (in genere ogni dieci anni), le indagini annuali sui conti economici delle imprese, le indagini annuali per l’aggiornamento dello schedario delle imprese, le indagini mensili sugli indicatori del lavoro nelle grandi imprese dell’industria e dei servizi. Le fonti principali dal lato delle famiglie sono: il censimento della popolazione (ogni dieci anni) e le indagini trimestrali sulle forze di lavoro.

La tecnica di stima dell’input di lavoro prevede i seguenti passaggi:

Si richiamano qui le operazioni di maggiore complessità, rinviando per gli approfondimenti ad Istat, La nuova contabilità nazionale, Roma, 1990.

Riguardo al primo passaggio, l’operazione più importante è la riclassificazione per luogo di lavoro (e non per luogo di residenza) degli occupati dichiarati dalle famiglie. Il riallineamento temporale non è invece particolarmente rilevante, in Italia, poiché i censimenti della popolazione e delle imprese si svolgono nello stesso periodo, durante il quale, peraltro, cade anche una delle rilevazioni trimestrali dell’indagine sulle forze di lavoro.

Il secondo passaggio è particolarmente delicato poiché si deve procedere alla riclassificazione per attività economica di coloro che si sono dichiarati occupati. Per avvicinare quanto più possibile le dichiarazioni delle famiglie e delle imprese, i dati dell’occupazione rilevati presso le imprese vengono riorganizzati secondo filiere di produzione, rispetto alle quali le possibili errate indicazioni delle famiglie trovano una prima compensazione. Successivamente, un apposito algoritmo che opera sempre a livello delle filiere di produzione elimina le residue differenze.

Propedeutico all’integrazione delle fonti di domanda e di offerta è il controllo di coerenza fra le stime degli aggregati rilevanti derivati dal censimento della popolazione con gli intervalli di confidenza per gli stessi aggregati ricavati attraverso l’indagine sulle forze di lavoro. L’assunto del confronto è che, a parità di campo di osservazione dei fenomeni, di riferimento temporale e spaziale delle fonti, in assenza di distorsioni per errori e, infine, in assenza di utilizzazione di lavoro non regolare e di doppio lavoro, le posizioni lavorative rilevate presso le imprese debbano eguagliare il numero delle persone che si sono dichiarate occupate nelle indagini presso le famiglie. Il confronto è effettuato ad un congruo livello di dettaglio territoriale e di attività economica e se ne ottengono stime dei vari segmenti di occupazione. In particolare, gli occupati sono definiti: regolari, per il numero che eguaglia quello delle posizioni lavorative; irregolari equivalenti a tempo pieno, allorché risultino in eccesso rispetto al numero di posizioni lavorative. Sono considerate posizioni di doppio lavoro quelle che eccedono il numero di occupati.

Per la stima del doppio lavoro sono utilizzate anche altre fonti informative, in modo da cogliere le prestazioni che sono svolte in unità produttive non visibili o in branche nelle quali la metodologia base appena descritta non ha sufficiente capacità diagnostica (in generale, per i servizi forniti da singoli professionisti).

Dalle indagini sulle forze di lavoro sono direttamente rilevate le persone che, pur dichiarandosi non occupate, indicano di aver svolto alcune ore di lavoro nella settimana di riferimento.

Infine, il numero di stranieri non residenti occupati è stimato in base ad elaborazioni su informazioni del Ministero degli Interni.

L’input di lavoro regolare è assegnato alla pertinente fascia dimensionale di imprese, mentre l’input di lavoro non regolare è assegnato esclusivamente alle imprese più piccole, da 1 a 19 addetti.

I valori medi pro-capite dei diversi aggregati da moltiplicare per l’input di lavoro sono stimati tramite le indagini sui conti economici delle imprese. Esse sono annuali, totalitarie per le imprese con più di 19 addetti, campionarie per le imprese più piccole. I valori pro-capite sono sottoposti a procedure di controllo e normalizzazione le quali, nel caso delle stime della produzione e del valore aggiunto relative alle imprese con meno di 20 addetti, sono di particolare delicatezza, poiché mirano a correggere sottodichiarazioni di fatturato, in particolare determinate da indicazioni relative alla remunerazione del lavoro indipendente inferiori al reale. L’ipotesi alla base della correzione è che la remunerazione del lavoratore indipendente di una specifica impresa non possa risultare inferiore a quella media dei dipendenti operanti nel complesso delle imprese della stessa fascia dimensionale e dello stesso settore di attività economica.

Le stime preliminari degli aggregati della contabilità nazionale sono successivamente inserite in uno schema input-output, attraverso il quale è ottenuto il bilanciamento dei conti. Alle stime di ogni aggregato economico e al quadro intermedio della matrice sono assegnati, sulla base delle fonti utilizzate e dell’esperienza precedente, specifici gradi di attendibilità. Le discrepanze che, in definitiva, si riscontrano nei conti economici vengono eliminate in base ad una procedura automatica che tiene conto del grado di attendibilità assegnato alle stime iniziali, privilegiando quelle per le quali esso risulta più elevato.

In definitiva, secondo la metodologia adottata dall’Istat, l’esaustività non viene conseguita aggiungendo all’economia osservata le stime dei diversi segmenti dell’economia non osservata. Conseguentemente, risulta difficile distinguere fra attività informali (incluse fra le unità non registrate), sommerso economico (incluso anch’esso fra le unità non registrate e presente, inoltre, a causa del fenomeno della sottodichiarazione) e sommerso statistico (incluso fra le unità non registrate).

Analizzata la metodologia e individuate le componenti che attualmente si è in grado di distinguere, è utile verificare i legami tra la stima del l’economia sommersa e alcune misure caratteristiche del mercato del lavoro fornite dall’indagine sulle forze di lavoro (FL) quali i tassi di occupazione, di disoccupazione e di attività.

Esaminiamo separatamente i quattro segmenti del lavoro non regolare:

Individuata la componente che potrebbe influire sui tassi forniti dalle FL, si è cercato di valutare se l’effetto si scarichi sui tassi di disoccupazione (nel caso le persone si siano dichiarate disoccupate all’indagine FL) o sui tassi di attività (nel caso si siano dichiarate non attive: pensionati, casalinghe, studenti). Possiamo a questo scopo utilizzare le informazioni che si stanno costruendo per la revisione dei conti nazionali in fase di realizzazione, le quali mostrano che la maggioranza di occupati irregolari si è dichiarata tra la popolazione non attiva e solo il 30% circa tra i disoccupati. Una completa riconciliazione tra le due stime porterebbe dunque ad una correzione al rialzo, per la verità molto contenuta, nei tassi di attività, e ad una più importante ma non radicale correzione al ribasso del tasso di disoccupazione.

In questi anni, l’approccio seguito dall’Istat è stato oggetto di studio e di attenta analisi da parte dell’Eurostat nell’ambito dei lavori volti a verificare l’attendibilità, la completezza e la confrontabilità delle stime del prodotto nazionale lordo (PNL) tra i paesi membri della Comunità europea. Il metodo italiano è stato valutato positivamente riguardo all’obiettivo di garantire un soddisfacente grado di completezza delle stime del PNL, tanto che, nel quadro del programma di lavoro sull’esaustività di tali stime al quale si è accennato in precedenza, l’Eurostat lo ha indicato per il controllo dei risultati ottenuti mediante altri metodi di stima dell’economia irregolare. D’altronde, nell’ambito dell’attività di cooperazione statistica con i paesi in transizione, la metodologia italiana ha trovato vasto apprezzamento e si è affermata come uno degli strumenti più corretti per la stima dell’economia non osservata o non osservabile.

5. Alcune specifiche iniziative dell’Istat

5.1 Un tentativo di rilevazione diretta del lavoro non regolare in Sicilia

Una sperimentazione di rilevazione diretta del lavoro non regolare è stata effettuata, in collaborazione con la fondazione Curella, in Sicilia. Si è ricorso a due diversi strumenti: con una prima rilevazione si è tentato di valutare la percezione della diffusione del fenomeno tra un gruppo ristretto di operatori; la seconda rilevazione ha fornito elementi quantitativi e qualitativi sull’entità del lavoro non regolare da un punto di vista fiscale e contributivo.

In particolare, la prima rilevazione, condotta attraverso circa cento interviste rivolte ad un gruppo selezionato di operatori, ha avuto lo scopo di ottenere informazioni generali sul fenomeno e sulle sue dimensioni; gli stessi operatori sono stati usati come tramite per entrare in contatto con un insieme di soggetti che prestavano attività lavorativa in forma non regolare. Questa seconda indagine ha riguardato circa 700 individui, sebbene i questionari utilizzabili siano risultati un po’ meno numerosi. I dati raccolti sono stati riportati all’universo, mediante le informazioni disponibili attraverso l’indagine corrente sulle forze di lavoro.

Il questionario rivolto ai soggetti che svolgevano attività di tipo non regolare ha seguito in parte proprio l’impostazione della rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro. L’aspetto di novità è rappresentato dall’insieme di domande sul numero di attività svolte dall’intervistato, sulla continuità o discontinuità dell’attività, sul luogo di lavoro (ufficio, negozio, stabilimento, domicilio, altro), sulla eventuale remunerazione della prestazione lavorativa, sul grado di soddisfazione associato alla remunerazione, sulla regolarità contributiva, sul compenso desiderato. Il quesito che caratterizza l’indagine è però quello con il quale il soggetto intervistato è stato invitato a qualificare la propria attività lavorativa, principale o secondaria, come regolare o non regolare rispetto alle normative fiscali, previdenziali e assistenziali. In particolare, è stato richiesto all’intervistato: se lavoratore dipendente, di definire l’eventuale irregolarità della propria prestazione, specificando se dovuta a mancanza di un regolare contratto di lavoro, a una remunerazione oraria dichiarata inferiore a quella percepita, a un numero di giornate lavorate superiore a quello dichiarato dal datore di lavoro; se lavoratore indipendente, di esplicitare la visibilità della propria attività lavorativa, indicando se fosse o meno iscritto al registro presso le camere di commercio, ad albi professionali od altro.

I risultati dell’indagine hanno consentito di stimare per il 1995 che il 34,3% delle posizioni lavorative in Sicilia risultano non regolari. Si tratta in prevalenza di persone che si definiscono, secondo le categorie previste nell’indagine corrente sulle forze di lavoro, in cerca di occupazione o non attivi. Soltanto l’11% degli intervistati che si definiscono occupati dichiara di svolgere un’occupazione non regolare.

L’attività non regolare si caratterizza per esprimersi con un tempo di lavoro ridotto: il 65,3% dei lavoratori dichiaratisi non regolari lavora meno di 30 ore settimanali. Essa coinvolge prevalentemente lavoratori dipendenti occupati nel settore terziario. Gran parte degli intervistati indicano che la non regolarità è collegata alla mancanza del contratto di lavoro. Il 26,9% degli occupati ha dichiarato di svolgere una seconda attività lavorativa, che risulta in prevalenza non regolare (62,7%). La seconda attività è in genere autonoma e svolta nel settore terziario.

I dati di contabilità nazionale, a parità di campo di osservazione, attestano che in Sicilia la quota di posizioni lavorative non regolari è pari al 38,4%. La differenza riscontrata con la stima attuale dà conto della difficoltà di utilizzo del metodo diretto di rilievo dell’occupazione non regolare. D’altro canto, un’analisi dettagliata della struttura e delle motivazioni del lavoro non regolare è possibile solamente utilizzando fonti dirette quali quelle sperimentate per l’esperienza qui riferita.

5.2 Il progetto Istat-CNR

L’Istat ha recentemente varato un progetto di ricerca, cofinanziato dal CNR e per il partner universitario dal MURST, da svolgere nell’arco del biennio 1998-1999, finalizzato a cogliere, con strumenti diversi dalla rilevazione sulle forze di lavoro, forme di occupazione non inquadrate in un rapporto di lavoro fisso o comunque istituzionalizzato e forme marginali.

L’obiettivo del progetto è quello di arrivare alla definizione di strategie e strumenti di indagine, utili a cogliere meglio le dimensioni del lavoro sommerso, che possano essere in parte recepiti in un’indagine corrente quale la rilevazione trimestrale delle forze di lavoro (RTFL), o che possano comunque integrarla.

Attualmente, è in corso di progettazione la realizzazione di un’indagine-pilota con le seguenti caratteristiche:

5.3 La revisione dei dati di contabilità nazionale

Nell’autunno del corrente anno l’Istat porterà a termine la revisione delle stime dell’occupazione di contabilità nazionale, in adempimento alle decisioni della Commissione europea relative ai controlli sull’esaustività delle stime del PIL e alla necessità di adottare il nuovo Sistema europeo dei conti (SEC 95). Le nuove stime, data la sostanziale congruenza di quelle attualmente fornite alle nuove definizioni adottate a livello internazionale, scaturiscono da un modello concettuale analogo a quello implementato nella precedente revisione. Gli obiettivi che ci si propone di raggiungere ora sono i seguenti:

Tutto ciò consentirà di fornire stime migliori che potranno mettere in luce più appropriatamente le attività connesse alla dissimulazione fraudolenta delle attività economiche e consentire di descrivere i principali segmenti che caratterizzano il mercato del lavoro degli anni ‘90.

6. Il peso del sommerso

6.1 La distribuzione settoriale e territoriale dell’occupazione sommersa

Nel 1997 sono state stimate 28,7 milioni di posizioni lavorative e 22,2 milioni di unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (ULA), di cui regolari rispettivamente circa 17,9 milioni di posizioni lavorative e 17,2 milioni di ULA. Complementarmente, risultano non regolari 10,8 milioni di posizioni lavorative e 5 milioni di ULA. Rispetto al 1985 sono stati registrati una diminuzione dell’1,8% per le ULA ed un aumento dello 0,5% per le posizioni lavorative: rispetto al 1990 anche queste ultime hanno registrato una perdita, essendo passate da 29,4 a 28,7 milioni (-2,5%). La componente regolare dell’occupazione stimata dalla contabilità nazionale costituisce, nel 1997, il 62,4% delle posizioni lavorative ed il 77,4% delle ULA, contro il 62,7% e il 77,5% del 1985.

Il conseguente lieve incremento del peso delle posizioni e delle ULA non regolari è dovuto principalmente alle categorie del secondo lavoro e degli stranieri non residenti ed ha riguardato soprattutto il settore dei servizi, per il quale nel 1997 si è verificato, rispetto al 1985, un incremento dell’11,3% delle posizioni lavorative non regolari e del 9,2% delle corrispondenti ULA.

La componente non regolare dell’occupazione si concentra nel settore agricolo e in quello dei servizi privati (compresi i servizi non vendibili prestati alle famiglie): nel 1997 sono state stimate rispettivamente circa 5,0 e 4,4 milioni di posizioni lavorative pari a 1,3 e 2,6 milioni di ULA, mentre nell’industria la stessa componente raggiunge circa 1,4 milioni di posizioni lavorative e 1,1 milioni di ULA.

Nel settore agricolo la forte incidenza della componente non regolare è determinata dalla presenza dei braccianti. Nel 1997 le posizioni lavorative e le unità di lavoro non regolari del settore costituiscono rispettivamente il 46,0% ed il 25,5% del totale stimato per l’intera economia: in particolare, la componente del secondo lavoro copre il 55,3% in termini di posizioni (pari a 3,9 milioni) ed il 27,6% in termini di ULA (pari a 486 mila unità) rispetto al secondo lavoro stimato per l’intera economia.

Il settore dei servizi occupa il 76,4% dell’intera componente dei lavoratori non residenti in termini di posizioni lavorative (per la forte presenza di stranieri non residenti tra i collaboratori domestici) ed il 40,1% delle posizioni lavorative multiple.

Per quanto riguarda la componente del lavoro irregolare in senso stretto, la concentrazione maggiore si registra nel settore dell’industria che, nel 1997, assomma a 900 mila posizioni irregolari ed altrettante ULA, corrispondenti al 37,4% delle posizioni irregolari dell’intera economia ed al 40,3% delle corrispondenti ULA.

Le stime del lavoro regolare e non, effettuate a livello territoriale, risentono delle differenze strutturali che caratterizzano le diverse aree del paese e mostrano come il fenomeno assuma un peso maggiore nel Mezzogiorno e presenti lì una differente composizione.

Occorre segnalare che le disaggregazioni territoriali delle stime della contabilità nazionale, per i tempi tecnici con i quali si rende disponibile la base statistica indispensabile, vengono prodotte con un ritardo di due anni rispetto alla conclusione dell’esercizio e peraltro non sono allineate con le stime aggiornate riferite all’intero territorio nazionale.

Limitando l’analisi a due macro-aree (Centro-nord da una parte e Mezzogiorno dall’altra), si nota che, nel 1995, le posizioni lavorative non regolari costituiscono il 31,5% al Centro-nord contro il 50,8% registrato nel Mezzogiorno, pari, in termini di ULA, al 18,0% nel Centro-nord e al 33,6% nel Mezzogiorno.

Rispetto al 1985, la componente non regolare dell’occupazione del Centro-nord ha assunto un peso maggiore; nel 1985, infatti, essa costituiva il 30,9% in termini di posizioni ed il 17,5% in termini di ULA.

Nel Mezzogiorno le posizioni lavorative e le ULA sono complessivamente diminuite rispetto al 1985 (rispettivamente –3,4% e –5,0%); la diminuzione ha riguardato sia la componente regolare sia quella non regolare.

Sia nel Centro-nord sia nel Mezzogiorno, la componente non regolare dell’occupazione si concentra nel settore agricolo ed in quello dei servizi.

Nel Centro-nord le posizioni lavorative non regolari del settore agricolo sono 2,4 milioni (pari a 570 mila ULA) e quelle del settore dei servizi raggiungono 3 milioni (pari a 1,7 milioni di ULA): in entrambi i settori la componente più rilevante è quella del secondo lavoro in termini sia di posizioni (78,3% in agricoltura e 23,3% nei servizi) sia di ULA (38,0% agricoltura e 11,3% servizi). Per quanto riguarda l’industria, la componente non regolare più importante è rappresentata dagli irregolari in senso stretto che costituiscono il 7,9% delle posizioni e l’8,4% delle ULA.

Nel Mezzogiorno le posizioni lavorative non regolari del settore agricolo sono 2,6 milioni e nel settore dei servizi 1,3 milioni; in entrambi i settori la componente più importante è quella del secondo lavoro che rappresenta il 65,6% dell’occupazione agricola ed il 21,1% di quella dei servizi. In termini di ULA, i livelli di occupazione non regolare raggiungono 744 mila e 841 mila unità rispettivamente nei due settori. La componente più rilevante è costituita dagli irregolari in senso stretto che costituiscono il 55,1% delle ULA nell’agricoltura, il 14,0% delle ULA nei servizi ed il 34,9% delle ULA nell’industria.

6.2 Una valutazione in termini economici

Come si è già accennato, è possibile effettuare soltanto valutazioni ex-post circa l’incidenza delle diverse componenti dell’economia non osservata sulla stima del valore aggiunto. Un esercizio è stato svolto per l’anno 1988, relativamente all’intera economia e all’industria in senso stretto. Il risultato è illustrato nel prospetto seguente:

Fonte
Valore aggiunto (%)
Riferimento
 
Intera economia
Industria in senso stretto
 
diretta 
81
75
Economia osservata
Sottodichiarazione
3
2
Sommerso economico
occupazione non regolare
8
7
Classificabile in tutte le componenti dell’economia sommersa e informale
riclassificazione e aggiornamento di archivi 
2
5
Sommerso statistico
mancata risposta
3
11
Sommerso statistico
altre (costruzioni, istituzioni sociali varie, servizi domestici, bilanciamento, ecc.)
3
-
Classificabile in tutte le componenti dell'economia sommersa e informale

Dalla tabella emerge che, relativamente all'anno 1988, il complesso delle integrazioni pesava per circa il 19% sul valore aggiunto dell'intera economia e per circa il 25% su quello dell'industria in senso stretto. Gran parte di queste integrazioni è sicuramente attribuibile all'esistenza di sommerso statistico (carenze nell'aggiornamento degli archivi, mancate risposte): circa il 5% per l'intera economia, il 16% per l'industria in senso stretto. Le rettifiche per sottodichiarazioni pesano rispettivamente per il 3% e il 2 %, quelle per il lavoro sommerso l'8% e il 7%, ma non sono riconducibili al solo sommerso economico.

Per ottenere una stima più esauriente del valore aggiunto attribuibile al sommerso economico è necessario dettagliare, per quanto possibile, la quota relativa all’occupazione non regolare. Un esercizio è stato fatto per l'industria in senso stretto. Per questo settore la quota di valore aggiunto corrispondente al volume di lavoro classificato come non regolare è pari a circa il 7%. Utilizzando la descrizione precedentemente introdotta circa le varie componenti del lavoro non regolare e assumendo l’ipotesi di equi-produttività delle stesse, il valore aggiunto dovuto al lavoro non regolare si può ripartire in misura proporzionale alle rispettive unità di lavoro. Al sommerso economico ed al settore informale possono essere attribuite le prime tre componenti del lavoro non regolare ed in particolare:

La quota di valore aggiunto riconducibile a queste tre categorie risulta quindi pari al 5,8%. Il relativo input di lavoro è circa il 9% del totale.

Il doppio lavoro, che pesa per l’1,8% delle unità di lavoro e per l’1,2% del valore aggiunto, è riconducibile invece sia al sommerso economico (per la quota determinata da lavoratori in "nero"), sia al settore informale (ad esempio, per la quota di familiari coadiuvanti), sia al sommerso statistico (per la presenza di due o più posizioni lavorative per lo stesso lavoratore).

Se si sommano le componenti di valore aggiunto relative alla sottodichiarazione (2%) e alla quota di lavoro non regolare riconducibili al sommerso economico o all'economia informale (6%) si ottiene, per l’industria in senso stretto, un’incidenza sul totale pari a circa l’8%.

Le rettifiche indicano il risultato ottenuto nell’esercizio di esaustività e quindi nella valutazione dei diversi segmenti dell'economia non osservata. Se, accettando l'impostazione di Schneider, si dovesse ipotizzare l'esistenza di un ulteriore quota di ENO non presa in considerazione e si operassero, rispetto al PIL dell'Italia e a quello degli altri paesi, le rettifiche suggerite nel suo studio, si arriverebbe a delineare un quadro a dir poco sorprendente i termini di confronti internazionali e di compatibilità interne. In primo luogo, la graduatoria dei paesi rispetto al Pil ne verrebbe fortemente alterata e l'Italia risulterebbe più produttiva della Francia. Anche in termini di reddito pro-capite, la posizione dell'Italia si attesterebbe su livelli particolarmente elevati rispetto alla media europea e di conseguenza migliorerebbe presumibilmente in modo sensibile, la posizione di alcune regioni meridionali, attualmente classificate come aree depresse (anche se la ripartizione a livello regionale della rivalutazione proposta da Schneider non risulta un esercizio possibile). Inoltre, occorrerebbe comprendere se tutta questa ricchezza sommersa comportasse una drastica riduzione del tasso di disoccupazione e/o un forte aumento di forze di lavoro sulla popolazione attiva, oppure una forte rivalutazione della produttività del lavoro; in entrambi i casi, le conseguenze in termini di coerenza con i dati demografici a livello territoriale o con i dati economici a livello settoriale risulterebbero devastanti.

7. Un esercizio di quantificazione dell’impatto sui contributi sociali.

La quantificazione dell’impatto che l’emersione delle attività irregolari (sommerso economico) potrebbe avere sulla finanza pubblica è un esercizio di estrema complessità. Non soltanto sarebbe necessario disporre di stime specifiche del sommerso economico (distintamente da quello statistico), con un elevato grado di dettaglio settoriale e per tipologia di operatore, che soltanto in futuro, una volta concluse le attività di revisione della contabilità nazionale, saranno possibili, ma sarebbe anche necessario poterne dedurre informazioni omogenee sulle corrispondenti basi imponibili fiscali. L’esercizio è ulteriormente complicato dal fatto che la principale imposta diretta del sistema tributario italiano, l’IRPEF, è una imposta progressiva sul reddito complessivo delle persone fisiche, a costituire il quale concorrono diverse componenti che, nella realtà, possono essere in parte regolari e dichiarate e in parte irregolari non dichiarate. Ricostruire il reddito effettivo del soggetto fiscale per poter applicare l’aliquota adeguata di imposta è un’operazione non praticabile al livello di aggregazione al quale opera la contabilità nazionale.

Oltre a quanto appena osservato, è anche da ricordare che può essere fuorviante quantificare in modo deterministico l’impatto dell’emersione, senza ricorrere ad un modello sufficientemente sofisticato che tenga conto delle inevitabili retroazioni che avrebbe la soggezione al normale regime fiscale-contributivo delle attività che attualmente ad esso sfuggono. E’ infatti presumibile che molte di esse, una volta assoggettate agli obblighi di legge, uscirebbero dal mercato o risulterebbero comunque ridimensionate. Di conseguenza, gli effetti finali per la finanza pubblica non sono determinabili a priori e al limite, in alcuni comparti, potrebbero anche risultare negativi.

I dati aggregati della contabilità nazionale sono stati più volte utilizzati per fare dei confronti con le fonti fiscali (posso citare, ad esempio, il lavoro di Bernardi e Bernasconi e le analisi del gruppo di lavoro istituito presso il SECIT) e dedurre stime dell’evasione, ma senza specifico riferimento all’economica sommersa, per le stesse difficoltà che ho illustrato in precedenza. E’ invece vietato normativamente che dati statistici individuali possano essere utilizzati per confronti con dati fiscali pure individuali.

Tenuto conto di ciò e con le cautele necessarie, si è effettuato un esercizio di stima con riferimento ai contributi sociali gravanti sui redditi da lavoro dipendente, sia per la quota a carico del datori di lavoro sia per quella a carico del lavoratore.

I margini di errore nella quantificazione dell’impatto sulla finanza pubblica dell’assoggettamento a prelievo contributivo delle retribuzioni percepite dai lavoratori non regolari sono più limitati, rispetto a quelli cui si andrebbe incontro nel caso delle imposte dirette o indirette, poiché le aliquote sono indipendenti dal livello di reddito a cui si applicano, e non variano sensibilmente per le diverse tipologie di attività comprese all’interno delle singole branche di attività economica. Inoltre, la base imponibile sommersa è conosciuta con sufficiente livello di approssimazione e dettaglio, costituendo un sottoprodotto del procedimento di stima dell’ENO, descritto nel paragrafo 4.

Correntemente, la contabilità nazionale esegue stime delle retribuzioni lorde regolari e non regolari e degli oneri sociali gravanti su quelle regolari a livello di 92 branche produttive, anche se, per motivi di significatività statistica, esse vengono diffuse in modo più aggregato (44 branche). Ai fini della stima dell’ammontare dei mancati prelievi contributivi sul datore di lavoro, per ciascuna delle 92 branche è quindi possibile calcolare le aliquote implicite (al netto della fiscalizzazione) come rapporto fra oneri e retribuzioni regolari, ed applicarle alle stime correnti delle retribuzioni lorde non regolari. Tale calcolo è stato eseguito distintamente per classe dimensionale di impresa. Per quanto riguarda i contributi a carico del lavoratore sono state considerate le aliquote di legge per le principali categorie comprese nelle branche produttrici di beni e servizi destinabili alla vendita e sono state quindi applicate alle corrispondenti retribuzioni lorde non regolari.

Sono stati ottenuti i seguenti risultati:

Per quanto riguarda gli oneri sociali a carico dei lavoratori autonomi, le difficoltà nell’eseguire stime attendibili ed analitiche della massa reddituale sottratta agli obblighi contributivi consigliano di non estendere ad essi l’esercizio proposto per il lavoro dipendente. Tuttavia, in base alle evidenze che emergono da alcuni studi eseguiti in passato, esterni all’Istat, è possibile affermare che la sottrazione di gettito contributivo attribuibile al lavoro autonomo dovrebbe risultare proporzionalmente più elevata di quella afferente i redditi da lavoro dipendente.

Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte relativamente alle imposte indirette e dirette. Tenuto conto delle numerose cautele raccomandate dagli stessi studiosi che hanno effettuato stime in materia (fra le altre ricordo quelle prodotte dal Gruppo di lavoro per il confronto fra dati fiscali e dati di diversa fonte che ha operato presso il Ministero delle Finanze nel 1996, e quelle di Luigi Bernardi e Michele Bernasconi già citate), sembra lecito ritenere che la sottrazione di gettito tributario da attribuire al sommerso economico sia superiore alla soglia del 9-10% stimata per i contributi sociali sui redditi da lavoro dipendente.

8. Conclusioni

Il lavoro di studio e di analisi sul quale sono state fondate le metodologie descritte in precedenza e l’aderenza di queste ultime ai concetti e alle definizioni del nuovo SNA/SEC hanno consentito all’Istat di assumere una posizione leader in campo internazionale per le stime dell’economia sommersa.

Attualmente, nell’ambito dei lavori di revisione delle stime di contabilità nazionale che si svolgono sulla base delle informazioni censuarie degli anni 1990-1991, si sta procedendo ad un miglioramento delle metodologie, a partire dall’integrazione delle diverse fonti. Ciò consentirà di stimare le varie componenti dell’economia non osservata. In altri termini, all’interno dell’approccio descritto e attraverso l’arricchimento con nuove fonti informative, potranno essere sviluppate analisi per specifici settori economici, aree territoriali e manifestazioni del sommerso.

Serie storiche: UNITA DI LAVORO, POSIZIONI LAVORATIVE