Progetto Italia Federale

a cura di Francesco Paolo Forti
Scelta tra Provincia e Regione come base del federalismo italiano
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 Ultimo aggiornamento: Gennaio 2002
 

Indice del documento

Obiettivo.
 1) Obiettivi di una organizzazione federale dello Stato.
 2) Criteri di valutazione.
 3) Punti di discussione.
 3.1) In una organizzazione federale, quattro soggetti sono troppi.
 3.1.1) Federalismo e Regionalismo europeo.
 3.2) Popolazione.
 3.3) Territorio: estensione.
 3.4) Territorio: differenze geografiche.
 3.5) Politica: efficienza.
 3.6) Politica: qualità.
 3.7) Interventi sulla economia.
 3.8) Rapporti con i cittadini.
 3.9) Facilità di implementazione del modello federale.
 4) Decisione finale sul livello di Territorialità: il popolo?
 4.1) Strumenti di consultazione popolare.
 4.2) Quesiti referendari.
 5) Territorialità federata su basi etnica o culturale? (No, grazie)
 

Obiettivo.


Individuare l'entità Stato su cui basare il federalismo in Italia.

1) Obiettivi di una organizzazione federale dello Stato.


  • Distribuire le competenze dove è più efficiente che vengano esercitate, dove deve essere fornito il servizio, dove si verifica il problema.
  • Non attribuire ad un livello superiore quelle competenze che possono ben essere esercitate in modo decentrato.
  • Se una determinata competenza non può essere esercitata completamente da un determinato livello, prima tentare una cooperazione semplice tra più livelli ed eventualmente, se la cooperazione introduce troppi elementi di complessità, affidare la competenza al livello superiore.
  • 2) Criteri di valutazione.
  • Metodologico: prima si parte dai livelli più vicini al cittadino.
  • Nell'ordine: Comune, Provincia o Regione, Stato Federale.
  • L'ordine inverso è tipico del decentramento o del regionalismo, non del federalismo.
  • Organizzativo: non si deve pensare all'attuale stato di [dis]organizzazione ma pensare alla fattibilità in un contesto ragionevolmente più organizzato od organizzabile.
  • Legislativo: non si deve pensare allo stato attuale della legislazione (150'000 leggi) ma ad un contesto drasticamente più semplificato. Contemporaneamente infatti esiste anche l'obiettivo di uno "Stato leggero". Uno Stato federale non ha ragione di avere più di 500 leggi a livello centrale (escludendo i trattati internazionali) ed in ogni Stato federato dovrebbero essere sufficienti un migliaio di leggi, anche in una società industriale complessa di tipo europeo.
  • Semplificazione: vanno ricercate le soluzioni più semplici a livello locale e vanno preferite quelle che necessitano di meno personale, di leggi meno complesse ed immediatamente attuabili e comprensibili. Per ogni soluzione occorre valutare costi, benefici per l'amministrazione e, prima ancora, vantaggi e svantaggi per il cittadino.
  • 3) Punti di discussione.

    3.1) In una organizzazione federale, quattro soggetti sono troppi.

    Quattro soggetti sono tipici di una organizzazione decentrata, non di una federale.

    Punti fermi sono i due estremi: Comune e Stato Federale.

    Dei due attuali punti intermedi, Provincia e Regione, uno dei due deve diventare lo Stato federato, l'altro non avrà più ruolo e sarà quindi abbandonato (salvo, nel caso delle Macro-Regioni, assumere un ruolo a livello europeo).

    Utilizzando il criterio metodologico della sussidiarietà, quello che ci impone di partire dal basso e non dall'alto, è la Provincia ad essere la candidata ideale. Partendo in fatti dal basso ad applicare il principio di sussidiarietà, la Regione non avrebbe competenze in quanto tutte potrebbero benissimo essere attribuite agli altri tre soggetti. Ragioni di concretezza e di snellezza dello organizzazione federale (oltre al famoso rasoio di Occam) ci impongono di preferire la soluzione che sia funzionale con il minor numero di entità.

    Utilizzando il criterio organizzativo si deve analizzare se e come sia più facile organizzare in modo efficace ed efficiente una Provincia od una Regione.

    Prendendo in considerazione il criterio legislativo penso che un territorio più ristretto sia maggiormente portato a governarsi con regole più semplici di quelle di un territorio più vasto. La vastità del territorio è infatti spesso legata anche a tipologie differenti, le quali richiedono soluzioni organizzative e legislative complesse.

    La visione di insieme di un sistema federale a quattro soggetti sarebbe comunque complicata dal punto di vista della distribuzione delle competenze, la quale si rifletterebbe su un corpo legislativo complesso e su una organizzazione farraginosa, non molto dissimile dalla attuale. Una soluzione a quattro livelli non soddisfa il criterio della semplificazione.

    La tentazione potrebbe essere quella di impostare la struttura federale sulla Regione e salvare la Provincia come elemento di decentramento regionale, salvando così capra e cavoli. Se è solo una tentazione di tatticismo politico, spero nelle prossime righe di insinuare il ragionevole dubbio che potrebbe essere un errore di notevole portata.

    Una altra proposta è quella di basare il federalismo sulle Regioni (o macroregioni) e di eliminare totalmente le Provincie. Mi chiedo in che modo queste Regioni (soprattutto le più grosse) potrebbero essere amministrate. Eliminate le Provincie, occorrerebbe subito reinventarle. Contemporaneamente è anche vero che eliminare le Regioni, in previsione dell'Europa delle Regioni, appare decisamente fuori luogo, anche in considerazione del fatto che eliminare Provincie o Regioni significa aumentare le già significative resistenze al federalismo. Le Regioni devono quindi guadagnarsi un ruolo nel futuro contesto europeo.

    3.1.1) Federalismo e Regionalismo europeo.


    La complessità maggiore dell'individuazione delle entità territoriali del futuro sistema federale italiano è quella di rapportare correttamente un federalismo che non esiste ancora con un regionalismo europeo ancora tutto da definire.

    Il tutto dovrà il più possibile far combaciare gli spazi territoriali con gli spazi economici, attuali e nascituri.

    L'impegno è sul duplice livello della creatività e della ingenieria istituzionale.

    Occorre considerare che:
    1) L'Europa delle regioni è ancora molto distante. Danimarca, Finlandia, Grecia, Gran Bretagna, Irlanda e Lussemburgo sono ancora stati "centralizzati" con semplici circoscrizioni amministrative, sotto stretto controllo statale. Francia, Svezia, Paesi Bassi e Portogallo hanno un livello di autonomia appena superiore ai precedenti. Belgio, Spagna ed Italia hanno avviato un processo di regionalizzazione, in Italia ancora molto parziale. Solo Germania ed Austria hanno un sistema federale completo e consolidato. La Svizzera è per ora fuori dalla Unione Europea ma potrebbe esserne una futura Macro-Regione.
    2) Molte regioni italiane sono troppo grandi per essere la base del federalismo mentre altre sono troppo piccole per essere la base dell'Europa delle Regioni.
    3) Regionalismo e federalismo sono cose distinte, due livelli differenti, di regola non sovrapponibili od intercambiabili.
    4) Una organizzazione federale è ora la caratteristica di una intera Nazione; in futuro sarà caratteristica di una Macro-Regione europea.

    Lo schema a cui tendere è il seguente:

    Europa Spazio di integrazione
    Macro-Regioni Spazio economico di sostegno
    Federalismo Spazio di sviluppo
    Comuni/quartieri Spazio del quotidiano
    Come si vede in questo schema, ipotizzabile si dice tra il 2030 ed il 2050, manca totalmente lo Stato nazionale odierno.
    Le sue attuali funzioni saranno o assegnate all'Europa o alle future Macro-Regioni.
    Queste al proprio interno avranno una organizzazione federale.

    Il passaggio dalla situazione attuale a quella futura dovrebbe seguire lo scenario illustrato dal disegno precedente.

    Poiché per ora gli stati nazionali sono ostinati a durare, lo spazio economico di sostegno (Nota:) continuerà ad essere rappresentato dalle attuali nazioni.

    Il federalismo tuttavia non può attendere ancora 50 anni, anzi può essere più velocemente impostato sull'elemento più piccolo del puzzle, sul quale (ri)costituire in seguito le regioni con un processo naturale dal basso e non (artificialmente) dall'alto.

    Riassumendo:

    Ipotesi 1) si eliminano le regioni e si mantiene lo Stato Nazionale trasformato in Stato federale.
    Ipotesi 2) si trasformano le regioni in Macro-Regioni e si abbandona il livello nazionale distribuendo le sue competenze tra la entità europea e quelle macro-regionali.

    In tutti e due le ipotesi il federalismo è basato sulle attuali dimensioni provinciali. Si deve partire quindi sempre dall'Italia delle 100 città, vero perno dello sviluppo economico italiano ed in futuro spostare lo spazio economico di sostegno e di intervento quadro dall'attuale livello nazionale a quello macro-regionale.

    La prima ipotesi è fattibile subito (un progetto federale può essere attuato in un tempo stimabile tra i 4 ed gli 8 anni).

    La seconda è molto lontana nel futuro ma potrebbe costituire il naturale svolgimento della prima, se e solo se anche altre nazioni europee avranno seguito strade simili.

    3.2) Popolazione.


    Il numero di abitanti di un determinato territorio è un fattore importante per determinare il dimensionamento ideale.

    Una regione come la Lombardia è, come abitanti, una volta e mezzo la Svizzera.
    Quest'ultima è costituita da 26 Cantoni.
    Mi chiedo perché la Lombardia non dovrebbe fare altrettanto e, nel caso italiano, le Provincie risulterebbero essere la suddivisione ideale.

    A questo punto però sarebbe meglio semplificare ed attribuire subito alle Provincie le competenze regionali e fare a meno delle Regioni (ancora il rasoio di Occam; per semplificare e razionalizzare occorre avere il coraggio di usarlo).

    Un calcolo utile è quello del numero di funzionari statali per abitante.
    Uno Stato più popoloso dovrebbe avere, proporzionalmente, più funzionari ma anche permettere economie di scala maggiori rispetto ad uno meno popoloso.
    L'aumento delle dimensioni comporta però questi aspetti:

  • Aumento della complessità dei temi da trattare.
  • Aumento delle necessità di coordinare realtà diverse.
  • Aumento delle responsabilità e della catena decisionale.
  • Questi aumenti non sono lineari, ragion per cui portano ad annullare le economie di scala e conducono, abbastanza rapidamente, ad una burocratizzazione eccessiva.

    Si conoscono bene questi aspetti valutando la difficoltà crescente nel gestire con efficacia Comuni di 1'000, 10'000, 100'000 o 1'000'000 di abitanti. Il mito della economia di scala è quindi illusorio, basti osservare l'attuale Stato Nazionale unitario e confrontarne il numero di dipendenti pubblici per abitante con quello di un paese come la Svizzera, dove esistono Cantoni mediamente di 270'000 abitanti.

    Solo una solida organizzazione ed una mentalità puntigliosamente tedesca potrebbero in parte sopperire alla complessità della gestione di grossi Stati con milioni di abitanti. Tuttavia ritengo che per i prossimi anni siano poche le Regioni a poter competere con il Nord Europa in quanto ad organizzazione.

    Non ritengo quindi possibile organizzare una grossa regione come un Land tedesco (con l'unica meritevole eccezione della Emilia Romagna) ma penso sia più ragionevolmente alla nostra portata l'organizzazione di un territorio con un numero di abitanti più ridotto, possibilmente non superiore al milione di abitanti.

    Le Regioni meno popolose e che oggi siano già preparate, grazie allo statuto speciale introdotto da tempo, potrebbero mantenere l'attuale livello organizzazione regionale.

    Valle D'Aosta e Trentino Alto Adige sono un buon esempio di regioni che, troppo piccole per essere Macro-Regioni, non varrebbe la pena suddividere ulteriormente. Occorre ovviamente considerare che l'opinione più autorevole in merito è quella degli abitanti di ogni Regione e di ogni Provincia. Loro saranno chiamati in prima persona ad autogovernarsi ed è quindi loro la scelta finale del dimensionamento territoriale. Questa scelta non può essere certo imposta; sarebbe in contrasto con i principi del federalismo e della sovranità popolare, principi molto affiatati.

    3.3) Territorio: estensione.


    Le distanze fisiche, implicite nelle grandi estensioni territoriali o nelle difficili vie di comunicazione dovute ad ostacoli fisici, sono anch'esse importanti nel dimensionamento concreto di uno Stato federato.

    Sempre prendendo come paragone la Lombardia, la grande estensione territoriale consiglia o un pesante decentramento o forme di federalismo. Questo per permettere ai cittadini di ricevere adeguatamente anche quei servizi che non sono forniti dai Comuni senza per questo dipendere da un centro fisicamente distante.

    Una grande estensione può essere ammessa in un territorio pianeggiante fornito di vie di comunicazione veloci. In futuro, quando una grossa parte di servizi potrà essere resa per via telematica, tale concetto potrà essere rivisto.

    3.4) Territorio: differenze geografiche.


    In un determinato territorio possono essere presenti grosse differenze.
    Maggiore è l'estensione territoriale, maggiore è problematicità dovuta a tali differenze.
    In una regione come la Lombardia sono presenti:

  • Territori pianeggianti principalmente agricoli.
  • Grosse concentrazioni urbane.
  • Grosse concentrazioni industriali e di terziario avanzato.
  • Territorio montano e pedemontano con evidenti problemi nelle vie di comunicazione dovute alle Alpi, ai laghi alpini ed alle vie fluviali.
  • Simili differenze sono presenti in molte Regioni italiane.
    La complessità nella soluzione di problemi così differenti porta ad organizzazioni altrettanto complesse, con tutte le conseguenze già enunciate.

    Le Provincie sono, sotto questo profilo, molto più compatte ed omogenee. Anche se rimangono differenze, la minore estensione territoriale ne riduce l'importanza ad un livello gestibile con politiche semplici, efficaci e di veloce applicabilità e rapida verifica.

    3.5) Politica: efficienza.


    La politica è più efficace ed efficiente se fatta in un comprensorio circoscritto.

    Occorre ovviamente che non esistano impedimenti dall'alto, come ora, perché in questo caso nessuna politica è efficiente ma si riduce ad occupare poltrone simboliche o, per i più volonterosi, ad un puro dispendio di energie, senza produrre risultati commisurati all'impegno svolto.

    Se il livello di autogoverno è effettivamente autonomo avremo che:

  • Dato un intervento, si vedono prima i risultati e si possono correggere subito eventuali imprecisioni.
  • Le variabili in gioco sono minori e le necessità di compromesso tra forze diverse risultano ridotte.
  • Un comprensorio ristretto è di solito più omogeneo politicamente e ciò lo rende più governabile.
  • Quando un determinato livello di autogoverno si dimostra inefficace perché il problema chiama in gioco variabili al di fuori della portata locale occorre l'intervento del livello immediatamente superiore.

    Non vedo perché interventi politici inefficaci a livello comunale e provinciale debbano invece esserlo in ambito regionale (soprattutto pensando alle Regioni più piccole). Il livello di intervento macro-economico è per ora affidato allo Stato nazionale ed in futuro questo sarà affidato o allo Stato federale o, in una prospettiva ancora più distante, alle macro-regioni.

    Nel breve periodo, è sempre possibile - in determinati settori - coordinare linee politiche comuni tra Stati federati confinanti, pur rispettando ognuno la propria autonomia.

    3.6) Politica: qualità.


    È certamente più difficile, in un territorio ristretto, trovare il personale politico ed amministrativo adatto, rispetto ai canoni attuali. Contemporaneamente però uno Stato più vicino ai cittadini attrae nuove risorse alla politica ed all'impegno sociale.

    Nel futuro sistema federale il livello di notevole semplificazione dell'impianto legislativo richiederà comunque un personale politico ed amministrativo meno "sofisticato" di quanto oggi serva per navigare nel complesso mondo delle 150'000 leggi attuali.

    Più ristretto è l'ambito di governo, maggiore sarà la necessità di semplificare.

    Uguale osservazione può essere fatta per i componenti della Pubblica Amministrazione, i quali potranno finalmente operare in un ambito molto più comprensibile ed efficiente, per loro e per i cittadini.

    Poche e semplici leggi rendono snella la P.A. e tengono basso il carico fiscale. Questo verrà impiegato soprattutto per fornire servizi validi al cittadino e non per coprire i costi dei molti impiegati impegnati a districarsi nelle sabbie mobili di una legislazione complessa, contorta e contraddittoria.

    Per una Provincia la semplificazione diventa un obbligo e ciò rappresenta anche una garanzia.

    Le Regioni, data la maggiore complessità della loro struttura, potrebbero essere tentate di mantenere un livello elevato di complessità legislativa e burocratica e, conseguentemente, un apparato pesante e costoso per la collettività.

    Il potere Legislativo dovrà sforzarsi di mantenere alti livelli di semplicità nelle leggi che emana e, come esposto, in questo verrà aiutato dalle condizioni quadro prima esposte.

    Il potere Esecutivo, forte di una amministrazione snella ed efficiente, potrà rendere operative le leggi in modo rapido (e quindi consono alle attuali esigenze di intervento tempestivo).

    3.7) Interventi sulla economia.


    In un ambito Provinciale è più facile immaginare che interventi mirati a risolvere piccoli e medi problemi siano più efficaci e facciano effetto a breve o medio termine. Una grande Regione ha una inerzia fisica che rende lungo l'iter decisionale (l'analisi dell'intervento spesso deve spaziare una realtà più vasta, prima di poter prendere decisioni operative) e rende lungo il tempo di reazione in cui si effettua l'osservazione del risultato.

    Per contro se i problemi hanno un ambito più vasto di quello provinciale spesso la soluzione sarà di coordinare interventi a livello inter-provinciale, inter-regionale o addirittura transfrontalieri.

    Se, ad esempio, dovesse essere impostata una politica di sostegno all'economia delle zone alpine, sarebbe meglio coordinare le Provincie alpine piuttosto che le Regioni Piemonte, Valle D'Aosta, Lombardia, Trentino etc. Le future Macro-Regioni, si creerebbero spontaneamente, sicuramente con confini diversi dagli attuali. Con i paesi confinanti federalisti potrebbero anche nascere nuove regioni transfrontaliere, come ad esempio la "Regio Insubrica" tra Varese, Como e parte del Canton Ticino. Per interventi in ambito più vasto la competenza più valida è quella federale od europea.

    In ogni caso va trovato localmente l'equilibrio tra economia, cultura e politica, in base ai rapporti indicati nel disegno sottostante.

    3.8) Rapporti con i cittadini.


    Dal punto di vista del cittadino, il rapporto migliore è quello con uno Stato il più vicino possibile alle sue esigenze ed aspettative.

    Lo sforzo per ottenere un simile rapporto da uno Stato federato di dimensioni regionali (e penso a quelle più grandi) è senza dubbio superiore a quello che è ottenibile da Stati federati dimensionati sulle Provincie.

    È preferibile quindi la soluzione che, a parità di risultato, può essere ottenuta con il minore sforzo e dedicare le energie risparmiate in altri settori.

    Il cittadino deve inoltre poter controllare e valutare l'operato della Pubblica Amministrazione e l'attività del governo federato. Questo è tanto più possibile quanto più lo Stato gli è vicino. Una organizzazione federale basata sulle vaste dimensioni Regionali diminuisce (ma non di molto) l'attuale distanza tra cittadino e politica, tra cittadino e Stato. È possibile diminuirla maggiormente con una decisa autonomia comunale ed impostando lo Stato su un livello vicino alle attuali Provincie.

    3.9) Facilità di implementazione del modello federale.


    Le considerazioni esposte nei punti precedenti sono da tenere in considerazione anche quando si pensa alla fattibilità di un progetto federale basato su Stati di ridotte dimensioni.

     Gli stessi motivi che rendono più semplice il livello Provinciale, sono anche un punto a favore nella costruzione ex-novo di un sistema federale.

  • Leggi più semplici disegnate in minor tempo.
  • Pubblica amministrazione efficiente in tempi più brevi.
  • Maggiore rapidità nella costruzione di un livello autonomo di governo.
  • Miglior controllo nel raggiungimento degli obiettivi.
  • Questi punti sono molto importanti in quanto la minore durata di un progetto è già un fattore positivo di successo.

    Progetti troppo lunghi sono infatti frequentemente soggetti a fallimento e/o a costi esorbitanti.
    Dal punto di vista organizzativo e progettuale, la soluzione dei problemi complessi è ottenuta con la scomposizione ripetuta in problemi più semplici. Il livello Comunale/Provinciale garantisce un ottimo livello di scomposizione progettuale.

    Non si deve avere la preoccupazione che gestire il passaggio da un sistema centralista ad uno federale per 100 Stati provinciali sia più complesso di quello per 20 Stati regionali.
    Sono gli Stati federati a doversi organizzare e ritengo che 100 Provincie saranno operative prima di una ventina di Regioni o di una decina di Macro-Regioni. Allo Stato federale spetta principalmente un compito di coordinamento, non di gestione diretta.

    4) Decisione finale sul livello di Territorialità: il popolo?


    Questa spetta, come brevemente accennato alla fine del paragrafo 3.2, ai cittadini.

     Indipendentemente dalle diverse opinioni che possano esistere a proposito di Provincie, Regioni o Macro-Regioni, un sistema federale vede la sovranità molto più appartenente al Popolo di quanto già sia ora. È bene quindi che alcune scelte cardinali (territorialità e distribuzione delle competenze) siano indicate a livello popolare prima che la nuova Costituzione Federale sia promulgata. Una Costituzione Federale degna di questo nome infatti elenca nei primi articoli tutti gli Stati federati che la costituiscono e le funzioni che le competono. L'elenco deve essere pronto prima e non dovrebbe essere frutto di scelte verticistiche ma scaturire da una consultazione popolare apposita. Inserire l'elenco degli Stati membri (o sovrani, secondo alcuni) ottiene anche il risultato che la modifica della composizione dei partecipanti alla Federazione (scissioni di Stati, nuove adesioni o abbandoni di tipo secessionistico) debba passare il vaglio di una modifica Costituzionale. Se questa, come è auspicabile, prevederà l'istituto del referendum, sarà tutta la popolazione ad essere chiamata a valutare la nuova situazione.

    4.1) Strumenti di consultazione popolare.


    Attualmente non esiste, credo, lo strumento giuridico tramite il quale il Popolo possa direttamente esprimere una volontà positiva (non l'abrogazione di una legge ma l'accettazione di un testo legislativo preciso). Tuttavia penso che esistano alcuni modi pratici che permettano di consultare i cittadini e di tener conto dell'orientamento emerso.

    4.1.1) Referendum Consultivo

    Anche se questo tipo di referendum non ha (ora) un valore giuridico vincolante, ha tuttavia valore politico. Il Parlamento (una volta approvata una legge che preveda il referendum consultivo) si impegnerebbe a rispettarne le decisioni convalidandole formalmente nel testo costituzionale da approvare.
    Il problema maggiore è la formulazione dei quesiti nell'ambito della scheda referendaria, la quale, anche rispetto ai già contorti quesiti posti negli ultimi anni, sarebbe senza dubbio complessa.

    4.1.2) Consultazione tipo "censimento decennale ISTAT".

     Parimenti al precedente, il Parlamento si impegnerebbe a dare valore giuridico da quanto emerso. La formulazione in una scheda di tipo "censimento" è più facile da attuare ma vedo problemi sulla segretezza della espressione di voto e su tutte quelle garanzie di certezza di non inquinamento del risultato. Infatti si tratterebbe di una distribuzione a domicilio con successivo ritiro casa per casa del modulo. Si tratta comunque di un modo pragmatico di conoscere l'orientamento dei cittadini in modo esaustivo (non statistico).

    4.1.3) Soluzione mista.

    Una strada intermedia prevede che una scheda di tipo "censimento" sia recapitata al domicilio del Cittadino, assieme ad una esauriente documentazione, uno o due mesi prima della consultazione vera e propria. Quest'ultima avverrebbe negli usuali seggi elettorali. Il cittadino avrebbe tutto il tempo di compilare a casa la scheda, ragionando con calma le scelte più importanti. Chi perde o rovina la scheda potrà chiederne un altro esemplare presso il suo Comune o ne troverà una copia presso il seggio.

    4.2) Quesiti referendari.


    4.2.1) Territorialità.

    Al cittadino deve essere chiesto se intenda preferire un livello di territorialità federale centrato sulla propria Regione o sulla propria Provincia. Nei Comuni superiori ad un certo numero di abitanti può essere chiesto se, in alternativa ai livelli precedenti, sia preferibile il territorio comprendente il Comune ed il suo l'hinterland. Indipendentemente dalla territorialità individuata, il numero dei rappresentanti alla camera degli Stati sarà fisso come multiplo delle Provincie.

    Con due rappresentanti per Provincia avremo una Camera degli Stati con circa 200 rappresentanti. Se tuttavia Milano scegliesse di gestire in proprio la territorialità federale, manderebbe 1 solo rappresentante e l'altro sarebbe assegnato al residuo territorio provinciale. Se la Provincia di Bergamo indicasse a maggioranza di autogovernarsi ma la maggioranza degli elettori lombardi scegliesse la Lombardia come territorio di autogoverno, la logica federale che ritengo corretta vedrebbe la Provincia di Bergamo diventare uno Stato Federato con due eletti agli Stati, la Lombardia un altro Stato Federato con due rappresentanti per ogni altra Provincia del proprio territorio. Un'altra ipotesi altrettanto valida vede ogni Stato federato, piccolo o grande che sia, avere uguale numero di rappresentati nella Camera degli Stati.

    4.2.2) Distribuzione delle competenze.

    Non deve essere chiesto ai cittadini di scegliere tra le competenze dello Stato Federato e quelle dello Stato Federale ma solo quelle di quest'ultimo.

    Deve essere chiesto al cittadino di indicare, all'interno di un elenco predisposto dalla Commissione Bicamerale (o altro organo incaricato) se intende accettare che le competenze individuate come "federali" vadano o meno assegnate allo Stato Federale stesso. Vale la maggioranza semplice dei pareri espressi su tutto il territorio nazionale. In caso di rifiuto di particolari competenze, queste saranno da affidare ai singoli stati federati (nel senso che il parlamento dovrebbe sentirsi impegnato a rispettare la volontà espressa inserendo le competenze scelte nel testo costituzionale).

    Le competenze da gestire in modo cooperativo sono comunque indicate nel testo costituzionale per quella parte specificamente assegnata allo stato federale.
    In una Costituzione federale l'assegnazione di competenze spetta agli Stati federati ed, in ultima analisi, al Popolo Sovrano, come custode della Costituzione.
    Questo è un ulteriore elemento di distinzione dallo stato centralista, dove le competenze vengono assegnate (o disassegnate) dallo stato centrale.

    5) Territorialità federata su basi etnica o culturale (No, grazie).


    Occorre spazzare via le ipotesi antistoriche di una suddivisione federale fatta su basi etico-culturali o, peggio ancora, addirittura razziali.

    L'ipotesi, in parte leghista ed in parte di Miglio, di suddividere l'Italia in base alle differenze culturali (Nord operoso, Sud indolente e via dicendo) è ormai abbastanza diffusa. Questa idea viene affiancata alle ipotesi di crollo dei vecchi Stati nazionali ed al sorgere di nuovi Stati su base etnica e viene poi affiancato al federalismo, consolidando così l'idea comune (ma ovviamente errata) che quest'ultimo sia associabile in pratica ad una divisione di tipo razzistica.

    Dovendo stabilire le entità territoriali dei nuovi Stati federati, niente di peggio che usare un metro razziale, etnico o culturale. Significherebbe prima di tutto individuare il metodo per elencare le differenze in questione e poi applicarlo.

    Sulla impraticabilità oggettiva e sulla inopportunità etico-morale di una simile procedura è bene approfondire alcuni temi.

    5.1) Diversità "razziali".

    Il termine razza, ancora nel lessico comune, deriva dalle metodologie classificatorie in uso da 2'500 anni a questa parte. Continuava ad essere usato anche in ambito scientifico ed è per questo che chi sostiene diversità razziali può anche tentare di affermare che le razze esistono, spacciandolo come verità scientifica.

    Da una decina di anni a questa parte nel mondo della biologia e particolarmente della genetica, il concetto di razza è stato rimesso pesantemente in discussione dalle recenti scoperte sul codice genetico e dalla sempre più estesa decodifica del DNA umano. Le apparenti diversità razziali non hanno trovato riscontro in una equivalente diversità genetica. Le poche diversità trovate sono indistinguibili dalla normale diversificazione somatica che esiste tra gli individui e che ci permette di essere abbastanza diversi da essere riconoscibili l'un l'altro. Ora, scientificamente parlando, non si parla più di razza ed il termine non è stato sostituito. La razza dunque non esiste oggettivamente ma è una delle tante costruzioni della nostra mente; esiste solo nella nostra testa. Tutti i termini obsoleti sono ovviamente duri a morire ed ogni ignorante è libero di continuare ad usare un termine come quello di "razza", incurante delle figuracce che può fare. Non ha però più l'alibi della veridicità scientifica di quello che afferma. Pensare di preconfigurare un confine territoriale usando un criterio razziale è quindi assurdo in quanto non avrebbe basi oggettive. Di certo non si potrebbe fare a tutti l'esame del DNA, visto che questo non è in grado di rilevare ciò che non esiste. Le differenze esteriori (somatiche) sono soltanto visive e mi sembra che mezzo secolo fa ci sia già stato qualcuno che abbia usato criteri somatici per individuare chi mandare ai campi di sterminio.

    5.2) Diversità etniche.

     Il concetto di etnia ha un significato comune decisamente complesso, in cui concorrono la razza, il popolo e la cultura. Un gruppo etnico ha una storia, una cultura ed una lingua consolidati nel tempo. Per quanto già detto prima, è meglio abbandonare ogni discorso eventuale sulla razze. Nella odierna Europa è decisamente complesso definire confini che rispecchino gruppi etnici. Le migrazioni continue negli ultimi 2'000 anni nonché quelle legate alle due guerre mondiali, alla industrializzazione ed alla moderna mobilità personale hanno di fatto sparpagliato sul territorio la popolazione ed anche il linguaggio ha subito importanti modifiche e standardizzazioni. Una cosa è rispettare e rivalutare il patrimonio storico e culturale di una determinata zona o regione, altra cosa è definire un confine, una riga su una carta geografica, che separi nettamente una etnia da un'altra. Chi pensa che il federalismo implichi una suddivisione su basi storico-etniche, deve meditare il fatto che proprio i paesi che hanno fatto dell'unione federale la loro ragion d'essere, pur avendo all'interno differenze culturali, linguistiche ed anche religiose non indifferenti (alludo agli USA ed alla Svizzera) non hanno per nulla seguito un criterio etnico o culturale nella suddivisione del territorio.

    Uno Stato federato su basi etniche, ammesso che si riesca a costruirlo, avrebbe grossi problemi. Gli abitanti "autoctoni" del nord dell'Italia, proprio quelli più attivi nella richiesta federalista, dovrebbero fare i conti con intere zone in cui l'immigrazione da altre regioni li ha messi in netta minoranza. Lo squilibrio città-campagna fa si che i centri urbani e l'hinterland più immediato siano popolati in maggioranza da immigrati mentre la campagna abbia ancora radici popolari locali (ancora per poco, vista l'attuale tendenza di fuga dalle grandi città del nord). Che senso ha quindi un insieme di Stati etnici in Italia? Forse che i 50'000 "veri" milanesi dovrebbero costruire attorno a loro un muro come quello di Berlino, per separarli dagli altri 1'500'000? Ma chi è poi un "vero" milanese? E chi un "vero" romano? Il concetto di "purezza" razziale è un concetto aberrante. Applicato alla etnia ed alla cultura non migliora affatto.

    5.3) Diversità culturali.

    Che le diversità culturali esistano in Europa è una ovvietà ed è anche, come è noto, una fortuna ed una ricchezza per tutti noi. Più in particolare si può osservare come la cultura sia un insieme di conoscenze e comportamenti collettivi che per essere notata, classificata e valutata abbisogna della nostra attività di indagine mentale, a sua volta condizionata dalla cultura di ognuno di noi. Ciò fa si che osserveremo e giudicheremo la nostra cultura in modo diverso da come valuteremo quella di altri. La "differenza" è poi una operazione puramente mentale, anche essa condizionata dal nostro patrimonio culturale e dal nostro attuale stato d'animo. Siamo tutti uguali, se vogliamo trovare solo motivi di uguaglianza; e siamo tutti diversi quando vogliamo trovare solo diversità. 50 milioni di teste possono portare a 50 milioni di "confini culturali" e dopo pochi mesi tutti questi confini potrebbero mutare di numero e di tracciato e non andare più bene a nessuno.

    Inoltre il fenomeno di mobilità personale prima descritto non è cessato, anzi continua e ad esso si è aggiunto un altro aspetto culturalmente nuovo e rilevante. La diffusione dei mass-media e, da ultimo, delle autostrade informatiche, tende a diffondere a livello planetario un linguaggio ed una cultura uguale o simile. Che senso ha quindi cercare di definire "confini culturali" - e su questo costruirci uno Stato federato - quando tra i giovani della Brianza e tra quelli dell'India si parla ormai nello stesso modo e ci si intende a dovere?

    5.4) Conclusioni.

    Definire uno Stato federato su basi etniche e culturali è sicuramente non adeguato all'Europa ed alla sua storia. Può funzionare in Africa od in quelle regioni in cui una guerra lacerante ha ormai distrutto ogni rapporto tra popolazioni geograficamente vicine ma che si sentono distanti sotto tutti gli altri punti di vista.

    Non è il caso dell'Italia.
    Il criterio normale è principalmente geografico (indipendentemente da chi abita in un determinato territorio) e, subordinati ad esso, esistono criteri che riguardano l'Economia e la Politica e come uno sviluppo armonico di questi fattori possa aiutare un paese a svilupparsi ed a crescere armoniosamente anche e grazie a differenti contributi culturali. Questo è l'obiettivo di ogni civiltà degna di questo nome.


    Note:

    Bibbliografia: Ratti R., Leggere la Svizzera, Casagrande editore Lugano, 1995


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