Progetto Italia Federale

Approfondimenti & Sotto La Lente

a cura di Francesco Paolo Forti
Analisi del reddito 
provinciale
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 Ultimo aggiornamento: Novembre 2001
 

I dati del reddito provinciale: il bilancio dell’ultimo decennio
Crescono i divari di sviluppo territoriale
Negli anni ‘90 si conferma il primato del reddito per abitante della provincia di Milano, affiancata in graduatoria da Bologna e seguita da Trieste, Modena e La Spezia .

Aumentano i divari territoriali nel Paese: se nel 1991 il rapporto tra il reddito pro capite della prima e dell’ultima provincia era pari a 2,9 volte, nel 1999 è salito a 3,1, testimoniando un ampliamento della "forbice".

Ben 25 province, tutte localizzate nel Mezzogiorno, si collocano al di sotto della soglia del 75% del reddito medio dell’Europa a 15, e sempre tra le aree meridionali, a parte le province abruzzesi interamente uscite dall’area dell’"Obiettivo 1" comunitario, la posizione più elevata viene raggiunta da Campobasso (70°).

A fronte dei fenomeni di terziarizzazione generalizzata molte economie provinciali "cambiano pelle": Ragusa è la prima provincia per incidenza della produzione agricola, Bergamo per quella industriale e Trieste per la terziaria.

 


I dati del valore aggiunto provinciale per il periodo 1991-1999, calcolati dall’Istituto Tagliacarne per conto di Unioncamere, consentono di tracciare in modo compiuto i percorsi dello sviluppo economico delle singole province nell’ultimo decennio.

I risultati confermano per tutto il periodo considerato la leadership di Milano, che da sola concentra oltre un decimo del prodotto nazionale e il cui valore pro capite è pari a 158, rispetto alla media nazionale posta pari a 100.

Il capoluogo lombardo è seguito nella graduatoria stilata in base al reddito per abitante 1999 da Bologna (che "tallona" Milano con un indice pari a 157,7), Trieste (143,3), Modena (135) e La Spezia (132,1), tutte con indici superiori del 30% alla media nazionale.

Tra il 1991 e il 1999 i divari territoriali mostrano un incremento abbastanza evidente (tab. 1): se nel 1991 il rapporto tra il reddito pro capite della prima e quello dell’ultima provincia era pari a 2,9, nel 1999 è salito a 3,1, testimoniando una accentuazione della "forbice". L’entità del fenomeno, osservata a livello provinciale (le aree NUTS 3 secondo la terminologia Eurostat) e con un grado di approssimazione superiore rispetto al contesto regionale, è confermata da altri indicatori:

  • in media, nel 1991, lo scarto tra province nei numeri indici era pari a 23 punti percentuali, saliti a 26 nel 1999;
  • allo stesso modo, nel 1991 la differenza in termini di numero indice del reddito pro capite tra la prima e l’ultima provincia era di 103 punti, mentre nel 1999 questa differenza è salita a 107.

  • Tab. 1 – Indicatori di variabilità tra le province (riferiti ai numeri indici)- anni 1991 e 1999
    Il comportamento divergente delle province emerge ponendo a confronto i livelli di reddito pro capite del 1991 e la crescita prodottasi nel periodo 1991-1999 (fig. 1): contrariamente a ciò che sarebbe stato auspicabile, le aree che hanno registrato i ritmi di crescita più sostenuti sono quelle in cui il livello di partenza in termini di reddito per abitante era più elevato; e viceversa, le province più svantaggiate hanno conseguito incrementi più contenuti.
    Fig. 1 – La divergenza nei percorsi di sviluppo delle province italiane: confronto tra livelli di reddito pro capite 1991 e crescita 1991-1999
    Ben 25 province, tutte localizzate nel Mezzogiorno, si collocano al di sotto della soglia del 75% del reddito medio dell’Europa a 15, mentre tra quelle meridionali, a parte le province abruzzesi per le quali è compatta l’uscita dall’"Obiettivo 1" (spicca il 55° posto di Pescara, mentre L’Aquila è in leggero ritardo), la posizione più elevata viene registrata da Campobasso (70°). (tab. 2). Dall’esame dei dati del reddito per abitante nel decennio emergono comunque movimenti delle province sia verso l’alto che verso il basso della graduatoria:
    [*] Per una visione dei dati tradotti in Euro di oggi, leggere questo documento

    Osservando i dati provinciali del reddito si ha l’impressione che dall’analisi territoriale emerga, più che in passato, una sensibile diversificazione di situazioni. Al di là infatti dell’evidente divario tra Centro-Nord e Sud e dei differenziali interregionali, le province mostrano una ulteriore dispersione dello sviluppo: si "scompongono" ulteriormente, dunque, i consueti schemi di lettura delle dinamiche di crescita del Paese.

    Ecco allora che all’interno di Lombardia, Lazio, Toscana e Liguria, regioni centro-settentrionali con consistenti livelli di sviluppo, si trovano posizioni molto distanti nella graduatoria del valore aggiunto per abitante: significativo è che al 1° posto di Milano corrisponda in Lombardia il 65° di Sondrio, e lo stesso dicasi nel confronto tra Roma e Rieti nel Lazio (rispettivamente al 17° e 78° posto), Firenze e Massa Carrara in Toscana (9° e 67°) e La Spezia e Imperia in Liguria (5° e 60°).

    In modo analogo, anche il Mezzogiorno non mostra risultati interamente all’insegna del ritardo (fig. 2): ordinando i dati in base alla crescita del reddito tra il 1991 e il 1999 si distinguono infatti i risultati di Potenza (11° posizione tra le 103 province, con un tasso di incremento medio annuo del 6,1%), così come anche quelli di Messina (5,3%), Teramo, Matera e Cosenza (5,2% in ciascuna provincia) e, sempre con valori superiori alla media nazionale, Vibo Valentia (4,9%), Oristano e Taranto (entrambe con una crescita pari a 4,8%).

    A conferma poi della vitalità delle regioni nord-orientali del Paese, nelle cinque posizioni di testa della classifica secondo la crescita del periodo 1991-1999 troviamo Gorizia (8,1%), Treviso (7,4%),Verona (6,8%), Vicenza e Bolzano (entrambe con incrementi medi annui del 6,5%).


    Fig. 2 – Incremento medio annuo del valore aggiunto a prezzi correnti nel periodo 1991- 1999
    Le variazioni del valore aggiunto per settore tra il 1991 ed il 1999 (fig. 3) evidenziano l’intensità del processo di terziarizzazione, essendo il peso dei servizi cresciuto in ben 92 province su 103, uniformemente distribuite sul territorio nazionale.

    Spiccano in particolare per la crescita del terziario le province di Caltanissetta e Avellino (tab. 3), in cui la corrispondente incidenza sul valore aggiunto complessivo si è accresciuta di 10 punti percentuali. Per contributo assoluto del terziario alla formazione del valore aggiunto (tab. 4) emergono invece le province di Trieste, Roma, Napoli, Palermo e Genova, tutte sedi di capoluoghi regionali e con un peso sempre superiore all’80%.

    Anche se in misura più contenuta, si rilevano anche alcune province in cui è cresciuto il peso delle attività agricole e di quelle industriali:

  • nel caso dell’agricoltura, le aree che hanno conseguito un incremento sono 28, equamente distribuite sul territorio nazionale: 9 nel Nord-Ovest, 6 nel Nord-Est, 5 nel Centro e 8 nel Mezzogiorno. Di particolare rilevanza appaiono gli incrementi di Oristano (4,1%) e Savona (2,7%);
  • per l’industria, le province caratterizzate da una lievitazione del peso in questione sono solamente 14, di cui 10 equiripartite tra Nord-Ovest e Sud del Paese. Emerge, da questo punto di vista, il dato di Potenza, al primo posto in tale graduatoria, con una crescita del settore che ha toccato il 4% a scapito degli altri due.

  • Fig. 3 - Province in cui è cresciuto nel periodo 1991-1999 il peso del settore indicato sul totale del valore aggiunto
    Tra le province "più agricole" si conferma in termini assoluti la posizione di Ragusa, in cui quasi il 18% del reddito prodotto proviene dal settore primario, seguita da Oristano (14,2%), Foggia (12,7%) e Siracusa (12,3%), dove il settore supera il 10% dell’intera economia. Nell’ambito delle province settentrionali emerge invece Cremona, con un’incidenza pari a 9,4%.

    La graduatoria delle province a maggior tasso di industrializzazione sancisce il predominio del Nord-Ovest (ben 7 province tra le prime 10), e della Lombardia in particolare, che vede Bergamo (con quasi il 49% del reddito prodotto), Brescia (47,2%), Como (46,3%) e Varese (44,5%) nei primi quattro posti della classifica. Completano il quadro le province piemontesi di Biella (43,6%) e Novara (40,6%), mentre per il Nord-Est si distinguono Vicenza (43,4%), Pordenone (41,2%) e Reggio Emilia (41,1%).


    Tab. 3 - Prime dieci province per incremento di peso sul valore aggiunto totale 1991-1999 di agricoltura, industria e servizi


    Tab. 4 - Prime dieci province per peso sul valore aggiunto totale dell'agricoltura, dell'industria e dei servizi - anno 1999





     


    Appendice metodologica


     
     
    Le valutazioni presentate costituiscono un ulteriore stato di avanzamento nella produzione di informazione statistica da parte dell’Istituto Tagliacarne e del Sistema camerale. Esse si rifanno alle stime già realizzate per gli anni precedenti basate su una ricostruzione diretta del valore aggiunto dei settori, che per l’agricoltura utilizza i dati delle produzioni vendibili (detratti i consumi intermedi e aggiunti i contributi ala produzione), mentre per gli altri settori è stata ricostruita una matrice dell’occupazione per luogo di lavoro, annualmente aggiornata con dettaglio alla terza cifra dell’Ateco 91, classe di addetti e territorio, cui sono stati applicati parametri di produttività basati su specifiche informazioni di fonte Istat e Inps. Queste valutazioni sono "riquadrate" sui dati della contabilità regionale calcolati prima della revisione introdotta con il SEC 95, rispetto alla quale solo sono stati recentemente pubblicati dall’Istat i dati per il 1998 e, a metà del 2000, per il triennio 1995-1997.

    La stima si basa su parametri tratti dalle rilevazioni sulle imprese e da quelle sulla struttura occupazionale in termini di individui (o "teste"), cui si aggiungono due ulteriori approfondimenti metodologici:

  • il primo, attuabile per la serie 1991-1998, mirato alla "riquadratura" con i conti regionali Istat e Istituto Tagliacarne SEC 79, passa per il confronto tra le strutture settoriali dell’occupazione in termini di teste e quelle in unità di lavoro standard;
  • il secondo, riferito al 1999, avente lo scopo di mettere a disposizione dati più aggiornati rispetto alle fonti esistenti per la ricostruzione diretta delle singole voci. Tale approccio passa per criteri indiretti, aventi per cornice le stime regionali Tagliacarne già disponibili fino al 1999 e differenziati da settore a settore. Nel caso dell’agricoltura, è stato effettuato un calcolo per via diretta, passando per le produzioni vendibili ed i relativi input alla produzione; per l’industria, il calcolo è consistito nel fondere insieme alcuni indicatori atti ad esprimere con sufficiente approssimazione la dinamica dei principali input che concorrono alla formazione dell’output (e quindi del valore aggiunto) del settore; per i servizi sono stati addottati indicatori diversi a seconda dei comparti considerati.
  • Per quanto riguarda le valutazioni rispetto alla media europea a 15, sono stati utilizzati coefficienti nazionali di riconduzione a standard di potere d’acquisto di fonte Ocse riferiti sia all’Italia che alla media Ue.