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DICHIARAZIONE DEL SINDACO WALTER VITALI
SUL MANIFESTO FEDERALISTA

L’intendimento del manifesto federalista che ho sottoscritto insieme ad altri Sindaci e Presidenti di regione è di fornire un contributo al Parlamento per modificare in modo significativo il testo di riforma costituzionale che sta per essere esaminato dalle Camere. Non è certo quello di creare contrapposizioni o conflitti tra Comuni e Regioni da un lato e Commissione Bicamerale dall’altro.

Il testo del manifesto insiste giustamente sulla necessità di un’alleanza tra città e regioni per avanzare congiuntamente proposte di riforma federale. E’ quello che si sta facendo con esiti positivi tra Conferenza dei Presidenti delle Regioni, ANCI e Coordinamento dei Sindaci delle città metropolitane.

Sulle proposte che si stanno elaborando si è già avviato un confronto con il Presidente della Commissione Bicamerale, che sabato scorso a Bologna si è manifestato disponibile a sostenerne l’accoglimento.

Bologna, 16 gennaio 1998 


Antonio Bassolino, sindaco di Napoli
Bruno Bracalente, presidente della Regione Umbria
Massimo Cacciari, sindaco di Venezia
Vannino Chiti, presidente della Regione Toscana
Antonio La Forgia, presidente della Regione Fmilia-Romagna
Walter Vitali, sindaco di Bologna
Carta federalista
Per un federalismo delle città e delle nuove regioni

8 gennaio 1998


1. Il federalismo virtuale della Commissione Bicamerale

 Il testo di riforrna approvato dalla Commissione bicamerale dichiara a parole l'istanza federalista, ma non è coerente nei fatti.

Da un lato si annuncia, una netta opzione federalista, a partire dal titolo della parte II della Costituzione: "ordinamento federale della Repubblica". Si affermano il principio di sussidiarietà, l’attribuzione generalizzata di funzioni amministrative ai comuni, l’autonomia legislativa e statutaria delle regioni, i principi della autonomia tributaria e finanziaria degli enti territoriali.

Dall’altro lato, a ben vedere, tutte le decisioni essenziali sono riservate al centro.

Se si guarda l’elenco delle materie attribuite allo Stato, in via esclusiva o sussidiaria, la conclusione è univoca: si parli di fisco, di "prestazioni sociali minime", di "imprescindibili interessi nazionali", di discipline generali in materia di istruzione, sanità, lavoro, ambiente, tutte le determinazioni cruciali sono riportate al centro.

Tutto ciò verrebbe deciso dalla Camera dei deputati con il concorso di un Senato costituito a doppio livello, composto per metà da senatori eletti direttamente, con compiti "di garanzia", e per un’altra metà per le "sessioni speciali" da componenti designati - secondo logiche di rappresentanza partitica - dai consigli comunali, provinciali e regionali.

I1 Senato delIa Repubblica diventa in questo modo una assemblea ibrida, composta da una molteplicità di soggetti, nessuno dei quali è in grado di affermare la rappresentanza dei territori.

E’ evidente che così il pericolo della disarticolazione istituzionale si accresce. Si rischia di produrre una miscela esplosiva tra protagonismi localistici e inefficaci regolazioni centrali.

Il limite fondamentale della proposta della Bicamerale sta dunque nella contraddizione tra autonomismo virtuale e centralismo reale.

Perciò va proposto un indirizzo diretto a modificare alcuni punti essenziali e a mutare l’impianto della proposta.
 

2. La necessità di una vera alleanza tra comuni e regioni

Bisogna riconoscere che se il compromesso tra le forze politiche si è fin qui collocato su un punto così basso ciò dipende anche dalla debolezza della azione delle forze federaliste.

Che nei partiti nazionali prevalesse una cultura centralista era già noto. Meno scontato era il fatto che chi è impegnato nel governo quotidiano sul territorio, a partire dai sindaci e dai presidenti di regione, non sia riuscito a sviluppare una efficace azione comune.

L’impossibilità di realizzare, fin qui, nonostante i molti tentativi effettuati, una autentica alleanza tra i soggetti naturali della riforma federalista (città e regioni) è dipesa da un motivo di fondo: l’essere prevalsa, finora, la logica della appartenenza alle singole "corporazioni istituzionali" in cui sull’autonomia dei soggetti politici finiscono con il prevalere le primazie delle ragioni di "corpo".

Ciò ha finora impedito che:

a) per quanto riguarda l’assetto comunale, si aprisse una discussione vera sulla necessità di superare l’attuale frammentazione tra gli 8.100 comuni, a partire dalla esigenza di promuovere processi di gestione associata delle funzioni, di unione e di aggregazione tra i comuni di minori dimensioni e di attribuire uno statuto speciale ai grandi comuni, alle città metropolitane;

b) per quanto riguarda le province, si aprisse un confronto chiaro sul ruolo dell’istituto provinciale, la cui necessità funzionale non può essere dichiarata in termini uniformi su tutto il territorio nazionale, dal Piemonte alla Basilicata;

c)fra le regioni si aprisse una autentica riflessione autocritica sul fallimento del vecchio regionalismo e sulla necessità di riformare in radice l’attuale assetto regionale.

Una vera alleanza tra i soggetti naturali del processo di riforma federalista (città e regioni) esige dunque di liberarsi dalla logica corporativa e di produrre un progetto chiaro, anzitutto sul piano dei principi e poi su quello delle specifiche proposte istituzionali.
 

3. Le condizioni di una azione unitaria tra città e regioni

E’ evidente che un vero processo di riforma federalista della Repubblica può essere avviato solo attraverso una azione congiunta tra Città e Regioni.

Le Città infatti rappresentano la forza di una identità storica, la ricchezza della tradizione municipale, i luoghi aggregativi fondamentali della cittadinanza, del riconoscersi dei cittadini come parte di un aggregato collettivo. Dopo il crollo del sistema dei partiti, che faceva dei sindaci l’ostaggio provvisorio di coalizioni rissose, l’elezione diretta dei sindaci è stato il primo atto concreto di fuoriuscita dalla prima repubblica. E oggi i sindaci hanno una grande forza rappresentativa, tratta dalla diretta legittimazione popolare. Occorre però che tale autorevolezza si traduca in effettiva capacità di governo. Questo esige di liberare i comuni dalle infinite pastoie burocratiche centralistiche e di fare corrispondere responsabilità politica e capacità di azione, autonomia amministrativa e responsabilità fiscale. E’ evidente tuttavia che tale concreta capacità di azione del govemo locale non può essere esercitata nello stesso modo negli 8.100 comuni italiani. Dire che tutti gli 8.100 comuni italiani possono svolgere "la generalità delle funzioni amministrative", come recita l’art. 56 della proposta della Bicamerale, è una evidente ipocrisia. Bisogna differenziare le funzioni e gli statuti delle grandi città, dei comuni intermedi, e dei piccoli comuni, per i quali va promosso un processo di integrazione funzionale e di aggregazione strutturale. La forza delle Città, in altri termini, può dispiegarsi solo a partire dal superamento del municipalismo campanilistico, che è l’interfaccia del centralismo statale.

Altrettanto evidente è il fatto che il federalismo possibile in Italia, così come ha un bisogno vitale delle Città allo stesso modo non può certo prescindere dalle Regioni. Ma da quali regioni? Non certo dall’attuale configurazione dell’assetto regionale, che costituisce una delle eredità più negative della prima repubblica. Il regionalismo in Italia è fallito per la buona ragione che esso è consistito - come si è felicemente detto - nel "regionalismo partitocratico": tradotto in regioni intese come enti sub-statali, agenzie di spesa statale derivata, governate da un ceto politico privo di ogni vera autonomia e disposto a concepirsi come sotto-livello di quello nazionale. Queste vecchie regioni vanno radicalmente superate. Ma ciò non toglie che un serio processo di riforma federalista abbia il bisogno vitale di una nuova dimensione del governo regionale e che debbano essere apprezzati gli sforzi di chi, al governo delle attuali regioni, ha cercato di rideclinare l’esperienza regionale in questa chiave.

In conclusione, il federalismo in Italia può diventare possibile solo alla condizione di realizzare una autentica alleanza tra città e regioni promossa dai diretti responsabili politici dei governi regionali e locali, fondata su due obiettivi strategici: dare efficacia al governo comunale, a partire dalla definizione di uno statuto speciale per le grandi città, e costruire nuove regioni.

4. Quattro proposte alla Bicamerale e al Parlamento

Una piattaforma comune e una azione congiunta tra i rappresentanti dei governi locali e regionali, che la presente Carta intende promuovere, può fondarsi su quattro precise proposte di modifica del testo della Bicamerale, così di seguito riassunte.

4.1 Riduzione delle competenze riservate allo Stato

Occorre attribuire allo Stato centrale solo le funzioni che non possono essere svolte a livello regionale e locale, trasferendo tutte le altre al livello più vicino possibile ai cittadini. In particolare vanno perciò ridotte le competenze atttribuite allo Stato dall’art. 58, comma 1 del testo della Bicamerale e va previsto che lo Stato possa emanare solo disposizioni di principio, soggette comunque ad approvazione bicamerale, nelle materie di cui all’art. 58, comma 2.

4.2 Nuovi comuni e nuove regioni come soggetti fondanti del processo dii riforma federalista

Occorre che la riforma costituzionale esprima in maniera chiara l’esigenza di fare dei Comuni, a partire dalle grandi città metropolitane, e delle nuove Regioni i soggetti fondanti del processo di riforma federalista.

Ciò va tradotto in chiare formulazioni costituzionali.

Per quanto riguarda le regioni e la loro stessa identità va affermato un principio chiaro. Si tratta di avviare la fase costituente di nuove regioni da due essenziali punti di vista. In primo luogo l’emancipazione delle nuove regioni dalla vecchia eredità partitocratica, a partire dalla affermazione in costituzione del principio della elezione diretta dei presidenti di regione. In secondo luogo la trasformazione delle regioni in federazioni di città e quindi in istituzioni dedicate a funzioni di legislazione, alta amministrazione e governo politico unitario della dimensione regionale, e non a compiti di mera gestione. In questo senso è essenziale attribuire ai Comuni un potere di codeterminazione dei nuovi statuti regionali, prevedendo che tali statuti debbano essere approvati, in via di prima attuazione costituzionale, anche da Consigli delle autonomie composti dai sindaci dei comuni di maggiore dimensione demografica e dagli altri rappresentanti delle comunità locali.

4.3 Statuti regionali di autonomia speciale e statuti speciali delle città metropolitane

 Il federalismo implica un equilibrio più flessibile tra principio di uguaglianza e di autonomia, e dunque non potrà che essere progressivo e differenziato.

Esso in ogni caso esige il superamento della regola di uniformità disposta, imperativamente, dal centro. E’ quindi feconda, e da sviluppare, l’idea che ogni regione possa promuovere "progetti speciali di autonomia" da costruire in accordo con i comuni e gli enti locali, la cui approvazione sia rimessa al pronunciamento di un organo federale nazionale (il Senato federale). Sui progetti di "autonomia speciale" le regioni dotate degli adeguati strumenti statutari potrebbero promuovere referendum regionali consultivi, da agganciare al referendum nazionale sul progetto di riforma costituzionale complessivo. Sarebbe, questo, un modo concreto per non ridurre il pronunciamento dei cittadini, nelle díverse realtà territoriali, del nord e del sud, ad una dimensione puramente passiva, di accettazione plebiscitaria o di rifiuto subalterno.

Al tempo stesso si dovrà stabilire che le città metropolitane possano dotarsi di statuti speciali che prevedano anche poteri normativi. Gli statuti speciali sono approvati, sentite le Regioni, dal Senato federale. Gli stessi statuti speciali possono avere una loro differenziazione che tenga conto della peculiarità delle diverse città metropolitane ed in particolare delle grandi città.

4.4 Il Senato federale

La proposta della Bicamerale per quanto riguarda composizione e funzioni della seconda Camera è del tutto inaccettabile. Si propone infatti un Senato misto a doppio livello, con una composizione tale da non assicurare alcuna autentica rappresentanza dei territori.

Anche qui bisogna avere il coraggio di scegliere. Va respinta ogni soluzione ibrida e pasticciata, guardando alle esperienze federali più forti e garantendo che la seconda Camera sia efficacemente investita di funzioni di raccordo federale tra centro e periferia ed abbia competenze deliberative in tutte le materie di interesse regionale e locale.

Ferma restando una netta preferenza per la soluzione di un Senato alla tedesca, composto esclusivamente da rappresentanti dei Governi regionali e locali, si ritiene che la soluzione mista dovrebbe quanto meno essere anch’essa caratterizzata dalla presenza diretta degli esecutivi regionali e locali.

Senza di ciò si scelga allora un Senato all’Americana fortemente ridotto nel numero dei componenti, eletto direttamente dai cittadini con modalità tali da assicurare la effettiva rappresentanza dei territori.

 Conclusioni

Sulla base dei principi qui enunciati i firmatari della presente Carta federalista si impegnano a favorire la presentazione al Parlamento di emendamenti coerenti con il presente documento e a sviluppare conseguenti iniziative politiche.



Antonio Bassolino, sindaco di Napoli
Bruno Bracalente, presidente della Regione Umbria
Massimo Cacciari, sindaco di Venezia
Vannino Chiti, presidente della Regione Toscana
Antonio La Forgia, presidente della Regione Fmilia-Romagna
Walter Vitali, sindaco di Bologna