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PER UN NUOVO FEDERALISMO
NORDEST VICENZA - VIA SS. APOSTOLI, 51 c.i.p. - 6 FEBBRAIO 1998

[In nero il testo originale, in blu il commento]

 

1) Il rischio che i movimenti federalisti (non solo nel nostro paese) vedano "derubricate" le proprie posizioni a rivendicazioni localistiche per più ampie "deleghe", oppure, peggio, finiscano col confondersi a generici inseguimenti del secessionismo della Lega, s’aggrava di giorno in giorno.

Una coerente riforma federalista del nostro Stato, ormai è chiaro, non potrà essere condotta né attraverso il semplice "accumulo" di spinte autonomistiche ("movimento dei sindaci", ecc.), né delegandone l’esito ad un nuovo testo costituzionale, per quanto avanzato esso possa alla fine risultare (e tutti i segnali vanno in senso opposto).

[Forti] La nascita di unioni federali è avvenuta in passato sotto la spinta di pressioni esterne (nemici, pericoli di guerre, invasioni) mentre il rinnovo di questi patti federali è avvenuto a seguito di crisi interne (divisioni religiose, dissidi città – campagna). Difficile dice cosa avverrà in Italia. Non si sono motivi di pericoli esterni che forzino l’unione di soggetti divisi ma ci sono comunque disagi e tensioni interne che possono risolversi trovando un nuovo equilibrio. Come sempre accade ci sono forze che operano in un senso ed altre che remano nell’altro ed in un momento di equilibrio possono avvenire due cose:

  • l’equilibrio si formalizza in un patto costituzionale (non rigido)
  • una piccola forza fa pendere la bilancia da un’altra parte e l’equilibrio si spezza.
  • Mi pare chiaro che per ottenere il federalismo occorre che ci sia un dissidio territoriale e che questo si ricomponga in un patto costituzionale. Se invece il dissidio rimane solo politico, troverà una ricomposizione a livello di segreterie.

    2) E’ perciò necessario rilanciare il movimento federalista su una prospettiva di più lungo periodo, riscoprendone con forza le ragioni storiche e culturali, per così dire, "universali", ma, allo stesso tempo, radicandolo nel terreno di identità e interessi specifici.

    [Forti] Ci sono anche ragioni economiche, non solo politiche e culturali. Il successo delle idee federaliste nel nord-est è dovuto anche al legame tra politica ed economia che viene richiesto localmente ed è una condizione importante dello sviluppo. Mi pare che questo aspetto sia spesso dimenticato. Forse ciò è dovuto ad una sorta di condizione psicologica che cerca di mettere in secondo piano l’economia per non essere tacciati di volere il federalismo per puri motivi di interesse monetario. Invece la forza del federalismo sta proprio nell’equilibrio dinamico che si viene a creare localmente (ad esempio una provincia, in un cantone) tra i sistemi politico istituzionale, economico e culturale, nonché dentro i relativi sottosistemi. Il fatto che ai Cantoni/Stati/Länder sia affidata la politica economica e che questo organi politici siano dotati di un ministero della economia e delle finanze può far ripensare invece al discorso del Cattaneo, quando diceva che il parlamento nazionale si occupava solo un giorno all’anno della Sardegna.

    Le relazioni funzionali nei sottosistemi economici territoriali sono rappresentabili sotto questa forma, che è una rielaborazione da Jürgen Habermas, Legitimations-probleme im Spätkapitalismus, Francoforte sul Meno, 1973, presa da [Ratti - 1995]

    Se osserviamo l’attuale situazione italiana, notiamo che localmente il sistema economico non pone risorse a disposizione del suo sistema politico ma deve finanziare quello nazionale, il quale provvede con trasferimenti non trasparenti. Il ciclo è quindi interrotto. Inoltre visto che localmente vi sono solo compiti amministrativi e non politici, vi e’ una doppia frattura. È implicito che ogni territorio trova il suo equilibrio tra i componenti (e lo rinnova nel tempo) ed è in virtù di tale equilibrio che si sviluppa e compete con altri. È altresì implicito che il livello federale agisce da regolatore (coordinatore) tramite una normativa comune di questi processi, fornendo prestazioni quadro (welfare, difesa).

    Quello federalista è un processo storico destinato a durare ben oltre qualsiasi riassetto istituzionale. Esso accompagna tutto lo sviluppo dello Stato moderno, come un insieme di idee o "fermenti" che di volta in volta ne contestano la tendenza a strutturarsi in sistema di potere unico e indivisibile. Esso riemerge con nuova forza nella fase storica contrassegnata dallo sgretolarsi della sovranità dello Stato nazionale, sotto la formidabile e irreversibile pressione dei fenomeni di interdipendenza tecnologico-economico-finanziaria.

    [Forti] Concordo. Finalmente qualcuno che vede il federalismo anche come processo e non solo come punto di arrivo. È un fine per il federalista, per chi vuole uno stato federale, senza il quale non si inizia. Una volta stabilito un patto federale, il federalismo non è ottenuto e raggiunto ma inizia un lungo processo, che potrebbe anche fallire, se gli equilibri che le sfide del futuro di volta in volta impongono non fossero trovati.

    Ma i processi di "globalizzazione" non sono in alcun modo destinati a produrre di per sé né forme federaliste di governo sovranazionale, né l’affermarsi di culture politiche federaliste all’interno dei diversi Stati che compongono il "villaggio globale". All’opposto, la "globalizzazione" in atto appare sempre più come diffusione di un unico modello di relazioni politiche e sociali. Su tutte le questioni vitali i meccanismi decisionali sono sottratti ad ogni visibilità, per non dire ad ogni forma di rappresentanza democratica. E’ una situazione che alla lunga, potrebbe generare il moltiplicarsi di reazioni "tribali" alla globalizzazione, uno stato di disagio, inquietudine, alienazione nelle stesse "metropoli", una "corporativizzazione" sempre più chiusa dei diversi interessi.

    Insomma, se è chiaro che il postmoderno si configurerà "oltre" lo Stato nazionale centralizzato, dalla sovranità unica e indivisibile, non è ancora affatto deciso se questo "oltre" assumerà l’aspetto di un mix tra globalizzazione e "tribalizzazione" (con il conseguente crollo di ogni spazio per la stessa prassi politica), oppure quello di una nuova struttura del potere e della rappresentanza politica, fondata sulla pluralità e sulla distinzione di saperi, competenze, responsabilità, in grado, proprio in quanto autonomi, di riconoscersi reciprocamente, dialogare, accordarsi.

    [Forti] mi pare chiaro che nel futuro, non foss’altro che per la costruzione europea, cambieranno gli spazi economici e politici in cui vive l’uomo moderno. Trovo stimolante, per la discussione, prendere atto di come la pensino gli economisti ed i politico federalisti di altri paesi, anche loro confrontati con le sfide della globalizzazione e della unificazione europea. È vero che infatti abbiamo un innalzamento di compiti e competenze verso organismi superiori ma è altrettanto vero che i cittadini vogliono avere uno stato piu’ vicilo a loro.

    In questo disegno, liberamente interpretato in base a quanto letto su [Ratti - 1995] mostra il passaggio dagli attuali stati nazionali al futuro contesto europeo. L’Italia ha già compiuto il passo di creare le regioni ma esse sono ancora in bilico tra il federalismo italiano e quello europeo ed alla ricerca di un ruolo. Notare che nella situazione finale, così come auspicata tra il 2020 ed il 2050 mancano del tutto gli attuali stati nazionali. La fase di passaggio in cui lo schema attuale si trasforma in quello futuro, ha come coordinate temporali quelle tra il 1980 ed il 2115. Con questo schema in mente appare chiaro che territorialità come Austria, Svizzera e Lombardia siano macro-regioni e che ciò che conta per il loro successo politico-economico sia lo sviluppo del federalismo al loro interno. Così come per me sarebbe arduo immaginare una macroregione elvetica che non sia federale al suo interno, così non riesco ad immaginarmi una Lombardia senza provincie dai poteri forti, simili a quelli cantonali. Lo spazio del federalismo è quindi quello comunale-provinciale. Quello da costruire prima, seguendo il principio di sussidiarietà.
     

    3) Il nostro federalismo è perciò l’esatto opposto di una forma di reazione nostalgica nei confronti della globalizzazione. La straordinaria complessità di questo processo implica invece, responsabilità diffuse, forme sempre più ampie di auto-governo, il superamento radicale di ogni logica centralistico-burocratica. Se non si alimenterà di una tale cultura politica, il processo di globalizzazione finirà col generare il suo opposto: il risorgere di nazionalismi, e magari micro-nazionalismi, l’un contro l’altro armati.

    Per gli stessi motivi il nostro federalismo è l’esatto opposto di ogni forma di autarchica chiusura localistico-municipalistica o anche nazionalistica. Il nostro federalismo implica la costituzione di una pluralità di poteri autonomi e non derivati. Non ha nulla a che fare con la logica del decentramento e della "delega".

    Ma l’autonomia piena dei poteri regionali e locali non viene affermata per isolarli. Ogni affermazione di auto-sufficienza è semplicemente puerile in quest’epoca. Autonomia significa anzitutto capacità di relazione, capacità di sviluppare le proprie risorse, di mettere a frutto le proprie forze, in contesti internazionali sempre più difficili, competitivi, dinamici. Diceva un tale: "per conoscere qualcosa di sé bisogna sapere tutto degli altri".

    [Forti] Infatti non si tratta di isolare ma di assegnare compiti specifici ad una squadra, in modo che il lavoro di gruppo (territori) dia maggiori risultati del lavoro del singolo (stato nazionale che si affanna a soccorrere le zone in difficolta, creando difficoltà in altre zone).

    Occorrerebbe approfondire le qualità cooperative che ci sono negli Stati federali (cooperazione orizzontale e verticale), fatti importanti che avvengono anche nei sistemi

    più propriamente competitivi. Purtroppo l’immagine che la Lega ha trasmesso del federalismo è una immagine di egoismo e di isolamento. Non è così, anche se ad una analisi superficiale può sembrare che un giudizio simile possa emergere esaminando la posizione della Svizzera rispetto all UE e della germania verso l’ex Est. Se in Italia esistesse l’autonomia e la cooperazione che esiste tra i cantoni svizzeri, credo che buona parte dei problemi di sviluppo economici sarebbero ricondotti alle normali e fisiologiche differenze che ci sono in qualsiasi paese sviluppato.

    4) Il nostro federalismo è perciò certamente anche un mezzo per realizzare quell’efficienza, quella funzionalità, quella riforma della Pubblica Amministrazione, quell’avvicinamento del meccanismo decisionale alla domanda sociale, alle istanze dei cittadini, senza di cui sarà impossibile non solo competere sul mercato globale, ma anche governare politicamente i problemi sociali di straordinaria complessità che la globalizzazione va necessariamente producendo.

    Ma, oltre a tutto ciò, il nostro federalismo va proposto, va fatto vivere anche ed essenzialmente come un fine. Al di là della battaglia sacrosanta per un riassetto costituzionale che sancisca i poteri originari di Regioni e Comuni al di là di una riforma della Pubblica Amministrazione e del sistema impositivo, che rifletta tale principio, il nostro federalismo si fonda sulla fiducia che possa aprirsi un’epoca in cui le forme di auto-governo da parte di comunità, gruppi, organismi possono trovare uno sviluppo fino ad oggi impensabile. Ben oltre la piena autonomia di Regioni ed Enti Locali, il nostro federalismo ha questa autonomia diffusa come proprio fine. Il crollo di ogni omogeneità di tipo organicistico o ideologico nel mondo contemporaneo (e ciò rende patetici i tentativi di inventarsi "miti d’appartenenza") non significa necessariamente anarchia individualistica. Esso anzi può contenere un’istanza forte di libertà responsabile. E’ questa istanza che il nostro federalismo deve saper esprimere. Esso si fonda sulla capacità della persona di valutare, organizzarsi, decidere e comprendere che la propria stessa "ricchezza" in quanto persona consiste nella "ricchezza" delle sue relazioni, dei suoi "accordi" con gli altri e il diverso da sé. Ognuno ha diritti inalienabili di autonomia, ma questi significano doveri e responsabilità. Il nostro federalismo coniuga il pieno risarcimento della personalità di ciascuno, individuo o gruppo che sia, ad una concezione per la quale ciascuno non è se non in relazione, e tanto più è veramente autonomo quanto più sa rispondere alle istanze, ai bisogni, alle domande di ciò che è distinto, e magari lontano, da sé.

    Il nostro federalismo ha come fine una cultura della persona autonoma e responsabile nell’età della globalizzazione.
     
     

    [Forti] Concordo pienamente e da quanto scritto emerge che, viste le differenze di approccio culturale tra individuo e collettività nelle varie zone del paese (diritti/doveri), il federalismo potrà realizzarsi solo a tappe, tappe geografiche tramite l’acquisto di pacchetti di autonomia ottenibili quando sia l’organizzazione locale, che i rapporti politici economici, che la maturità del rapporto cittadino/stato saranno adeguati. Sono solo in dubbio sull’ultimo aspetto, quello della maturità e qualità del rapporto individuo/collettività. Da un lato noto spesso che un individuo che non abbia un corretto rapporto con la norma (parco di regole e leggi) vi si adegui rapidamente se si trova in un nuovo contesto, ad esempio quando si trova all’estero, inserito in un insieme normativo nuovo. Ecco che l’italiano all’estero non butta le cartacce per terra, si mette in fila, non sorpassa a destra ecc. Eppure si tratta di norme che in patria non segue non tanto perché non le conosce ma perché culturalmente la pressione dell’ambiente lo porta a non osservarle (trasmissione culturale molti a uno). Nessuno le segue e comportarsi in modo virtuoso porta a svantaggi in quanto chi non segue le norme si procura un indebito vantaggio. Dall’altro non credo che basti emanare nuove norme (per esempio un patto federale) per avere improvvisamente che tutti i cittadini diventano virtuosi però il passare da un parco di regole nazionali, uguali per tutti, ad un parco che e’ costituito solo in minima parte da regole comuni ed in maggioranza da regole locali, aiuta sicuramente l’individuo ad identificarsi con norme condivise. Ciò implica, non dimentichiamo di essere coerenti, che polizia e potere giudiziario devono essere locali, come avviene, proprio per questo, nei paesi federali.
     

    5) Il nostro federalismo trova in questo contesto le ragioni del suo essere solidale. Non può trattarsi di appelli moralistici né tantomeno di riedizioni ipocrite del vecchio assistenzialismo. E’ l’interdipendenza a imporre la solidarietà; ogni chiusura egoistica, ogni difesa miope del proprio " particulare", va contro se stessa, genera conflitti che alla fine travolgeranno le stesse "oasi del benessere": Ma assistenzialismo è l’opposto di solidarietà, ed è l’opposto della nostra idea di federalismo. Quest’ultima comporta, come abbiamo detto, la piena fiducia che autonomia amministrativa e impositiva e forme sempre avanzate di responsabilità e auto-governo possano far emergere potenzialità e risorse soffocate finora dalla logica burocratico-centralistica e generarne di nuove. E solidarietà significa mettere a disposizione di queste regioni e di queste aree tutti i mezzi necessari perché queste forze possano esprimersi e svilupparsi. Perciò il nostro federalismo assume anche un’ispirazione profondamente meridionalista.

    [Forti] Vi è di più, a mio avviso. Proprio per non dimenticare gli aspetti economici, occorre ogni volta far osservare a chiunque come nei tre più importanti paesi federali, Stati Uniti, Germania e Svizzera, le differenze territoriali di ricchezza siano assai più ridotte di quelle italiane e francesi, tanto per citare due paesi organizzati in modo centralizzato. Quando parlo della Germania intendo ovviamente quella prima della riunificazione. Ci deve essere un motivo se quei tre paesi federali hanno piccole differenze (e comunque non disparità) ed in progressivo calo, mentre in Italia e Francia le differenze sono così elevate (ed in aumento) da poter parlare apertamente di disparità. L’aspetto discriminante è proprio che mentre i paesi centralizzati vedono alcuni territori dominare (traino economico, egemonia politica, forse anche culturale) quelli federali sono nati in un momento di equilibrio ed hanno fatto di tutto per mantenere vivo, rinnovandolo, questo equilibrio, limando le disparità insorgenti. Il problema del federalismo italiano, e la sua sfida implicita, sta proprio nel tentare la strada federalista in un paese percorso da alti squilibri e da tensioni di ogni tipo. Ora, mentre nei paesi federali, in virtù dei bassi differenziali tra territori, i meccanismi di perequazione orizzontali o verticali sono ridotti, atrofizzati o addirittura assenti, il problema si pone con drammaticità in Italia. Nessuno però lo ha posto correttamente, prendendo il principio di sussidiarietà come metodo per risolvere anche questo problema. Prima di prendere in visione il problema della perequazione e della solidarietà a livello nazionale occorre impostare correttamente il cosiddetto federalismo fiscale, poi impostare la micro perequazione (tra comuni di una provincia) in modo da livellare le disparità città campagna fortemente presenti nelle provincie, poi passare alla perequazione macro regionale (tra provincie di uno stesso bacino) ed infine impostare quella federale, per livellare le disparita’ regionali. Si può saltare qualche passo, ad esempio il livello regionale e fermarsi ad una perequazione orizzontale tra provincie e verticale tra federazione e regioni ma il concetto è che il principio di sussidiarietà ci impone il percorso dal basso anche per il tema delle disparità economiche tra territori. Tutto ciò, come dicevo, parte da un federalismo fiscale ma da non un sistema qualsiasi.

    Il sistema a ripartizione di tributi erariali centrali perpetua opportunismi e dipendenza dal centro. Il sistema a finanze separate permette il calcolo delle potenzialità economiche locali e l’integrazione delle risorse mancanti tramite fondi perequativi ma pur sempre in un ambito competitivo, in cui ogni sovranità politica determina spese e carico tributario con i cittadini e riceve fondi da altri soggetti politici solo se oggettivamente carente di risorse atte a garantire i servizi minimi cosi’ come li si possono definire in modo concorde. E’ il tema cruciale su cui occorrerà tornare molte altre volte.

    6) Il federalismo è un processo. Esso passa certamente attraverso la revisione profonda della Carta costituzionale, ma l’idea che il suo fine possa esaurirsi in essa è semplicemente puerile. Non solo perché le resistenze e le inerzie di tipo centralistico sono destinate a durare comunque ben oltre l’approvazione anche del più avanzato "dettato" costituzionale. Partiti, sindacati, organismi di categoria, le più potenti lobbies parlamentari - tutto in Italia è ancora informato a principii e strutture organizzative di tipo centralistico. Battere queste resistenze, spesso addirittura "involontarie", prodotto di atavici movimenti culturali, comporterà un lavoro politico paziente, organizzato, di lungo periodo. Ancor più questo è vero se ci collochiamo in un’ottica internazionale. Un assetto federalistico europeo è ancora tutto da disegnare. E la Comunità sta procedendo, nel frattempo, secondo una prospettiva assolutamente centralistica e con un pauroso deficit di rappresentatività democratica.

    [Forti] Credo che le resistenze di chi non vuole cedere il potere verso il basso (resistenze al federalismo italiano) siano le stesse che pongono resistenza ad una unione europea. Il soggetto che perderebbe potere, annichilendosi, è infatti sempre lo stesso: lo stato centrale. È destinato a rimanere, nel lungo periodo, senza ruolo e compiti.

    Ma il federalismo va concepito come lungo processo anche per un altro motivo. E’ impensabile che esso possa scattare ad un’ora x uguale per tutte le regioni del Paese. Per alcune le responsabilità conseguenti all’ottenimento della piena autonomia sono assumibili in tempi rapidi, per altre, invece, solo gradualmente e solo nel contesto di quelle forme di solidarietà cui prima facevamo riferimento. La riforma federalista del nostro Stato dovrà perciò svolgersi in corrispondenza alle effettive capacità e alle effettive risorse di ciascuna identità regionale.

    [Forti] A sua volta, aggiungo, ogni regione, o macro regione, sarà pronta solo quando al suo interno avrà delineato i poteri ed i compiti in coerenza con la sussidiarietà. Se non lo fa ed intende rimanere una regione centralista, non riuscirà nell’intento ed assisteremo ad una replica del fallimento regionalista, con la differenza che qualcuno dirà che è il federalismo a fallire.

    7) L’insieme di queste considerazioni - difficoltà e profondità del processo di riforma federalista, pregnanza storica dei suoi fini, consistenza delle resistenze che esso provoca- impongono ai movimenti di ispirazione coerentemente e radicalmente federalista di cercare di darsi forme organizzative più stabili, meno occasionali, più radicate territorialmente.

    Tali forme organizzative non devono affatto essere concepite come pregiudizialmente contrapposte ai partiti tradizionali. Sta di fatto che essi oggi, per la loro immagine, per la cultura politica che esprimono, per la propria struttura organizzativa, non appaiono in grado di rappresentare adeguatamente quelle istanze di autonomia, di auto-governo, quel bisogno di una nuova e più ricca relazione tra cittadinanza e politica, che fondano la nostra idea di federalismo, anche in quanto assetto istituzionale.

    Nelle regioni dove, per motivi culturali e storici, oltre che economici, tali istanze sono più mature è perciò oggettivamente all’ordine del giorno il problema di una formazione di un movimento federalista organizzato. Questo vale con particolare forza per il Nord-Est. Se non sapremo corrispondere a questo obiettivo, è fin troppo rapido prevedere che le stesse tendenze federaliste rifluiranno su posizioni localistico-rivendicazionistiche, di pura protesta populistico-demagogica, determinando, simmetricamente, l’arroccarsi ancor più disperato delle forze politiche tradizionali su posizioni centralistiche, intorno a vuoti, moralistici appelli.

    [Forti] la nascita di forze politiche locali, autonome e con un proprio programma di governo del territorio è condizione fondamentale per arrivare al federalismo e per condurlo avanti come processo. La stessa politica federale (ex-nazionale) diventerà momento di unione federativa dei partiti locali, su base programmatica. Questo diventa anche uno strumento di pressione verso i partiti "nazionali" in quanto essi non gradiscono perdere i numeri attuali e le relative posizioni di forza. Per questo occorre costituire questi partiti locali e legarli alle coalizioni tramite patti, con la dovuta clausola che se un patto non viene rispettato, può anche essere disdetto, togliendo di fatto potere a chi non lo ha rispettato.

    8) Una forza politica regionale di ispirazione coerentemente e radicalmente federalista è una forza federale al suo interno e pronta a federarsi con tutte quelle di ispirazione analoga su scala nazionale ed internazionale. E’ una forza dove, all’interno, vige un rapporto centro-periferia che è l’esatto opposto di quello imperante nel partito politico tradizionale (il cui esempio per eccellenza è oggi la Lega di Bossi!), dove, cioè, il centro motore di ogni iniziativa e di ogni decisione è , per l’appunto, la "periferia".

    [Forti] Mi sembrano concetti perfettamente condivisi. Occorre inoltre spostare l’asse della politica nelle città e nei quartieri e far partire da questi spazi un sistema di milizia politica in cui il cittadino segua la vita democratica e controlli il lavoro degli enti politici. Internet, da questo punto di vista può consentire una vera rivoluzione della politica e della vita democratica, consentendo il dialogo e mettendo a disposizione informazioni utili per decisioni mature e corrette o critiche documentate. Internet consente anche a chi ha poco tempo di tenersi informato e di dare il suo piccolo ma fondamentale contributo. Uno strumento moderno per rimettere la persona al centro della vita politica, della polis.

    Ed è una forza che si propone, all’esterno, come fattore di riforma, di progresso, di modernizzazione dell’intero Paese, un fattore propulsivo in Italia e in Europa. Ancora una volta, l’autonomia è concepita come il fondamento di una politica di apertura nazionale e internazionale. Nessuna autonomia può reggere isolata. Nessuna nazione può sopravvivere alle degenerazioni autarchiche e nazionalistiche.

    9) Per le esperienze fatte in campo amministrativo, per la struttura stessa del proprio "modello" economico, che vede il più completo superamento di ogni logica centralistico-fordista di organizzazione, per la propria stessa "memoria storica", grazie alle stesse diversità che lo compongono, il Nord-Est può davvero rappresentare il punto più avanzato del movimento federalista. E’ certamente il terreno su cui si giocheranno le partite decisive della riforma istituzionale. E’ doveroso prepararsi a tali sfide, culturalmente, politicamente, ma anche organizzativamente.

    [Forti] È questo, l’aspetto organizzativo, quello più preoccupante in Italia. Occorre demolire le resistenze dei 119'000 soggetti decisionali (che però a parte qualche nulla hosta e cartacce varie non decidono nulla di importante) che affliggono l’Italia. Anzi, occorre proprio eliminare questi soggetti, come L’ANAS e tanti altri. Occorre delegificare per sfoltire le 150'000 leggi che rendono arduo procedere con speditezza in qualsiasi progetto.

    Le forze federaliste debbono dare di sé, in queste Regioni, un’immagine coerente, forte, unitaria, assolutamente autonoma.

    In questa direzione ci impegniamo a lavorare senza preclusione alcuna. La a prospettiva federalista suscita domande e attese che vanno di per sé oltre tutti i vecchi steccati e le arcaiche "casematte" della politica tradizionale. Se sapremo soddisfarle, daremo con ciò stesso il contributo più grande al rinnovarsi di una autentica comunità nazionale ed europea.

    10) La società e l’economia del Nord-Est sono ad un passo decisivo. La loro crescita futura dipenderà dalla competitività del loro sistema, non più soltanto dalla capacità produttiva e innovativa degli "individui" che lo compongono. La molteplicità delle iniziative, la varietà delle idee e delle soluzioni, la dinamicità ed elasticità dell’uso dei fattori, che hanno caratterizzato queste Regioni dovranno sempre più accordarsi tra loro, progettare e programmare i propri servizi comuni, la propria infrastruttura di base, materiale e immateriale, dalla formazione alla ricerca, al credito, alle politiche di commercializzazione ed esportazione, alla rete dei trasporti, alla Sanità. E a tutto il sistema amministrativo.

    [Forti] Occorre prendere atto di come sono organizzati, in fatto di compiti sussidiari, gli altri paesi federali. A grandi linee, i compiti comunali sono abbastanza simili (salvo le città Stato che presentano tra loro ovvie differenze) mentre il discorso può cambiare per la distribuzione dei compiti tra comuni e cantoni, comuni e contee, contee e stati/länder. Qui ognuno deve trovare la sua strada. Punti fermi possono essere i poteri federali (solitamente ancorati nella Costituzione, con un livello di dettaglio ben maggiore di quello che emerge ora dalla Bicamerale, assai artigianale e dilettantesco) e quelli comunali, mentre è tutta da costruire la suddivisione di compiti tra province e regioni. Mi pare doveroso ricordare come sia importante concentrare tutti i compiti di gestione nei primi due livelli del federalismo (Comuni e Provincie) evitando che compiti di gestione siano affidati alle Regioni (pena una replica del fallimento regionalista). Alle regioni vanno affidati compiti di coordinamento, di supporto allo sviluppo, il coordinamento delle politiche di bacino (lavoro, ambiente, trasporti) e la relativa legislazione di orientamento. Questo però avverrà solo quando tale compito risulta oneroso per gli enti politici territoriali sottostanti e come frutto di una decisione democratica e consapevole dei cittadini. Non è detto quindi, a seconda dei territori, si debba replicare lo stesso modello di organizzazione e di distribuzione delle competenze. Se cosi’ avvenisse, non sarebbe federalismo. È doveroso ricordare che, differentemente da ciò che traspare dai lavori della Bicamerale, i livelli politici del futuro stato federale non sono "Stato e Regioni" ma "Comuni, Provincie, Regioni e Federazione". La logica (ma anche i principi economici, nonché il rasoio di Occam) vorrebbe che tra i quattro ci sia decisamente un livello di troppo. Alcuni eliminerebbero le Provincie ma come ho detto per me sarebbe come pensare ad una Svizzera senza Cantoni. Altri eliminerebbero le regioni, memori anche del sostanziale fallimento dell’esperimento regionalista ma sapendo il ruolo che le regioni dovranno avere in Europa, mi immagino regioni rifondate interamente come libere federazioni di Provincie ed a questo punto il soggetto di troppo, in eccesso, è destinato ad essere, prima o poi, l’attuale stato. La futura Europa sarebbe in questo caso composta da stati regionali, più o meno come ora gli Stati Uniti d’America.

    Questa prospettiva è la stessa del nostro federalismo: dalla persona, dalla base della persona come complesso autonomo di diritti e responsabilità, alla rete delle sue relazioni, nella quale soltanto essa esiste, s’arricchisce, si sviluppa.

    [Forti] Ecco una sostanziale differenza con lo pseudo federalismo di Bossi, che mette al centro popoli ed etnie inesistenti, scivolando verso il baratro dello stato etnico. Una differenza da ribadire più spesso.

    Il nostro federalismo corrisponde nella sua stessa sostanza agli interessi strategici dei ceti produttivi di questa Regione. Pensare che essi possano essere rappresentati da movimenti di pura protesta, da ideologie intolleranti e regressive o anche da occasionali coalizioni elettoralistiche, poco importa di che segno, è un infantilismo che potrebbe essere pagato a caro prezzo: con l’isolamento, con lacerazioni culturali e sociali, che alla lunga si ripercuoterebbero sulla stessa crescita economica, e comunque con l’incapacità di essere protagonisti del processo di modernizzazione politica del Paese. Ed è impensabile che chi resterà ai margini di tale processo (o lo ostacolerà addirittura) possa poi invece, essere propulsivo in campo economico, nella ricerca, nella innovazione, nella formazione.

    Noi chiediamo a tutte le forze politiche federaliste del Nord-Est, sulla base dei principii generali che abbiamo prima esposto, di dar vita ad un movimento che rappresenti unitariamente e continuativamente questi interessi profondi, queste prospettive di sviluppo, che coincidono con gli obiettivi strategici delle forze produttive di tutto il Paese.



    NORDEST VICENZA - VIA SS. APOSTOLI, 51 c.i.p. - 6 FEBBRAIO 1998

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