Premessa.
Ritengo che una vera risposta sarebbe possibile solo a consuntivo;
dopo una decina di anni, a cose fatte. Questa sarebbe una risposta
vera, nel senso che potremo dire SI o NO osservando ciò che è
realmente successo. Oggi possiamo solo fare ipotesi, in base alle conoscenze
attuali sia della situazione italiana, sia di quella di altri paesi federali
o centralizzati. Per ipotizzare tuttavia occorre conoscere e noi non abbiamo,
in Italia, una consapevolezza delle specificità del federalismo
che ci aiuti in quetsa decisione. Non ne abbiamo perché non abbiamo
esperienza diretta di cosa sia il federalismo. Questo è normale
perché non siamo un paese federale. Possiamo quindi solo confrontarci
con le esperienze degli altri e con le teorie che discendono da quelle
esperienze. Possiamo accettare o rifiutare le esperienze e le teorie altrui,
naturalmente, e ciò avviene a seconda che esse siano vicine o lontane
al modo di pensare di ognuno di noi. Ovviamente non possiamo decidere di
cambiare a scatola chiusa, osservando i risultati solo dopo. Chi vuole
cambiare vuole anche sapere prima verso cosa e come. Ha perfettamente ragione.
Solo che non può pretendere di essere sicuro al 100% di cosa succederà
e di come avverrà il cambiamento. Se una simile cosa fosse possibile
non avremmo certo i problemi che l'umanità ha oggi.
Le domande.
Fatta l'opportuna premessa, svolgerei la discussione sotto il profilo
analitico, suddividendo in fasi le mie risposte.
Cambiare: perché?
Oggi l'Italia non è un paese federale. Ipotizzare il federalismo
per l'Italia significa premere per una profonda trasformazione di tutta
la società. Prima di impegnarci in una così grande impresa
occorre chiederci perché. Di solito si vuole cambiare perché
non si è soddisfatti della situazione presente. Chi fa le cose in
modo ordinato ed organizzato, partirà da un elenco di cose che non
vanno per poi approdare ad una o più idee di soluzione. Le soluzioni
prospettano scenari in cui i problemi attuali sono risolti. A parte quindi
le soluzioni che vedono una riparazione della cosa che non va, le altre
soluzioni innovative, che producono cose nuove, saranno basate su sistemi
radicalmente diversi. Se per esempio siamo insoddisfatti di una motocicletta,
per le cadute e per quando piove, la soluzione sarà un veicolo a
4 ruote e coperto, dotato quindi di un diverso assetto in curva e di una
diversa impostazione di quida. Se la soluzione - il cosa -
è convincente (convince la maggioranza) si può passare alla
fase progettuale - il come - ed anch'essa necessita di una approvazione
democratica. Si passa poi alla fase esecutiva vera e propria e lì
si osserveranno poi i risultati, sulla cui analisi baseremo le successive
fasi migliorative. Bisogna ovviamente essere coerenti, quando si cambia.
Occorre andare fino in fondo. Inutile proporre di mettere il manubrio invece
del volante o proporre ibridi a tre ruote, solo perché si ha paura
a fare tutti i cambiamenti necessari.
Questo modo di procedere mi fa pensare che ci sia qualcosa di strano
nella terza domanda, che vorrei per questo affrontare per prima. E' chiaro
che uno dei maggiori problemi attuali italiani è dato dalle notevoli
differenze economiche nel territorio. Le differenze sono sia macro regionali
(nord, centro e sud) ma anche regionali e provinciali, perché dentro
le regioni vi sono ulteriori divari legati sia al rapporto tra provincie
diverse sia alla differente ricchezza dei capoluoghi regionali e provinciali
rispetto alla campagna. Per prima cosa è chiaro che se l'assetto
centralizzato fosse in grado di risolvere questo problema, non saremmo
qui a chiederci se il federalismo lo risolve o meno, e come.
Federalismo perché?
Potremmo discutere se il federalismo sia più o meno utile per
altri aspetti (organizzazione, burocrazia …) ma non per questo. Inutile
quindi chiederci se sia meglio posticipare il federalismo a quando avremo
regioni autonome (e quindi economicamente autosufficienti) perché
allora non avremmo più bisogno del federalismo. D'altra parte è
sotto gli occhi di tutti che, stante la situazione attuale, l'assetto centralizzato
non ha risolto affatto questo problema. Non lo ha risolto in 140 anni di
unità nazionale; non lo ha risolto nei periodi di crisi ed in quelli
di boom. Il divario, pur oscillando, è andato sempre aumentando,
dato che il Nord e le Città hanno avuto ritmi di crescita superiori
a quelli del Sud e delle Campagne. Un fenomeno molto simile lo si osserva
in Francia, con la crescita tumultuosa della regione di Parigi.
Il divario nei paesi federali.
Sull'altro fronte si osserva che nei paesi federali il
divario è inferiore a quello italo/francese e pur oscillando
in funzione di fenomeni congiunturali, pare essere in lenta diminuzione,
anche in presenza di una forte crescita dell'insieme della ricchezza del
paese. Si può magari dissentire a seconda dei dati matematici e
statistici che si hanno a disposizione ma chiunque viaggi per la ex Germania
ovest o per la Svizzera trova una ricchezza egualmente distribuita. Questo
è dovuto a molti fattori tra cui uno dei principali è dato
sicuramente dalla qualità del welfare state. I dati (Eurostat) che
ho a disposizione indicavano per il 1984 che la Germania era il paese con
le minori disuguaglianze regionali (indice di Ghini a 0,058) e che l'Italia
era il paese con quelle maggiori (0,125). Questo è legato al fatto
che i paesi federali nascono proprio da una situazione di partenza di equilibrio
tra i contraenti del foedus, anche se per la Svizzera di 700 anni fa nessuno
può confermarlo, visto che dubito che allora si calcolasse il PIL
, tanto meno quello regionale o l'indice di Ghini. Per quanto riguarda
la Germania post riunificazione va detto che il divario creatosi subito
dopo la caduta del muro di Berlino si è ridotto di molto, diventando
di nuovo inferiore a quello italiano. Una cosa che in Italia non è
mai successa. Va inoltre detto che anche le differenze di pil pro capite
sub nazionale negli stati USA sono inferiori a quelle regionali italiane,
considerando ovviamente le dimensioni delle entità sub nazionali
in fatto di popolazione.
La misura del divario subnazionale.
Ogni nazione, centralizzata o federalista, ha picchi di ricchezza locali.
Solo che in Italia sono
grandi regioni ad essere ricche (Lombardia) e povere
(Calabria, Campania, Sicilia) mentre nei paesi federali questi picchi
rappresentano piccole entità (di solito città stato come
Ginevra
e Basilea,
Amburgo
e il minuscolo distretto della Columbia)
mentre il grosso della popolazione vive attorno alla media nazionale. In
Italia e Francia
invece sono pochi a vivere attorno alla media ed il 90% vive o sopra o
sotto. Il divario quindi si misura osservando la dimensione quantitativa
dello scostamento dalla media. Se in un Paese abbiamo 100 persone, di cui
98 nella media, una molto ricca ed una molto povera, avremo un basso divario.
Se abbiamo invece solo 2 persone nella media, 49 molto ricche e 49 molto
povere, avremo un divario impressionante. Matematicamente le due popolazioni
potrebbero avere la stessa media (come i famosi polli di Trilussa) ma è
chiaro che differiscono per deviazione standard. Se poi ricchi e poveri
sono concentrati geograficamente in aree diverse, abbiamo un divario geo
economico. Il problema è come passare da una realtà del secondo
tipo (elevato divario) ad una del primo tipo (basso divario).
Divari: destino immutabile?
Detto questo è chiaro che uno degli aspetti più interessanti
del dibattito politico è se sia possibile avere un federalismo in
un paese dai forti divari oppure se questa condizione sia essa stessa di
ostacolo al federalismo. Per rispondere, o per lo meno per tentarci,
occorre capire perché il divario aumenta in un paese centralizzato
e perché invece in uno federale è inferiore. Un classico
esempio può essere fatto per la Svizzera osservando
la crescita del piccolo Canton Zugo, il più povero ad inizio
secolo, il più ricco oggi. Ciò può portarci a ritenere
che una piccola realtà in grado di autogovernarsi può capovolgere
la sua posizione, in quanto diventa arbitro del proprio destino politico
ed economico ed inoltre è inserito in un contesto cooperativo e
sussidiario che lo sostiene. Una situazione simile è accaduta per
il Ct. Ticino, che da una realtà di assoluta povertà dell'inizio
del secolo è approdato ad essere nella media svizzera, posizione
ovviamente di rilievo elevato, dato che la media svizzera e' una delle
più alte del mondo. Situazione simile per l'Alaska, negli Stati
Uniti. Sembrerebbe che il sistema federalistico sia più dinamico,
caratterizzato da equilibri in continua evoluzione.
Le differenze di Sistema.
Il sistema centralizzato vede una scarsa autonomia locale e quindi
tutto dipende dalle decisioni del centro politico governativo, preda di
molteplici ed opposte pressioni locali che portano il centro all'immobilismo
ed a lasciare crescere chi è già forte. Il sistema federalista
vede una situazione opposta: una rete di autonomie politiche ed economiche
legate da una struttura unica - stesse leggi federali, unico welfare state
- ma libere di muoversi, in cooperazione ed in competizione, di crescere
in base al risultato di azioni locali e di azioni comuni.
Le risposte.
Alla luce di quanto detto ritengo che alla prima domanda si debba rispondere
che non solo è possibile ma che addirittura è auspicabile.
Il risultato non sarebbe certo istantaneo, ma misurabile comunque in tempi
non storici, nell'arco quindi della vita di un individuo. Non basta ovviamente
solo il federalismo. Oggi in Italia abbiamo a mio parere un pessimo welfare
state, che non distribuisce bene la ricchezza. Le due
riforme sono da portare avanti contemporaneamente, anche perché
il federalismo ha influenza in buona parte del welfare, soprattutto
nella parte gestionale locale, mentre le regole generali di indirizzo sono
solitamente nazionali.
Alla seconda domanda risponderei che non è il federalismo a debellare
ma che sono gli uomini a farlo, quando sono inseriti in un diverso contesto
strutturale. Anche oggi si vorrebbe ma non ci si riesce; l'insuccesso,
al di là delle oscillazioni congiunturali, è sotto gli occhi
di tutti. E' il sistema a frenare, disperdendo le energie, ostacolando
le iniziative dei singoli (individui, enti, gruppi, città, consorzi,
distretti, provincie, regioni …). Un diverso assetto, un diverso sistema,
potrebbe invece fare da leva, da trampolino, da agente moltiplicatore.
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