Progetto Italia Federale

Approfondimenti
a cura di Francesco Paolo Forti
Devolution con il trucco 
(Sergio Fabbrini)
da www.lavoce.info
 Progetto Italia federale: Home Page
 Ultimo aggiornamento: Marzo 2003
 
Sergio Fabbrini
27-02-2003

Non è vero che gli stati federali nascono solo come aggregazione di entità autonome. E la devolution all’italiana non va criticata perché troppo federalista, ma perché non lo è abbastanza. Manca infatti un Senato delle Regioni.
 

C’è un fraintendimento nell’attuale dibattito sulla devolution italiana che meriterebbe di essere chiarito. Se non altro per individuare il vero problema sollevato dal progetto leghista. Il fraintendimento è nell’opinione che gli stati federali nascano, per così dire, federali. Cioè che essi siano necessariamente l’aggregazione di unità territoriali precedentemente separate. Insomma, si sostiene, non si possono introdurre assetti federali all’interno di strutture istituzionali di tipo unitario. Di qui, la conclusione che il progetto leghista vada combattuto perché, se si introducono quegli assetti, si rischia di generare un disordine tale da mettere in discussione la stessa coesione nazionale. E, nel nostro caso, il principio costituzionale dell’Italia "una e indivisibile" (celebrato dall’articolo 5 della Carta).

Gli altri Stati federalisti

Naturalmente, il progetto leghista mette in discussione la coesione nazionale. E la mette in discussione in modo radicale. Ma ciò avviene perché quel progetto è tutt’altro che federalista, e non già perché quel progetto vuole favorire l’impropria federalizzazione del nostro stato unitario. Di qui il fraintendimento che gli stati federali esistenti siano tutti "nati federali". Ma così non è. Se si considerano i sette stati federali occidentali stabilmente democratici si può vedere che essi si distinguono significativamente sul piano della loro genesi istituzionale. Certamente, i primi paesi divenuti federali sono nati per aggregazione di unità territoriali precedentemente separate. È avvenuto così innanzitutto negli Stati Uniti (nel 1787), poi in Svizzera (prima nel 1848 e successivamente con la riforma del 1874), quindi in Canada (nel 1867) e infine in Australia (nel 1901). Comune a questi paesi, inoltre, è il criterio adottato per stabilire la distribuzione dei poteri tra le unità preesistenti e la nuova aggregazione federale: "fissiamo le (poche) competenze che spettano al centro federale e tutto il resto lo affidiamo agli stati federati".

Assai diversa è stata l’esperienza degli stati "divenuti (o ridivenuti) federali" nel secondo dopoguerra: la Germania (nel 1949), l’Austria (che ha ripreso la sua costituzione federale del 1920) e quindi il Belgio (nel 1993). Nel caso della Germania il federalismo è stato imposto dagli Alleati a un sistema istituzionale che era divenuto iper-centralizzato con il nazismo. E, naturalmente, attraverso la disaggregazione di uno stato precedentemente unitario è stato introdotto il federalismo in Belgio, con la riforma della costituzione del 1993. I nuovi federalismi per disaggregazione hanno finito per adottare un diverso criterio per stabilire la distribuzione dei poteri tra le unità federate e il centro federale: "fissiamo ciò che è proprio del centro e ciò che è proprio degli stati/comunità/laender e tutto il resto verrà affidato alla loro collaborazione". Per questo motivo si parla, nei caso dei primi paesi, di federalismo competitivo e, nel caso dei secondi, di federalismo cooperativo. Competizione e collaborazione, comunque, istituzionalmente governate da un senato rappresentativo delle unità territoriali, ben collocato al centro del sistema istituzionale.

Federalismo e integrazione europea

Non solo vi sono stati casi importanti federalismo per disaggregazione nel passato, ma è probabile che ve ne saranno altri nel futuro. Infatti, il processo di integrazione europea sta spingendo sensibilmente verso l’attivazione di robuste unità regionali all’interno degli stati membri della Ue. In particolare dalla seconda metà degli anni Ottanta, con l’avvio dei vari programmi (detti dei fondi strutturali e di coesione sociale) finalizzati a ridurre le differenze economiche tra le regioni europee, la Commissione ha incentivato la formazione di Regioni anche in quegli stati a più consolidata tradizione unitaria (dalla Gran Bretagna alla Grecia). Se non altro perché gli stati membri privi di unità regionali sarebbero stati esclusi dalla distribuzione delle risorse comunitarie. Per di più, il processo di integrazione europea ha progressivamente scongelato le tradizionali identità territoriali che molti stati nazionali avevano messo a tacere nel corso del tempo. E si sono moltiplicate le arene istituzionali e para-istituzionali in cui ricomporre le loro esigenze con quelle del centro. Così, la Ue è divenuta un sistema a più livelli decisionali. Quote della sovranità dei suoi stati membri sono emigrate sia verso Bruxelles che verso le loro regioni interne.

Se così è, allora la critica al progetto devoluzionista andrebbe motivata diversamente. Ciò che è criticabile non è la devolution in quanto tale, ma la strategia che la sostiene. Che è quella di smembrare lo stato, non già di riorganizzarlo diversamente. Infatti, la devolution dei poteri alle Regioni non è accompagnata dalla proposta di istituzionalizzare, al centro, un senato che le rappresenti. E poiché ogni processo di devoluzione implica inevitabili conflitti tra il centro e le Regioni, l’assenza di un’arena in cui ricomporli trasformerebbe la devolution nella paralisi dello Stato nazionale. Così giustificando l’eventuale secessione delle Regioni più forti. Ciò che la Lega ha in mente, dunque, non è un’Italia federale, ma una pluralità di "Italie" tra di loro indipendenti e internamente accentrate. Come è accentrato, d’altronde, il modello organizzativo del partito leghista. Insomma, a ben guardare, la strategia leghista è finalizzata a promuovere il secessionismo, e non già il federalismo. Non sarebbe meglio, allora, criticare quella strategia con le ragioni della riforma e non della conservazione?