Progetto Italia Federale

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a cura di Francesco Paolo Forti
Il Federalismo e solidarietà: 
quale incontro?
(di Maurizio Giordano)
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 Ultimo aggiornamento: Gennaio 2003
 
 

Caritas Italiana

Fondazione E. Zancan

"Rapporto 2002 su esclusione sociale e diritti di cittadinanza"

Federalismo e solidarietà: quale incontro?

di Maurizio Giordano

Mutamento dei sistemi socio-economici e nuovi modelli di protezione sociale


E' diffusa la consapevolezza della fine di un modo di intendere le politiche sociali, basato sul binomio eguaglianza-solidarietà, garantito da uno Stato concepito quale garante e del compromesso che legava produzione, prelievo fiscale, redistribuzione di una quota più o meno alta di reddito in spese di protezione sociale a tutela dei soggetti più deboli o, comunque, non rientranti nel circuito lavorativo (per età, condizioni di salute, disoccupazione). Un compromesso alto, che ha caratterizzato le democrazie occidentali della seconda metà del Novecento e che era omogeneo al processo produttivo, impostato su grande industria e lavoro duraturo e sulla piramide demografica, che vedeva una ampia base giovanile ed una ristretta cuspide anziana.

La trasformazione del modo di produrre, la necessità di privilegiare il momento distributivo - commerciale, la disseminazione delle sedi di produzione su base planetaria inseguendo i luoghi di minor costo del lavoro (per il prevalere dell'offerta, per i bassi livelli di imposizione fiscale e parafiscale, per la scarsa attenzione alla sicurezza dei luoghi di lavoro), l'invecchiamento della popolazione, hanno messo in crisi quel modello i cui costi economici e burocratici sono divenuti troppo elevati, mettendo fuori mercato proprio quelle economie nazionali i cui Stati garantivano un accettabile grado di sicurezza sociale. Paradossalmente, i successi tecnologici, scientifici, sociali hanno provocato effetti negativi per le Nazioni che più delle altre ne sono state protagoniste, tanto da far guardare, ad esempio, con preoccupazione il fatto che si viva più a lungo ed in miglior salute!

Non è questa la sede per un approfondimento critico del processo di divaricazione tra sviluppo socio - economico e sistemi generalizzati di protezione sociale, ma certamente non vanno trascurati il dato del centralismo burocratico e la sottostima dell'apporto che persone, famiglie, corpi sociali avrebbero potuto dare se coinvolti in modo "costitutivo" e non soltanto come passivi destinatari del sistema. Mi riferisco solo ad uno dei tanti aspetti critici, perché è proprio su questo che sta avvenendo il cambiamento di rotta nel modo di intendere il principio di sussidiarietà di tipo tecnicistico e razionalizzante, nel quale l'ente maggiore (comunità sopranazionale, Stato, regione, etc.) si ritira, abbandona il campo, "lasciando fare" all'Ente minore (famiglia, persona, corpo intermedio) sulla base di scelte di convenienza, oppure si tratta di una forma di sussidiarietà che si incentra sulla persona (principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali), sulla solidarietà (perché se ogni persona è un unicum, è anche vero che lo è su una base di uguaglianza della dignità di tutte le persone) sul bene comune di tutto l'uomo e di tutti gli uomini cui deve tendere ogni sistema sociale?

Stiamo parlando di una differenza di impostazione che si riversa con un interrogativo che interessa da vicino l'Italia in questo preciso momento, sul federalismo da attuare: federalismo competitivo o federalismo solidale?
 

Federalismo competitivo o federalismo solidale?
 

La risposta a questi due quesiti - quale solidarietà, quale federalismo - darà la chiave di lettura del modo di rapportarsi della società nel suo complesso con la sua parte più "invisibile", gli esclusi. E la risposta non potrà che passare attraverso il modo col quale si darà attuazione al quadro legislativo che sul piano sociale è stato configurato nell'ultimo decennio ed alla lettura che di esso sarà fatta alla luce della legge n. 3/2001 di riforma del Titolo V della seconda Parte della Costituzione.

La produzione legislativa dell'ultimo decennio ci ha infatti consegnato le grandi leggi delle autonomie e dal Terzo settore: la riforma delle autonomie locali, le leggi di decentramento (il cosiddetto federalismo amministrativo delle leggi n. 59 e 127 del 1997 ed il successivo decreto legislativo di conferimento di poteri e funzioni a Regioni ed enti locali, n. 312/1998), la disciplina degli organismi di volontariato, delle organizzazioni non governative, della cooperazione sociale, delle fondazioni bancarie, l'istituzione delle associazioni di promozione sociale, la regolamentazione tributaria delle ONLUS. Ma ci ha anche consegnato le riforme delle pensioni, della sanità e del pubblico impiego a seguito della legge delega n. 421/1992 e, nell'area più strettamente socio-assistenziale, la disciplina delle tossicodipendenze, dell'handicap, dell'immigrazione, del servizio civile, per finire con la legge quadro n. 328/2000 di riforma dell'assistenza sociale.

Ora tutte queste leggi sono sottoposte ad un doppio esame: uno, sul piano politico e culturale, perché è profondamente cambiato il clima rispetto alle concezioni dominanti nel momento della loro emanazione; un altro, sul piano ordinamentale, perché dovranno confrontarsi con la distribuzione della potestà normativa tra Stato e Regioni con la diversa attribuzione del potere impositivo, con la nuova centralità del Comune, introdotte dalla riforma costituzionale.

E' un doppio esame fa affrontare in un quadro economico-finanziario di particolare criticità, e di fronte ad aspettative della popolazione fortemente crescenti. Difficilmente potrà, infatti essere aumentata la quota di Prodotto Interno Lordo impegnata in spese di protezione sociale, da tempo assestata su un livello (circa il 25%) inferiore alla media europea: lo stato del deficit pubblico e il patto di stabilità che lega i paesi europei sono elementi difficilmente superabili e i più forti stanziamenti potranno derivare solo ad un accelerato sviluppo dell'economia.Ed anche rispetto alle esigenze ed alle aspettative della parte più debole della popolazione, come del resto si evince dal presente Rapporto, permetteranno i tradizionali punti di criticità connessi all'invecchiamento della popolazione alle debolezze della famiglia, ai fenomeni collegati ai movimenti migratori, alle conseguenze della progressiva precarizzazione del lavoro con elementi di insicurezza e debolezza economica che si proiettano anche sul livello delle future pensioni.
 

Nuove responsabilità in un mutato assetto costituzionale
 

Si prospetta un periodo di incertezza sulle sorti della legislazione sociale di fronte al nuovo disegno costituzionale, sui concreti comportamenti delle Regioni, sulla possibilità dei Comuni di far fronte al ruolo centrale assegnato loro dall'art. 118 della Costituzione, sul futuro assetto del sistema tributario che vede Stato, Regioni, Enti locali nella veste di soggetti impositivi autonomi.

Allo Stato, restando ai temi di più diretto interesse con riferimento alle politiche sociali ed alla persona, è ora attribuita potestà normativa esclusiva in materia di diritto d'asilo, immigrazione, cittadinanza (che riguarda lo status delle persone fisiche giuridiche e, quindi, per fare un esempio, dovrebbe comprendere l'aspetto soggettivo del volontariato), previdenza sociale e determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (ed è questa la parte di maggiore impatto in tema di tutela delle persone più deboli).

In tema di tutela della salute, di tutela e sicurezza del lavoro e di istruzione si avrà invece potestà normativa concorrente tra Stato e Regioni: queste ultime dovranno legiferare nell'ambito dei principi fondamentali determinati dalla legislazione statale.

In tutte le altre materie - e tra queste l'assistenza ed i servizi sociali - la potestà normativa appartiene in via esclusiva alle Regioni.

Gli altri due aspetti da sottolineare riguardano, nell'ordine, l'attribuzione in via originaria e generale ai comuni di tutte le funzioni amministrative, ad eccezione di quelle, da stabilire con legge dello Stato o delle Regioni, che necessitino di un livello unitario più elevato e l'attribuzione dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa alle Regioni ed agli Enti locali con possibilità di tributi ed entrate proprie.
 

Alcuni rischi nell'esercizio della sussidiarietà
 

Il nuovo quadro costituzionale pone alcuni problemi di fondo rispetto ai temi di esclusione sociale, dei diritti di cittadinanza, del binomio "solidarietà-eguaglianza", cui sembra gradualmente sostituirsi - negli atteggiamenti della popolazione e nelle sue scelte politiche - il binomio "libertà - competitiva". E sono problemi la cui concreta soluzione influenzerà il livello di vita dei cittadini più deboli ed il loro rapporto con il resto della popolazione. E' bensì, e fortunatamente, vero che restano i principi fondamentali di diritto - dovere di solidarietà e di parità effettiva, e non solo proclamata, della dignità delle persone - e perciò delle condizioni reali di vita e esercizio dei diritti di cittadinanza - posti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione. Ma è altrettanto vero che le condizioni dell'esercizio della sussidiarietà introdotta dai nuovi artt. 114 e seguenti della Costituzione possono prestarsi a diverse letture da parte del legislatore ordinario, nazionale e regionale e non possono non riflettere le maggioranze politiche del momento.

Una prima questione risiede nei limiti della legislazione regionale, posta su un piano di parità con quella statale e vincolata, come questa, soltanto dalla Costituzione, dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. In altre parole, è venuto meno quel divieto di essere "in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni" che caratterizzava il vecchio art. 117, a tutela di una certa coerenza del quadro normativo nazionale e soprattutto delle Regioni più deboli. A ciò si debbono aggiungere il ruolo internazionale riconosciuto alle stesse Regioni (altro veicolo attraverso il quale possono passare accordi economici o rapporti di favore) e la possibilità di ulteriori forme e condizioni di autonomia attribuibili a singole Regioni con legge ordinaria, sia pure approvata dal Parlamento a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata.

Altro elemento di ambiguità si ritrova nel comma 3 dell'art. 119, che prevede l'istituzione, con legge dello Stato, di un fondo di perequazione, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante, che sostituisce la precedente normativa che disponeva: "Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali". A questo riguardo vanno evidenziati alcuni nodi problematici: l'aver tralasciato di indicare tra le priorità il Mezzogiorno e le Isole, secolare anello debole (anche se oggi non più generalizzato all'intero territorio ma diversificato a seconda delle diverse realtà locali); le difficoltà di interpretazione dell'espressione capacità fiscale"; il fatto che il Fondo dovrebbe concorrere con le altre fonti finanziarie (tributi statali, regionali, locali) nella copertura integrale delle funzioni pubbliche attribuite alle Regioni (ma nessuna di queste è a questi fini autonoma, neanche le più ricche!). tutti questi elementi suscitano molte perplessità rispetto all'effettivo grado di redistribuzione della ricchezza nazionale in favore delle Regioni (e, di conseguenza, dei cittadini) più deboli.

Il terzo elemento problematico che assume rilievo fondamentale è quello della interpretazione che sarà data alla materia, attribuita alla competenza normativa esclusiva dello stato, della "determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale". Competenza rafforzata dal 2° comma dell'art. 120, che attribuisce al governo il potere sostitutivo di organi delle Regioni o degli Enti Locali quando lo richieda "in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni" concernenti tali diritti. Quali diritti prendere in esame? Quelli della prima parte della Costituzione, o anche quelli di nuova generazione? E quale tipologia di prestazioni? E, ancora, a quale livello fare riferimento: quello minimo, di base, o quello corrispondente ad una valutazione dei bisogni che tenga conto di criteri etici e sociali oltreché delle risorse disponibili? E gli standard dei servizi e delle prestazioni rientrano in questi livelli?

I temi in discussione sono, come si vede da questi pochi cenni, numerosi e complessi: più precise considerazioni potranno essere fatte dopo che sarà emanata la legge di prima attuazione della riforma costituzionale che dovrà - direttamente o mediante ricorso a decreti delegati - individuare i principi fondamentali dell'ordinamento statale, i tempi di trasferimento dei poteri normativi, l'attribuzione di patrimoni e risorse, il sistema dei controlli.

Certamente la gestazione non sarà breve ed è prevedibile un intenso ricorso alla Corte costituzionale per possibili conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni: ritardi e complessità che potrebbero condizionare negativamente l'attività di Regioni ed Enti locali nelle politiche sociali, con ripercussioni pesanti sulle persone e famiglie più esposte, e questo particolarmente per gli aspetti connessi alla ripartizione delle entrate tributarie tra stato e Regioni, snodo attraverso il quale passa ogni ipotesi di concreto intervento sul piano sociale e sanitario.
 

Quali ricadute in tema di sanità, assistenza e volontariato
 

Venendo ora, brevemente, a tre temi trattati in questo Rapporto , possono essere aggiunte alcune ulteriori precisazioni. Per la sanità, a prescindere dal disegno di legge costituzionale approvato dal Governo ed attualmente in discussione in Parlamento, che attribuisce ulteriori competenze in via esclusiva alle Regioni, non sono prevedibili sostanziali modificazioni. E' stata, infatti, confermata la competenza legislativa concorrente Stato-Regioni, per cui queste ultime continueranno a legiferare nell'ambito dei principi fondamentali determinati con legge nazionale. Resterà quindi il quadro delineato dalla riforma-ter (decreto 229/1999) e dal Piano sanitario nazionale, salvo ovviamente modifiche che potrebbero essere approvate autonomamente da Governo e Parlamento. Il vero problema sarà invece quello economico che, a seguito del patto di stabilità interno Stato-Regioni, costringerà queste ultime ad adottare politiche restrittive o ad introdurre più elevate quote di partecipazione da parte dei cittadini.

In tema di assistenza le novità sono invece radicali, essendo la stessa divenuta di esclusiva competenza delle regioni, che troveranno limiti soltanto riguardo alle poche materie (immigrazione, cittadinanza, livelli essenziali delle prestazioni) rimaste nella competenza statale.

Questo però significa che gran parte della legge 328/2000, che ha dato assetto organico al sistema di prestazioni ed interventi sociali, non ha più valore cogente nei confronti delle Regioni. Di tale legge potranno restare alcuni aspetti: ruolo del Terzo Settore, diritti fondamentali, livelli essenziali, fondo nazionale, profili professionali e, ma la questione è dibattuta, tutto il settore riguardante la disciplina della trasformazione delle IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza). Tutto il resto è demandato alle Regioni: libere quindi di adottare i principi ed i criteri della legge 328/2000, ma in virtù di una autonoma scelta, non in quanto vincolate da una legge quadro dell'assistenza, che nel nuovo quadro costituzionale non ha più cittadinanza. Il timore è che un punto di equilibrio di elevato livello ed una visione di integrazione e programmazione dei servizi e delle prestazioni a tutela delle persone e delle famiglie più deboli ed emarginate possa essere disatteso dalla legislazione regionale.

L'ultimo punto riguarda il volontariato, rispetto al quale occorre distinguere tra 2status" di volontariato ed attività svolta dal volontariato. Rispetto alla qualifica ed agli elementi che caratterizzano la figura del volontario, ed essendo in presenza di una questione di "status", cioè di cittadinanza, la competenza normativa resta esclusiva dello stato. Diverse, invece le competenze rispetto all'attività svolta dal volontariato, che seguiranno lo specifico dettato costituzionale: competenza regionale, in materia di attività socio-assistenziale; competenza regionale, in materia di attività socio-assistenziale; competenza concorrente Stato-Regioni, in materia sanitaria; competenza esclusiva dello Stato, in materia di ambiente o beni culturali, e così via.

Anche per questi versi, in definitiva, le conseguenze del nuovo quadro ordinamentale sulla parte "invisibile" della cittadinanza, che indubbiamente risentiranno della eterogeneità e disuguaglianza delle risposte insite negli ordinamenti federali, che premiano le autonomie più forti, dipenderà da diversi fattori, tra i quali saranno decisivi: la capacità dello Stato di farsi garante di un federalismo solidale, utilizzando in primo luogo gli strumenti dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali e del fondo perequativo e soprattutto la capacità di ascolto e di reazione della società civile, condizione indispensabile per una lettura ed applicazione delle leggi mirata all'esercizio dei diritti di cittadinanza da parte di tutte le persone su un piano di effettiva parità.