Progetto Italia Federale

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a cura di Francesco Paolo Forti
EFFETTI TANGIBILI DEL FEDERALISMO IMPERFETTO E INCOMPLETO
(Avv. Marcello Russo)
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 Ultimo aggiornamento: 10 febbraio 2002
 


 

TAR ABRUZZO-L'AQUILA- Sentenza 9 gennaio 2002 n. 7-Pubblicata il 17.1.2002- Pres. Speca, Est. Rasola- Angelo Rosa ed altri c. Regione Abruzzo e nei confronti di Rocco Salini ed altri.

Elezioni regionali. Incandidabilità di consigliere inserito nel "listino". Nullità della proclamazione di tutti gli eletti. Rinnovazione dell'intero procedimento elettorale.

1. Il consigliere regionale  "incandidabile" non perde la qualità di parte del giudizio per essersi dimesso restando titolare di un interesse quanto meno morale alla decisione del ricorso.
2. Nelle controversie in materia elettorale la costituzione in giudizio dinanzi al TAR può avvenire fino alla prima udienza di discussione ma solo al fine di discutere oralmente la causa.
3. Nei giudizi elettorali unica legittimata passiva è l'Amministrazione interessata che si appropria degli effetti conseguenti alla consultazione elettorale mentre non sono considerati legittimi passivi né l'Ufficio elettorale centrale regionale né quello circoscrizionale.
4. Nel giudizio elettorale l'atto impugnabile è quello di proclamazione degli eletti che conclude il procedimento.
5. Nel procedimento giurisdizionale ordinario il ricorso deve essere notificato tanto all'organo che ha emesso l'atto impugnato quanto ai controinteressati. Per l'ammissibilità del ricorso è sufficiente che il contraddittorio sia validamente costituito nei confronti di almeno uno degli interessati non anche della Regione nei confronti della quale può essere  successivamente integrato il contraddittorio.
6. I consiglieri che hanno sostituito altri dimissionari non sono parti necessarie nel processo giacchè queste vanno  individuate al momento della proposizione del ricorso.
7.Il Giudice amministrativo può conoscere, incidenter tantum, a prescindere da ogni richiesta delle parti, anche delle questioni relative allo stutus  di eleggibilità.
8. I consiglieri regionali  dalla proclamazione dei quali si discute debbono  essere considerati interventori ad adiuvandum e non controinteressati se svolgono argomentazioni difensive in parte collimanti con quelle dei ricorrenti ed in parte divergenti: l'atto di intervento deve essere notificato a tutte le parti del giudizio.
9. Il soggetto che ha titolo per ricorrere contro un atto amministrativo non è legittimato a proporre intervento ad adiuvandum nel ricorso proposto da altri e ancor meno ha titolo per proporre motivi nuovi ampliando l'oggetto del giudizio.
10. L'incandidabilità prevista dall'art. 15.1 della L. 19.3.1990 n. 55 integrata dalla L. 18.1.1992 n. 16 è configurabile come "nuova incapacità giuridica speciale". La finalità della norma è quella di sanzionare l'indegnità derivante dalla condanna penale e di inibire che soggetti moralmente censurabili e per i quali sono venuti meno i requisiti della onorabilità e correttezza, che devono  caratterizzare la personalità di chi aspira a svolgere pubbliche e delicate funzioni elettive, possano accedere alle relative cariche, tant'è che l'eventuale elezione o nomina di chi si trovi nelle  suindicate condizioni è sanzionata con la "nullità" e non con la semplice "annullabilità", ex art. 15.4 L. n. 55/1990.
11. Non è riconducibile l'istituto dell'incandidabilità, che priva in radice dell'elettorato passivo, alle pene accessorie alle quali l’art. 166 c.p. estende la sospensione condizionale della pena.
12. L'art. 15 della L. n. 55/1990 è tuttora applicabile alle elezioni di consiglieri regionali e non deve ritenersi abrogato dall'art. 274 lett. V) del D.lgs 18.8.2000 n. 267 e né dall'art. 2 della Legge Costituzionale 22.11.1999 n. 1. L'abrogazione, comunque, non opererebbe retroattivamente.
13.Manifestamente infondata è la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15.1 lett. c) della L. n. 55/1990 per violazione degli artt. 3 e 5 della Costituzione perché, inibisce l'accesso alla carica di amministratore regionale, mentre analogo divieto non è previsto per l'acceso alle cariche elettive statali. Non sono assimilabili le posizioni dei consiglieri regionali (legislatori e amministratori insieme) e dei parlamentari nazionali (solo legislatori).
14. Manifestamente infondata è l'eccezione di costituzionalità dell'art. 15 sotto il profilo della sproporzione dell'impedimento all'assunzione di determinate cariche elettive rispetto alla natura e gravità di alcuni reati e della irragionevole assimilazione fra reati come quelli di associazione mafiosa e quelli commessi con abuso di poteri o violazione di doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio.
15. L'Ufficio centrale circoscrizionale, in sede di esame di ammissione delle liste deve cancellare i nomi dei candidati a carico dei quali viene accertata la sussistenza delle condizioni previste dal comma 1 dell'art. 15 della L 19.3.1990 n. 55.
16. La sanzione di nullità dell'intervenuta elezione a consigliere regionale dell'incandidabile si estende all'intero Consiglio e al Presidente della Giunta Regionale  in caso di inserimento del candidato nel c.d. "listino" per lo stretto collegamento con le liste provinciali e con il Presidente.
17. Non è consentito, mediante "surroga", sostituire un candidato totalmente privo di elettorato passivo, non essendo possibile sanare una situazione di nullità sicchè l'incandidabilità costituisce "vizio inquinante" delle intere operazioni elettorali.
18. Non è accoglibile la richiesta di correzione dell'esito del voto detraendo i voti di preferenza espressi in favore del consigliere incandidabile, sia perché formulata in via subordinata (mentre è accolta la richiesta principale) sia perché non è possibile stabilite quale sarebbe stato il risultato finale della consultazione in caso di presentazione di altro candidato.

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D I R I T T O
Il ricorso proposto è volto all’accertamento di un vizio di illegittimità del procedimento elettorale in conseguenza della partecipazione al medesimo di un candidato (Dott. Rocco Salini) che non aveva i requisiti di ammissibilità e, quindi, per l’effetto, è volto, attesa l’asserita incidenza di tale partecipazione, all’annullamento della proclamazione degli eletti e al rinnovo delle elezioni e, in via subordinata, alla correzione, in peius, dei risultati elettorali riguardanti la lista n.1 “Per l’Abruzzo”, con ogni ulteriore conseguente effetto.
 Sono state prospettate molteplici eccezioni.
1.a. – Tra le diverse eccezioni sollevate, appare opportuno esaminare subito quelle rappresentate in sede di trattazione orale della causa.
 Si è sostenuto e richiesto da parte della difesa dei ricorrenti che il Salini fosse estromesso dal giudizio, avendo perso la qualità di parte del medesimo per essersi dimesso dalla carica di Consigliere regionale.
 La richiesta va disattesa, in quanto, anche se il predetto non fa più parte dell’Assemblea regionale abruzzese, è innegabile che il medesimo sia tuttora titolare di un interesse quanto meno morale alla decisione del ricorso, soprattutto ove questo Tribunale dovesse decidere, incidenter tantum, della questione della candidabilità o meno alla competizione elettorale svoltasi per il rinnovo del Consiglio regionale abruzzese.
1.b. – Da parte della difesa di coloro che hanno presentato una memoria di costituzione in giudizio in data 10 luglio 2001 (si tratta dei consiglieri regionali di opposizione: Melilla G. ed altri) si è rilevato e chiesto che, se detta memoria dovesse essere ritenuta tardiva, così come eccepito da alcune controparti, siano ritenute tardive quasi tutte le deduzioni e  memorie scritte presentate dalla maggior parte dei controinteressati.
 Pure detto rilievo può essere disatteso, anche se la memoria di cui sopra presenta problemi diversi dalla tardività che saranno esaminati in seguito.
 Si deve, infatti, constatare che quasi tutte le memorie scritte (ad eccezione di quelle prodotte dal Salini e dai consiglieri Fabrizio Di Stefano e Alfredo Castiglione) sono state presentate oltre i termini perentori previsti dall’art.83/11, 3° comma, del T.U. 16.5.1960, n.570 e successive modificazioni.
 Ciò appare, però, irrilevante.
 A prescindere dalla circostanza che il presente ricorso, iscritto una prima volta a ruolo il 21.6.2000, è stato rinviato all’udienza dell’11.10.2000, per essere poi cancellato dal ruolo e reiscritto per l’udienza dell’11 luglio 2001, dopo di che ha subito altri due rinvii, v’è da osservare che le eccezioni e gli argomenti difensivi contenuti negli scritti sono stati tutti, nessuno escluso, trattati e sviluppati nel corso della discussione orale, per cui le memorie in ipotesi tardive possono configurarsi  ed essere considerate quali note d’udienza.
 Nelle controversie in materia elettorale davanti al T.A.R., la costituzione in giudizio può avvenire fino alla prima udienza di discussione, ma al solo fine di discutere oralmente la causa, vale a dire senza facoltà di presentare memorie scritte o controdeduzioni (cfr. C.S., V sez., 27.8.1976, n.1151; Csi, 19.2.1998, n.58).
 In tali controversie, il termine perentorio di cui all’art.83/11, 3° comma, T.U. citato, è fissato al fine della presentazione da parte dei controinteressati di deduzioni scritte, ma non impedisce agli stessi di costituirsi allo scopo di svolgere difese orali (Csi, 20.11.1991, n.460).

2 – Preliminarmente vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità formulate dal consigliere Rocco Salini con la memoria di costituzione.
 Superata di fatto risulta l’eccezione di  inammissibilità del ricorso perché notificato senza il rispetto del termine minimo di 15 giorni tra la data della notifica e la data dell’udienza di discussione, termine fissato dall’art.83/11 del T.U. 16.5.1960, n.570, quale modificato dalla L.23.12.1966, n.1147.
 Nella specie, mentre il ricorso risulta tempestivamente depositato nella Segreteria del T.A.R. il 29.5.2000 e mentre con decreto presidenziale del 30.5.2000 risulta fissata l’udienza di discussione dell’impugnativa per la data del 21.6.2000, il ricorso con il pedissequo decreto presidenziale è stato notificato il 9.6.2000 e cioè nel termine di dieci giorni previsto dal ricordato art.83/11.
 L’eccezione risulta superata in fatto, in quanto l’udienza di discussione è stata rinviata, il che ha consentito ogni ulteriore e ampia possibilità di difesa alle parti controinteressate.
 In ogni caso l’eccezione è infondata, in quanto il termine perentorio di quindici giorni, previsto dall’art.83/11.3 citato, entro cui la parte controinteressata deve depositare le proprie controdeduzioni è termine stabilito a pena di decadenza nel senso che tale limite temporale non può essere oltrepassato, ma ciò non esclude che la difesa del controinteressato non possa adeguatamente essere svolta prima di tale termine, così come, nella specie, è avvenuto per essere stata fissata l’udienza di discussione per una data troppo ravvicinata, il che, comunque, non ha fatto venir meno le garanzie del contraddittorio o compromesso oltre ogni ragionevole limite il diritto di difesa.

3 – Con la memoria del 30.10.2001 il Salini muove anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per l’omessa notifica all’Ufficio centrale circoscrizionale e regionale, cui il ricorso andava notificato, in quanto di tali uffici si contesta l’operato, avendo consentito l’uno, per difetto di istruttoria, la partecipazione di soggetto incandidabile, l’altro, la proclamazione, quale eletto, di soggetto inammissibile; l’eccezione, peraltro, è sollevata anche da altri controinteressati, che sostengono aggiuntivamente la tardività del gravame, da proporre contro l’atto di ammissione del candidato in questione.

 L’eccezione è infondata.
 La prevalente giurisprudenza ha avuto modo di affermare che nei giudizi elettorali, unica legittimata passiva è l’Amministrazione interessata, che si appropria degli effetti conseguenti alla consultazione elettorale, mentre non è considerato legittimato passivo né l’Ufficio elettorale centrale regionale, né quello circoscrizionale, trattandosi di organi straordinari e temporanei, che si sciolgono subito dopo la proclamazione degli eletti, con ciò esaurendo la propria funzione, per cui si è ritenuto che non sono portatori di un interesse qualificato alla conservazione degli atti impugnati (C.S.A.P. 31.7.1996, n.16; C.S., sez. V, 13.5.1995, n.763; 20.12.1996, n.1582; T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 22.1.2000, n.280; Csi 14.3.2000, n.90).
 Nel giudizio elettorale l’atto impugnabile è quello di proclamazione degli eletti, che conclude il procedimento, impugnativa in occasione della quale può essere fatta valere l’invalidità di operazioni antecedenti, nonché di antecedenti determinazioni, quando la lesione da queste ultime derivanti si attualizzi concretamente con l’atto di proclamazione degli eletti, per cui infondata è l’ulteriore eccezione di tardività del gravame (T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, sent. nn.283 e 284/11.3.1999; C.S., sez. V, 30.6.1995, n.965; C.S., sez. V, 25.2.1997, n.197).
 Giova precisare che detti principi sono stati ribaditi in un caso del tutto identico a quello in esame, riguardante appunto l’indebita ammissione alla competizione elettorale di un candidato incandidabile (cfr. Csi, 14.3.2000, n.113).
 In tale occasione si è affermato che “non compete la veste di parte necessaria nel giudizio elettorale alla Commissione circondariale, trattandosi di organo straordinario a carattere temporaneo, mentre deve essere riconosciuta tale veste all’ente locale, che si appropria del risultato elettorale e sul quale si riverberano gli effetti dell’annullamento o della conferma dell’atto di proclamazione degli eletti”.
 Se l’organo è sciolto, non si comprende a chi dovrebbe essere effettuata la notifica; si dice all’Avvocatura dello Stato, ma non si comprende a chi dovrebbe riferire l’Avvocatura.

 Di legittimazione processuale degli uffici cui è demandata l’ammissione delle liste può e deve parlarsi sia nel caso di immediata impugnativa dell’atto di ammissione, sia nello specifico caso della esclusione di una lista o di un candidato, che, come noto, va immediatamente impugnata con ricorso da notificare a detti uffici (presso l’Avvocatura dello Stato) che sono ancora costituiti (cfr. T.A.R. Marche, 25.6.2001, n.869).
 In estremo subordine, si tratterebbe di un problema di integrazione del contraddittorio, che il T.A.R. comunque ha ritenuto e ritiene di non disporre, anche per le ragioni esposte al punto 12 che segue.
 E’ stato infatti puntualizzato che “il procedimento giurisdizionale elettorale si differenzia, in ordine ai notificatari dell’impugnazione, dal procedimento ordinario.
Mentre in quest’ultimo è richiesta la notifica tanto all’organo che ha emesso l’atto impugnato quanto ai controinteressati ai quali l’atto direttamente si riferisce (art.21 legge n.1034 del 1971),il ricorso elettorale deve essere notificato “alla parte che può avervi interesse” (così testualmente l’art.83/11 del D.P.R. 570 del 1960, come aggiunto dall’art.2 della L.1147 del 1966, le cui norme procedurali sono espressamente richiamate dall’art.19, ultimo comma, della L.1034 del 1971).

 E’ sufficiente, pertanto, per l’ammissibilità del ricorso, che il contraddittorio sia stato validamente costituito nei confronti di almeno uno dei controinteressati” (cfr. C.S., sez. V, 3.2.1999, n.116; 31.12.1993, n.1408; 18.1.1996, n.72).
 Il principio di cui sopra è stato addirittura affermato in un caso di impugnativa di atto di ammissione di liste elettorali, in cui il ricorso era stato notificato solo a due liste (C.D.U. e P.P.I.) partecipanti alla competizione (cfr. C.S., sez. V, n.116/1999 già citata).
 Dell’infondatezza della eccezione, sono consapevoli, d’altro canto, anche i controinteressati che, seguendo un meno recente e minoritario orientamento, l’hanno mossa, quando affermano, in via subordinata, l’inammissibilità della prima censura dedotta, che, ove in ipotesi sussistente (ma così non è), non precluderebbe l’esame della seconda doglianza prospettata relativa alla questione centrale posta, quella della illegittimità del risultato elettorale derivante dalla indebita partecipazione del Salini alla consultazione de qua, stante il nesso evidente esistente tra i due aspetti.

4 – Infondata è anche l’eccezione relativa alla mancata o comunque irregolare evocazione in giudizio della Regione Abruzzo che, quale ente cui vanno imputati i risultati elettorali, è parte necessaria del giudizio.
 Al riguardo deve ritenersi che la Regione sia stata ritualmente chiamata in causa in quanto il ricorso è stato notificato al Dott. Pace, nella sua qualità di Presidente eletto (e quindi di legale rappresentante) della Regione Abruzzo, che ha, pertanto, potuto costituirsi in giudizio a mezzo dell’Avvocatura erariale, costituzione che ha, comunque, sanato ex tunc, l’omessa notifica del ricorso alla Regione Abruzzo, presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato dell’Aquila.
 Se ciò non fosse avvenuto, la Regione, in quanto ente che non emana l’atto impugnato, ma ente cui viene imputato il risultato elettorale, avrebbe potuto essere evocata in giudizio anche in un momento successivo alla scadenza del termine previsto per la notifica del ricorso, mediante integrazione del contraddittorio (cfr. C.S., sez. V, 31.12.1998, n.2002).

 Come esposto nelle premesse in fatto, questo T.A.R., con sentenza interlocutoria assunta in occasione dell’udienza del 7.11.2001, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti personalmente del Dott. On. G. Pace, avendo ritenuto che la Regione fosse stata evocata in giudizio ritualmente, nonché nei confronti degli Assessori esterni, M. Bacchion e V. Domenici, in quanto nominati prima della proposizione del ricorso.
 Questo Collegio non ha ritenuto e non ritiene di disporre l’integrazione del contraddittorio nei riguardi dei Consiglieri Eugenio Spadano e Nicola Sisti, che hanno sostituito rispettivamente i dimissionari Tommaso Coletti e Rocco Salini, atteso che le parti del processo vanno individuate al momento della proposizione del ricorso, in virtù del principio di cui all’art.111 c.p.c. e nel rilievo che i consiglieri subentrati potevano proporre, ove lo avessero ritenuto, atto di intervento ad opponendum.

5 – L’inammissibilità del ricorso viene anche dedotta sotto altra angolazione, in quanto si assume, nella memoria dei consiglieri F. Di Stefano e A. Castiglione che i ricorrenti avrebbero chiesto al T.A.R. di pronunziarsi sulla incandidabilità del candidato, Dott. Rocco Salini, mancante di un requisito soggettivo di ammissibilità per cui viene eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
 L’eccezione è infondata in punto di fatto in quanto il petitum sostanziale non coincide affatto con la richiesta di accertamento della incandidabilità del Salini, ma con l’annullamento del procedimento elettorale e delle sue risultanze, in quanto inficiati da violazione di legge.
 Ciò è ammesso nella memoria del 5 ottobre 2000, dallo stesso Salini, che, in  base al tenore del ricorso, riconosce, dopo aver sollevato in una prima memoria la stessa eccezione, che con lo stesso non è stato chiesto al T.A.R. di compiere siffatto accertamento, rimesso dai ricorrenti alla valutazione della competente A.G.O., con l’effetto della eventuale facoltativa sospensione del ricorso, stante l’asserito carattere pregiudiziale di detto accertamento.
6 – A proposito della eccezione di cui al precedente punto 5, v’è da precisare che la stessa sarebbe stata fondata sole ove i ricorrenti avessero chiesto in via principale al T.A.R. di pronunciarsi sulla incandidabilità del Salini, il che – come visto – non è.
 Va, tuttavia, aggiunto fin da ora che, se è innegabile che la materia inerente lo status di elettorato passivo di un candidato appartiene alla cognizione dell’A.G.O., pur tuttavia deve rilevarsi che il Giudice amministrativo può conoscere, incidenter tantum, a prescindere da ogni richiesta delle parti, anche delle questioni relative allo status di ineleggibilità (cfr. T.A.R. Molise, 22.7.1999, n.424; C.S., sez. V., 13.9.1999, n.1052; T.A.R. Puglia, Bari, I Sez., 3.11.1999, n.1484; C.S., sez. V, 15.6.2000, n.3338; T.A.R. Valle d’Aosta, 18.2.2000 n.27; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, n.701/2001).
 Ai sensi degli artt. 8 L. 6.12.1971, n.1034 e 28 R.D. 26.6.1924, n.1054, rientra nei poteri del Giudice amministrativo, infatti, di conoscere, incidenter tantum, di questioni relative a diritti soggettivi la cui risoluzione valuti che sia pregiudizialmente necessaria per la decisione della questione controversa, con esclusione della risoluzione dell’incidente di falso e delle questioni di stato e di capacità dei privati individui, che restano di esclusiva competenza dell’A.G.O..

 Orbene, le questioni attinenti all’elettorato passivo non rientrano tra quelle relative allo stato delle persone la cui cognizione è preclusa, anche in via incidentale, al giudice amministrativo, essendo tali questioni circoscritte solo allo stato di cittadinanza e di famiglia (vedi sentenza già citata).
7 – In occasione dell’udienza fissata per l’11 luglio 2001 è stata presentata da parte di alcuni consiglieri eletti nella lista n.2 (G. Melilla e altro dieci consiglieri) una memoria di costituzione, in ordine alla quale sono state sollevate eccezioni di inammissibilità, che vanno esaminate.
 L’inammissibilità viene eccepita sotto diversi profili, sia perché tratterebbesi in realtà di atto di intervento ad adiuvandum non notificato, sia perché conterrebbe motivi aggiunti con ampliamento del thema decidendum, sia perché proposto da soggetti che avevano titolo per proporre ricorso in via principale, sia perché tardivamente proposto, ove venga qualificato giuridicamente quale memoria di costituzione.
 In proposito, ritiene il Collegio che l’atto in esame sia da qualificarsi quale atto di intervento ad adiuvandum, ancorché proposto da candidati eletti e dunque astrattamente classificabili quali controinteressati, in quanto gli interventori svolgono argomentazioni difensive a sostegno di quelle dei ricorrenti, correggendo peraltro, “il tiro”, nel senso di ampliare il thema decidendum prospettando un petitum in parte diverso da quello dell’atto introduttivo del giudizio.
 Con l’atto in esame, infatti, gli interventori impugnano l’atto di proclamazione degli eletti con una serie di argomenti diversi da quelli addotti con il ricorso principale, mirando, in primis, alla correzione della cifra elettorale complessiva della lista n.1 e in via subordinata all’annullamento del procedimento elettorale relativo all’ambito circoscrizionale di Teramo per quanto concerne la quota proporzionale e, per quanto riguarda l’intera Regione, con riferimento alla quota “maggioritaria”, e solo in via ulteriormente gradata alla caducazione in toto delle operazioni elettorali.
 Orbene, una prima ragione di inammissibilità di tale atto risiede nella circostanza della sua omessa notifica a tutte le parti del giudizio, posto che la giurisprudenza ha costantemente ritenuto l’inammissibilità di un atto di intervento in causa contenuto in una semplice memoria non notificata alle parti (cfr. C.S., sez. V, 25.2.1997, n.199; T.A.R. Marche, 12.5.2000, n.681).
 Altra ragione di inammissibilità dell’atto in questione va individuata nel fatto che gli interventori sono soggetti titolari non di un interesse legittimo derivato o indiretto o non ancora attuale, condizioni queste che legittimano l’intervento in causa, ma sono titolari di un interesse diretto, sicché avevano titolo per ricorrere con autonoma impugnazione, il che non è avvenuto.

 Orbene il soggetto che ha titolo per ricorrere contro un atto amministrativo non è legittimato a proporre intervento ad adiuvandum nel giudizio promosso da altri (C.S., IV sez., 25.3.1997, n.505; IV sez., 17.7.2000, n.3928).
 L’atto di intervento ad adiuvandum è, altresì, inammissibile in quanto, con i motivi proposti, che si configurano quali motivi nuovi e diversi da quelli contenuti nel ricorso, si è sicuramente ampliato l’oggetto del giudizio come delineato dai ricorrenti, ciò che non è consentito quando ci si avvale di tale mezzo processuale.
 L’interventore ad adiuvandum non è legittimato ad ampliare il thema decidendum fissato dal ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio, ma può solo meglio illustrarne le ragioni (T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 13.6.2000, n.2063; T.A.R. Basilicata, 18.10.2000, n.611).
8 – Ciò detto, ritiene il Collegio di affrontare e risolvere, in via incidentale, per la evidente rilevanza che essa riveste nel presente giudizio, la questione della incandidabilità o meno del Salini, non essendovi più motivo di attendere la pronuncia della Corte d’Appello aquilana che, verosimilmente, non potrà che essere analoga a quella già intervenuta (sent. n.461/2000) in ordine alla delibera regionale di convalida degli eletti e che ha dichiarato cessata la materia del contendere per le rassegnate dimissioni del Salini da consigliere regionale; in tal senso è stata avanzata espressa richiesta da parte dei ricorrenti con la memoria del 30.10.2001, depositata in occasione dell’udienza del 7.11.2001.
 E’ innegabile, d’altro canto, l’esigenza di definire ormai un contenzioso elettorale che, rinviato su richiesta delle parti per evidenti ragioni di opportunità, è sottoposto ad una disciplina di accelerazione in funzione della certezza relativa alla posizione soggettiva di coloro che devono ritenersi in via definitiva legittimati a ricoprire cariche pubbliche.
 La “vexata quaestio”, peraltro, è stata oggetto di diversi e tutti convergenti pronunciamenti giurisdizionali, che il Collegio ritiene sostanzialmente condivisibili.

 Nella specie, invero, va precisato che non ricorre una causa di ineleggibilità che viene in rilievo nel successivo momento della elezione, quale ragione ostativa alla copertura di cariche elettive, ma ricorre quella diversa, peculiare situazione che coincide con la incandidabilità (prevista dall’art.15.1 della L. 19.3.1990, n.55, integrata dalla L. 18.1.1992, n.16) configurabile quale “nuova incapacità giuridica speciale” (Csi 113/2000).
 La norma introduce la regola della non candidabilità alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali per coloro che hanno riportato condanna definitiva per determinati gravi reati, tra cui alcuni delitti commessi da pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione.

 La norma, per quel che qui interessa, inibisce l’accesso al procedimento elettorale a coloro che siano stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti, tra l’altro, commessi con abuso di poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.
 La finalità della norma è quella di sanzionare l’indegorità derivante dalla condanna penale e di inibire che soggetti moralmente  censurabili e per i quali sono venuti meno i requisiti della onorabilità e correttezza che devono caratterizzare la personalità di chi aspira a svolgere pubbliche e delicate funzioni elettive possano accedere alle relative cariche, tant’è che l’eventuale elezione o nomina di chi si trovi nelle suindicate condizioni è sanzionata con la “nullità” e non con la semplice “annullabilità”, ex art. 15.4 L. n.55/1990.
 Ciò detto, deve dichiararsi incidenter tantum la inammissibilità del Salini, privo del diritto di elettorato passivo, alla competizione elettorale svoltasi il 16 aprile 2000 per il rinnovo del Consiglio regionale d’Abruzzo, essendo egli stato condannato con sentenza della Corte d’Appello di Roma, sez. II, 7.11.1998, n.6275, in atti, (divenuta definitiva a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, sez. II, 3.12.1999, n.6056, in atti, che ha dichiarato inammissibile, perché manifestamente infondato, il ricorso per cassazione) alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione per il delitto di cui agli artt. 81 e 479 c.p. (falso ideologico), commesso nel  1992, quando era Presidente della Giunta regionale abruzzese, delitto che rientra nell’ambito di quelli commessi con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.

 In tal senso, d’altro canto, si è già espressa la sentenza n.545/2000 del Tribunale dell’Aquila (che si cita ad adiuvandum), che ha dichiarato decaduto dalla carica di consigliere regionale il Salini, come anche la sentenza 753/2000, sempre del Tribunale dell’Aquila, che, disapplicando la deliberazione di convalida della elezione del menzionato consigliere, lo ha dichiarato parimenti decaduto dalla carica.
 Si aggiunge che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art.15.1, lett. c, L.55/1990 e successive modificazioni, sollevata dalla Corte d’Appello aquilana, adita per l’appello proposto avverso la sent. 545/2000, è stata respinta in ragione della non riconducibilità dell’istituto della “incandidabilità”, che priva di radice il soggetto dell’elettorato passivo, all’istituto delle pene, principali ed accessorie, tra cui, in particolare, per quel che qui rileva, la sospensione condizionale della pena, posto che il divieto di cui all’art.15 riguarda una fattispecie in cui viene meno un requisito soggettivo per l’accesso alle cariche considerate, stabilito, nell’esercizio della sua discrezionalità, dal legislatore al quale l’art.51, primo comma, della Costituzione demanda appunto il compito di fissare i requisiti in base ai quali i cittadini possono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (cfr. Corte Cost.le 15.5.2001, n.132).
9 – Alle suesposte conclusioni non ostano le ulteriori eccezioni di incostituzionalità prospettate dal controinteressato dinanzi alla Corte d’Appello e, comunque, anche dinanzi a questo T.A.R. per l’evenienza di decisione incidenter tantum in ordine alla sua incandidabilità.
 Le ulteriori eccezioni sollevate non sono ostative, in quanto appaiono tutte manifestamente infondate.
 Si sostiene, in primis, che la sentenza della Corte Costituzionale non comporta di per sé la declaratoria di ineleggibilità del Salini, in quanto occorre valutare se l’art.15 L. n.55/1990 sia tuttora applicabile alle elezioni dei Consiglieri regionali o se debba ritenersi abrogata anche relativamente a tali elezioni per effetto del disposto dell’art.274, lett.V), del D.Lvo 18.8.2000, n.267, che ha abrogato gli artt. 1 e 4.2 L. 18.1.1992, n.16, modificativa dell’art. 15.1.2.3.4 L.55/1990 e conseguenzialmente debba dichiararsi la cessazione della materia del contendere.
 La questione non sembra fondata per le seguenti ragioni:
a) perché si tratterebbe, ammessa l’asserita abrogazione della causa ostativa, di applicare retroattivamente una norma entrata in vigore successivamente (il D.Lvo 267/2000 è stato pubblicato sul supplemento ordinario n.162/L alla G.U. – serie generale – n.227 del 28.9.2000);
b) perché la causa ostativa non risulta affatto abrogata, in quanto prevista dall’art.58.1, lett. c) del D.Lvo 267/2000, applicabile anche alle Regioni a statuto ordinario, in virtù dell’art.1.2 del medesimo D.Lvo;
c) perché la definizione delle cause di “incandidabilità” è riservata al legislatore statale e non  già a quello regionale, cui l’art.2 della legge costituzionale 22.11.1999, n.1 (che ha sostituito l’art.122 della Costituzione) ha demandato il potere di disciplinare il sistema di elezione e i casi di “ineleggibilità” e di “incompatibilità” (e non già di “incandidabilità”) del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale e comunque entro i limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.
L’applicabilità del divieto posto dal richiamato art.58.1, lett. c) anche alle Regioni destituisce di fondamento la questione di illegittimità costituzionale dell’art.15.1, lett. c, L.55/90, nel testo modificato dall’art.1 della L. n.16/1992 per violazione degli artt. 3, 27 e 51 della Costituzione, questione sollevata nel rilievo che l’asserita abrogazione potesse riguardare solo l’ordinamento degli enti locali.
10 – Altra questione riguarda le legittimità costituzionale dell’art.15.1, lett. c, L.55/90 per violazione degli artt. 3 e 51 della Costituzione, perché, mentre inibisce l’accesso alla carica di amministratore regionale, non è previsto analogo divieto per l’accesso alle cariche elettive statali.
 La questione appare infondata in relazione alla non assimilabilità delle posizioni delle categorie poste a confronto, trattandosi nell’un caso di legislatori e amministratori insieme e nell’altro di soli legislatori.
 Nel primo caso si tratta di impedire, fino alla riabilitazione, che amministratori che siano stati definitivamente condannati per abuso d’ufficio o violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione possano reiterare detti illeciti comportamenti in fatti di gestione amministrativa, nel secondo caso non si vede come ciò possa accadere per soggetti che, eletti alle cariche parlamentari e facenti parte di vaste assemblee, sono destinati ad esercitare la sola funzione legislativa.
11 – Ulteriore eccezione di costituzionalità dell’art.15 viene prospettata, sempre per violazione degli artt.3 e 51 della Costituzione, sotto il profilo della sproporzione dell’impedimento all’assunzione di determinate cariche elettive rispetto alla natura e gravità dei reati in essa contemplati.
 Riprendendo una riflessione della Corte Costituzionale contenuta nella sentenza 7.5.2001, n.132, si sostiene che irragionevolmente sarebbero state assimilate, quanto alle conseguenze, ipotesi di reato senz’altro più gravi (quali quelle contemplate alla lett. e) e b) della norma: associazione mafiosa e finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, ecc., peculato, concussione, ecc.) rispetto al delitto commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio.
 Anche siffatto dubbio appare palesemente infondato alla luce della giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale che ha ripetutamente affermato che le norme dell’art.15 della L.55/1990 perseguono finalità di salvaguardia a tutela, tra l’altro, del principio di buon andamento e trasparenza delle amministrazioni pubbliche, finalità queste “di indubbio rilievo costituzionale” (sentenza Corte Costituzionale n.197/1993), connesse “a valori costituzionali di rilevanza primaria” (sent. Corte Costituzionale 218/1993).
 Vero è che la stessa Corte Costituzionale ha sempre pure affermato che gli impedimenti all’esercizio del diritto di elettorato passivo non devono estendersi oltre quanto strettamente indispensabile a garantire l’interesse pubblico cui sono preordinati, poiché “per l’art.51 Cost. l’eleggibilità è la regola, l’ineleggibilità l’eccezione” (sent. Corte Costituzionale 46/1969; n.141/1996), ma è altresì vero che il ricorrente non dimostra l’insussistenza di altri interessi di rango costituzionale, idonei a giustificare la scelta della incandidabilità per una condanna penale ad oltre sei mesi di reclusione per delitti commessi con abuso di poteri e violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione.
 Tali interessi di rilievo costituzionale sussistono e sono quelli, già indicati, di cui all’art.97 della Costituzione, che è norma attinente alle Organizzazioni pubbliche che esercitano funzioni e svolgono servizi nell’interesse della pluralità dei cittadini, a fronte dei quali non può che essere recessiva la posizione soggettiva del singolo, ancorché titolare di un diritto inviolabile, quale quello del diritto di elettorato passivo (cfr. sent. Corte Costituzionale n.467/1991).
 Il divieto di candidabilità deve pertanto ritenersi misura adeguata e proporzionata, disposta nell’esercizio di una discrezionalità legislativa ragionevole, anche tenendo conto del limite temporale stabilito a detta situazione soggettiva dell’art.15.4 – sexies L. n.55/1990, il che rende palesemente infondata l’eccezione mossa.
12 – Può quindi esaminarsi il merito del ricorso con cui viene proposta un’azione popolare da parte di due elettori che, candidatisi alle elezioni del Consiglio regionale d’Abruzzo svoltesi il 16 aprile 2000, non sono risultati eletti.
 Sotto il profilo dell’interesse, deve ritenersi l’ammissibilità di detta azione popolare proposta da cittadini elettori che contestualmente agiscono in qualità di candidati, atteso che le azioni sono tese ad un unico convergente risultato (cfr. T.A.R. Toscana, II Sez., 23.10.1997, n.668).
 In detta consultazione elettorale il salini si è candidato nella circoscrizione provinciale di Teramo nella lista “Forza Italia” e nella lista regionale collegata al candidato presidente Giovanni Pace, risultando eletto consigliere regionale sia nella circoscrizione provinciale, in cui ha riportato 12.974 voti di preferenza, sia quale candidato del c.d. “listino” collegato al candidato Pace, proclamato Presidente della Giunta Regionale abruzzese il 29 aprile 2000.
 Ciò, premesso, va rilevato che l’accertamento incidentale svolto da questo Collegio in ordine alla insussistenza nella specie, del diritto soggettivo del Salini a candidarsi, ai fini della verifica del vizio del procedimento, rende attuale l’esame del primo motivo di ricorso, con cui viene lamentata la violazione dell’art.15 L. n.55/1990, l’eccesso di potere per violazione del giusto procedimento elettorale e per difetto di istruttoria, nonché la violazione dell’art.10 della L. 206/1968.
 Sostengono i ricorrenti che l’Ufficio centrale circoscrizionale la omesso di accertare la causa di incandidabilità del Salini, non svolgendo alcuna indagine istruttoria al riguardo, il che ha consentito la partecipazione al procedimento di candidato la cui presenza ha determinato l’invalidità dello stesso.
 Orbene, in proposito può rilevarsi che al divieto della candidatura, stabilito dall’art.15 L. 55/1990, si affianca non solo una sanzione di nullità della elezione, ma, in particolare, soprattutto, una puntuale disciplina del potere istruttorio dell’Ufficio centrale circoscrizionale, in sede di esame ed ammissione alle liste, previsto dall’art.10 L. n.108/1968.
 La norma, al punto 2 del 1° comma, prescrive che detto Ufficio, entro ventiquattro ore dalla scadenza del termine stabilito per la presentazione delle liste dei candidati, “cancella dalle liste i nomi dei candidati a carico dei quali viene accertata la sussistenza di alcuna delle condizioni previste  dal comma 1 dell’art.15 della L. 19.3.1990, n.55....”.
 Il sistema che emerge dal complesso delle norme esaminate ha una sua logica in quanto non avrebbe senso sanzionare il divieto di candidatura senza prevedere un effettivo potere di controllo dell’Ufficio elettorale circoscrizionale sulla causa ostativa, potere di controllo che si desume dall’onere che la norma impone all’Ufficio indicato di svolgere accertamenti in concreto circa la mancanza di condizioni impeditive (cfr. C.S., sez. V, 15.6.2001 n.333).
 Nella specie, nessun compito istruttorio è stato svolto dall’Ufficio di cui al citato art.10, che si è limitato a prendere atto dell’autocertificazione del Salini, che ha dichiarato di non trovarsi in alcuna delle condizioni previste dall’art.15.1 L. 55/1990, quando era notoria la sentenza di condanna definitiva che lo riguardava per aver avuto la relativa vicenda vasta risonanza regionale e nazionale, il che rendeva doveroso per l’Ufficio elettorale circoscrizionale un accertamento non formale, ma sostanziale ed effettivo.
 Nulla, più che illegittima, deve ritenersi pertanto la determinazione dell’Ufficio centrale circoscrizionale di ammettere il Salini alla competizione elettorale.
 Se, infatti, è nulla, per espresso disposto normativo, la elezione di soggetto privo del diritto di elettorato passivo, nullo deve ritenersi anche l’atto che consente la candidatura di un incandidabile.
 Orbene, se la nullità, secondo i principi generali, è rilevabile d’ufficio, in qualsiasi tempo e non è sanabile, ciò costituisce un ulteriore e non secondario argomento ai fini della infondatezza della eccezione di inammissibilità del ricorso per non essere stato notificato all’Ufficio che ha consentito la partecipazione del Salini alle elezioni.
 Ciò comporta, come si vedrà, quale ulteriore conseguenza, l’invalidità dell’intero procedimento elettorale, essendo stato il Salini, collocato al primo posto del c.d. listino che costituisce un “unicum” inscindibile con il candidato Presidente di riferimento, così come affermano i ricorrenti.
 In linea generale, se può ammettersi che la sanzione di nullità dell’intervenuta elezione dell’incandidabilità possa non influenzare la validità delle operazioni elettorali, ove l’incandidabilità riguardi un candidato alla carica di consigliere, a tale conclusione non può pervenirsi nel peculiare caso di specie per l’inserimento del Salini nel c.d. listino e per la duplice funzione di stretto collegamento delle liste provinciali della coalizione e del listino con il candidato Presidente, il che legittima l’applicazione alla fattispecie della giurisprudenza relativa al caso di aspirante alla carica di Sindaco, che sia incandidabile (Csi 14.3.2000, n.113; C.S., sez. V, 15.6.2000, n.3338; 13.9.1999, n.1052).
 Nel nuovo sistema elettorale, infatti, la lista regionale si presenta inscindibilmente composta dal candidato Presidente e dai candidati consiglieri sulla base di un unico programma politico.
 Tra il candidato Presidente e la lista regionale v’è un rapporto di assoluta integrazione, tanto che la presentazione della lista regionale costituisce una fattispecie unitaria, di cui sono elementi essenziali l’indicazione del candidato Presidente e l’elenco degli eleggibili con il sistema maggioritario, che svolgono attivamente la funzione di ricercare consensi in ambito regionale, posto che l’elettore, allorché voti espressamente la lista regionale, con l’unico voto espresso per il Presidente manifesta il proprio consenso anche per la lista regionale.
 Nel caso di specie, si è votato, direttamente o indirettamente per una lista regionale di cui uno dei componenti, il più rilevante (Salini), non era candidabile, il che comporta l’illegittimità della presentazione dell’intera lista regionale, per essere formata con criteri di unitarietà e inscindibilità, donde pare al Collegio che possa farsi derivare anche la conseguenza che un incandidabile non possa essere pacificamente surrogato.
 Appare ragionevole ritenere che la surroga, infatti, prevista dall’art.16 della L. 108/1968, che pur parla di seggio che rimanga vacante per qualsiasi causa, sia possibile ove il Consigliere da surrogare sia stato eletto, in quanto eleggibile e in quanto impedito poi ex lege o per fatti naturali ed esercitare la funzione, ma non quando occorre sostituire un candidato privo del diritto di elettorato passivo.
 Ciò comporta che l’incandidabilità costituisce, nella specie, vizio inquinante delle intere operazioni elettorali, ove l’incandidabile sia indebitamente ammesso alle stesse, partecipandovi con la doppia presenza, per cui non può condividersi l’assunto  che la nullità delle elezioni del Salini non infici l’intero procedimento elettorale, essendo sanabile con la surroga di cui all’art.16 citato; si tratterebbe di sanare, in altri termini, una situazione di nullità, che, come noto, è insanabile.
13 – Va considerata ora anche la posizione del Salini nel sistema proporzionale con le conseguenze che ne derivano.
 Il predetto, infatti, risulta eletto sia nella lista regionale (c.d. listino su base maggioritaria), sia nella lista provinciale (lista circoscrizionale su base proporzionale).
 La sua partecipazione deve ritenersi determinante, in quanto la cifra elettorale regionale (che risulta dalla somma dei voti validi di ciascuna lista regionale) attribuita alla lista regionale n.1, avente il contrassegno “Per l’Abruzzo”, è stata di poco superiore a quella conseguita dalla lista regionale n.2 avente il contrassegno “Abruzzo Democratico” (n.382.353 voti contro 378.739, con uno scarto di 3.614 voti).
 Ciò comporta che, avendo il gruppo di liste provinciali collegato alla lista regionale n.1 conseguito un numero di seggi inferiore al 50% (per l’esattezza il 37,5%) dei 40 seggi assegnati al Consiglio regionale, l’Ufficio centrale regionale ha assegnato alla lista regionale che ha conseguito la maggiore cifra elettorale regionale il c.d. premio di maggioranza e cioè gli otto seggi di cui alla lista regionale, comprendente anche il seggio spettante al capolista eletto Presidente della Giunta regionale (art.15, 13° comma, n.2, 4 e 5 L. 108/1968, come modificato dalla L. 23.2.1995, n.43).
 I ricorrenti chiedono che il totale dei voti conseguiti dalla lista regionale e da quella provinciale nella quale risulta eletto il Signor Salini deve considerarsi “tamquam non esset” poiché le condizioni di ineleggibilità  del candidato erano preesistenti alla convocazione dei elettorali”, aggiungendo che la candidatura del salini sia nella lista regionale che in quella circoscrizionale da “un’indubbia efficacia invalidante diretta sia per quanto riguarda il risultato conseguito dalla lista regionale, sia per quanto riguarda quello conseguito dalla lista circoscrizionale”.
 Siffatte doglianze non appaiono né generiche, né indeterminate, in relazione ai dati emersi dalle urne e a quello che è il petitum del ricorso, che tende all’annullamento della proclamazione degli eletti  e al rinnovo del procedimento elettorale.
 Il ricorso, come noto, deve contenere la esposizione sommaria dei fatti, i motivi su cui si fonda con l’indicazione degli articoli di legge o di regolamento che si ritengono violati e le conclusioni (art.6, n.3 R.D. 642/1907).
 Dette prescrizioni trovano attuazione nel giudizio elettorale, secondo la giurisprudenza, mediante deduzioni sufficientemente precise ad indirizzare l’attività istruttoria del giudice ed indicazioni utili tali da far ritenere l’attendibilità dei fatti denunciati, fermo restando che il requisito della specificità dei motivi deve essere valutato in tali controversie con criteri di elasticità, essendo sufficiente l’indicazione del tipo di vizio e dell’incidenza di questo sul procedimento elettorale, fatta salva l’ulteriore precisazione dei motivi e l’indicazione di vizi nuovi e diversi emersi nel corso del giudizio, che vanno tempestivamente prospettati con motivi aggiunti (cfr. T.A.R. per il Molise, 7.3.2001, n.58; C.S., V sez., 18.10.1984, n.760).

 Nella specie, il vizio denunciato risulta sufficientemente specificato con la prospettazione della incandidabilità del Salini, donde i ricorrenti fanno derivare la conseguenza, condivisibile, che devono ritenersi “nulli” tutti i voti di preferenza attribuiti al predetto, da considerare come estraneo alla competizione, e conseguentemente (in forza del combinato disposto dell’art.1, ultimo comma, L. 17.2.1968, n.108 e dell’art.57, 5° comma, D.P.R. 16.5.1960, n.570) i voti attribuiti alla lista provinciale di pertinenza del Salini sia nel caso della possibile espressione del solo voto di preferenza (ipotesi questa in cui il voto s’intende esteso anche alla relativa lista in virtù delle norme sopra richiamate), sia nel caso in cui l’elettore abbia votato oltre che la preferenza, anche la lista provinciale; devono inoltre ritenersi “nulli” i voti attribuiti alla lista regionale collegata, sia qualora l’elettore abbia espressamente votato il contrassegno di lista provinciale (art.2, ultimo periodo, L.  22.2.1995, n.43), sia qualora abbia votato espressamente la lista regionale collegata, sia qualora abbia espresso il solo voto di preferenza per il Salini.
 In tale contesto è impossibile dimostrare se il voto di preferenza sia stato determinato dalla scelta della lista o se, viceversa, proprio la figura dell’incandidabile abbia indotto l’elettore ad accordargli la preferenza, con un effetto di trascinamento sul contestuale voto di lista provinciale e regionale, in conseguenza della presenza del Salini nel c.d. listino (cfr. Csi, 14.3.2000, n.113).
 Non a caso i ricorrenti affermano che il predetto è stato il candidato più votato nella Regione e che nell’ambito della circoscrizione provinciale di Teramo ha conseguito 12.974 voti di preferenza, ben al di sopra delle preferenze conseguite da qualsiasi altro candidato (agli altri sei candidati della lista provinciale di Teramo n.17 “Forza Italia” sono stati attribuiti in complesso 14.880 voti).
 Trattasi di affermazioni e di dati non irrilevanti se si tiene conto del collegamento tra la lista provinciale de qua e la lista regionale, il cui capolista (G. Pace) è stato poi eletto Presidente.
 Può allora, dunque, prospettarsi non solo il legittimo dubbio che un voto in favore del candidato Presidente possa essere stato espressamente manifestato per la “vis actractiva” del candidato inammissibile (e la sua presenza nel c.d. listino “poteva” costituire il segnale del percorso da compiere per l’elettore che avesse voluto espressamente votare la lista regionale), ma può anche sostenersi che ciò non era necessario in quanto bastava che l’elettore votasse solo la preferenza o per la lista provinciale in cui il Salini era candidato perché di tale voto beneficiasse anche la collegata lista regionale, ex art.2, ultimo periodo, L. n.43/1995.
 Se è vero che, nel sistema che emerge dal quadro normativo concernente le elezioni regionali, l’elezione dei componenti del c.d. listino è subordinata al risultato elettorale conseguito dal candidato Presidente, capolista della lista regionale, e che tali componenti sono estranei ad ogni espressione di voto dell’elettore, è altresì vero che il risultato elettorale del Presidente può essere l’effetto, per il meccanismo elettorale esposto, del trascinamento del forte consenso manifestato in favore di un candidato consigliere, la cui incandidabilità non può non riverberare effetti sull’intero procedimento elettorale, generando quell’inquinamento del procedimento elettorale, che deve essere invece improntato a criteri di correttezza, trasparenza, limpidità, tali da non condizionare la sincerità e libertà di scelta dell’elettore (cfr. Csi citata, 14.3.2000, n.113).

 Significativo è il dato per cui il raggruppamento di liste provinciali collegato con la lista regionale n.2 aveva eletto 17 consiglieri dei quattro quinti dei consiglieri da nominare con il sistema proporzionale (nella specie n.32 su 40), mentre l’altro raggruppamento, collegato con la lista n.1 e che ne aveva eletto solo 15, proprio in sede di voto maggioritario recupera, sia pure per pochi voti, il “gap” suindicato.
 Se il Salini godeva dell’ampia e sicura base di consenso elettorale (fatto registrare anche in precedenti consultazioni), non aveva bisogno di essere inserito nella lista regionale e, se ciò è avvenuto, la finalità non può essere stata che quella di contribuire a “veicolare”, suo tramite, consensi verso la lista regionale, anche per neutralizzare quella possibilità, normativamente prevista, del voto disgiunto, nel duplice senso di impedire che l’elettore che lo aveva votato esprimesse il suo consenso per la lista regionale antagonista e, d’altro canto, anche nel senso di favorire o indurre il voto per la lista regionale n.1 da parte dell’elettore che avesse accordato la sua preferenza per il candidato di una lista provinciale non collegata alla lista regionale n.1.
 In relazione al quadro complessivo esposto e allo specifico risultato determinatosi, che ha visto la vittoria della lista n,1 con una differenza minima di voti, deve ritenersi in re ipsa la prova dell’inquinamento (non importa in quale misura o dimensione) della consultazione elettorale a seguito delle indebita partecipazione al voto del Salini; che ha avuto, quale effetto, la riduzione delle garanzie specifiche della regolarità del procedimento elettorale (C.S., V Sez., 17.9.1996, n.1141 e 22.1.1987, n.16; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 10.3.1999, n.306).
 I ricorrenti non dovevano provare, in altri termini, l’incidenza numerica dell’inquinamento, perché in materia elettorale la giurisprudenza afferma che non si può prevedere come  avrebbe votato il corpo elettorale; tuttavia, anche a voler ricercare, nella specie, un elemento probatorio in tal senso, bisogna riconoscere che l’incidenza della partecipazione del Salini risulta dalle preferenze ottenute.
 Per le ragioni che precedono il ricorso va accolto, con l’effetto dell’annullamento del procedimento elettorale e, in particolare, dell’atto di proclamazione degli eletti e degli atti conseguenti, donde consegue la necessità della rinnovazione del procedimento stesso.
14 – Ove, peraltro, si fosse, in ipotesi, ritenuta infondata la pretesa principale dedotta, si sarebbe dovuto esaminare il petitum prospettato in via subordinata teso alla correzione dell’esito del voto della lista regionale n.1, con il conseguente annullamento della proclamazione del Presidente nominato, il che avrebbe  comportato l’acquisizione delle n.12.974 schede elettorali della lista provinciale n.17 “Forza Italia” della circoscrizione di Teramo, recanti il voto di preferenza espresso in favore del Salini.
 Tale richiesta, prospettata in via subordinata, appare tuttavia inammissibile, sia perché ritenuta fondata quella avanzata in via principale, sia perché, nell’ipotesi in cui il Salini non fosse stato ammesso a partecipare alla competizione elettorale, non poteva e non può prevedersi quale sarebbe stato, comunque, il risultato finale della consultazione, per cui ineludibile è la necessità di chiamare nuovamente l’intero corpo elettorale ad esprimersi nell’ambito di un procedimento elettorale emendato dal vizio denunciato.
 Le spese di causa possono essere equamente compensate.
P.  Q.  M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo - L’Aquila, accoglie il ricorso specificato in epigrafe e, annulla, pertanto l’atto impugnato di proclamazione degli eletti e gli atti ulteriori indicati in ricorso, con ogni conseguente effetto in ordine alla rinnovazione del procedimento elettorale.

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NOTA – EFFETTI TANGIBILI DEL FEDERALISMO IMPERFETTO E INCOMPLETO
La sentenza del TAR per l'Abruzzo n. 7 del 2002, pubblicata il 17.1.2002 ha "azzerato" il voto regionale del 2000. Essa determina uno degli effetti sconvolgenti del "federalismo imperfetto e incompleto" trapiantato nel nostro sistema costituzionale cui vanno aggiunti i ritardi e la incompletezza delle attività statutarie regionali.
Essa, ampiamente motivata in fatto ed in diritto, attraverso 42 pagine, merita approfondita riflessione. Ciò avverrà probabilmente in sede di appello se, come presumibile, la sentenza sarà impugnata dinanzi al Consiglio di Stato dai più diretti interessati (gli eletti di maggioranza) e magari dai controinteressati (gli eletti di minoranza) i quali potranno insistere nella tesi del ricalcolo dei voti con detrazione di quelli che si assumono, secondo il termine usato dal TAR, "veicolati" dal candidato non candidabile o almeno di quelli più direttamente espressi alla sua persona.
L'approfondimento potrà avvenire, in modo distaccato sulla base dei criteri tecnico-giuridici ad opera degli studiosi della materia, specie dopo il giudizio definitivo "a bocce ferme".
La decisione è molto importante anche perché è priva di precedenti specifici se si eccettuano i pochi casi, non del tutto assimilabili, relativi a qualche Comune nel quale è stato eletto Consigliere un condannato per reati commessi con abuso di ufficio1 o alla Giunta della Regione Molise2 nella quale si trattava di operazioni elettorali viziate per la illegittima sottoscrizione delle liste e per la confondibilità di contrassegni.
Nel "caso Abruzzo" di singolare interesse appare la pronunzia in via incidentale, per non dire sostitutiva, di incandidabilità del Consigliere Regionale eletto e dimessosi da parte del TAR dopo che la Corte di Appello aveva ritenuto la propria giurisdizione e dichiarato cessato l'interesse a tale pronuncia e si apprestava, ad avviso dello stesso TAR, a ripronunciarla in un parallelo giudizio, a seguito di dimissioni del consigliere incandidabile perché eletto Senatore della Repubblica.
Peculiare appare, inoltre l'affermazione del principio secondo il quale l'incandidabilità del Consigliere regionale inserito nel "listino" è assimilabile alla incandidabilità del Presidente e travolge l'intero Consiglio (maggioranza e minoranza), senza neppure la possibilità di operare calcoli correttivi.
La sentenza assume particolare rilevanza giacchè è stata emessa due anni dopo le elezioni con un ripensamento del Giudice Amministrativo sulla "opportunità" di attendere il giudicato civile. È ipotizzabile una scelta di opportunità in materia di attribuzione della giurisdizione?
Essa giunge dopo che l'ultima modifica costituzionale (adottata con la legge cost. n. 3 pubblicata nella G.U. del 25.10.2001) ha privato  Governo e Presidente della Repubblica del potere di nominare uno o più Commissari (come hanno fatto per il Molise con il D.P.R. del 16.7.2001) e quando ancora il "costituente regionale" non si era dato uno Statuto che disciplinasse la materia, nel nuovo sistema "federale".
Tutti i rimedi che si vanno ventilando (prorogatio della Giunta disciolta; "restauratio " della Giunta della precedente Legislatura; provvedimento cautelare del TAR; Decreto del Presidente della Repubblica; applicazione in via analogica dell'art. 42 dello Statuto del 1971) sono tutti in conflitto con la normativa, costituzionale e ordinaria, vigente.
La "prorogatio " riguarda organi legittimamente eletti o nominati. La "restauratio" non esiste nel nostro sistema giuridico e presupporrebbe la totale inesistenza dell'elezione e di due anni di funzionamento dei nuovi Organi (con logico travolgimento di tutti gli atti compiuti). Il D.P.R. adottato per il Molise il 16.7.2001 faceva testuale riferimento ai "poteri residuali del Governo" aboliti con la Legge Costituzionale n. 3 del 2001 in vigore a seguito di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 25.10.2001, per la quale il Governo non ha poteri sovraordinati rispetto alle Regioni e non può esercitare il controllo sostitutivo sugli Organi. L'art. 42 dello Statuto regionale del 1971 concerne la permanenza in carica del Presidente legittimamente eletto e della Giunta legittimamente nominata dopo lo scioglimento del Consiglio, non certo del Presidente illegittimamente eletto e del Consiglio che segue la sua dimissione per via giurisdizionale. Un provvedimento cautelare del TAR a richiesta di un cittadino qualsiasi non potrebbe essere emanato se non inserito "incidentalmente" in una domanda di merito per la quale il TAR sarebbe assolutamente carente di giurisdizione.
Ciò accade mentre atti essenziali, primo fra tutti il bilancio, attendono di essere approvati dal Consiglio Regionale e nulla possono i dirigenti muniti di soli poteri di gestione ed esecuzione.
Si può solo ipotizzare che il Consiglio di Stato, in sede di appello, consenta un provvedimento cautelare che dia almeno tempo di mettere in piedi rapidamente (ciò che non significa frettolosamente) uno Statuto che contempli anche il caso di totale "vacatio" degli Organi e la loro temporanea sostituzione.
Sugli interessanti problemi  dell'effetto espansivo della incandidabilità (oltre i limiti della nullità dell'elezione individuale e della nullità della convalida indicati chiaramente nella legge) metterà conto di discutere approfonditamente in sede dottrinaria e giurisprudenziale.
Sulla costituzionalità della legge, specie laddove assimila, per rilevanza elettorale, il capo – mafia all'autore di reati commessi con violazione dei doveri di ufficio e laddove rende  nulla la nomina del Consigliere del piccolo Comune o del Consigliere di quartiere non quella del Deputato, del Senatore, del Presidente della Commissione Antimafia, del Ministro dell'Interno o della Giustizia, si dovrà riflettere a fondo in ogni competente sede.
Certamente la sentenza del TAR per l'Abruzzo costituirà occasione di riflessioni, di dibattito e di stimolo, sia per gli studiosi della materia sia per i "costituenti" e "ri-costituenti" nazionali e regionali.

-Avv. Marcello Russo-