Progetto Italia Federalea cura di Francesco Paolo Forti |
di Silvio Trentin |
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Il federalismo proudhoniano di Silvio Trentin (di Piero S. Graglia)
Tra gli antifascisti emigrati in Francia che cercarono di disegnare
in maniera originale la nuova Italia che sarebbe sorta dopo l’abbattimento
del fascismo, Silvio Trentin occupa un posto di primo piano. In particolare
se si tiene conto che egli elaborò un suo progetto di ricostruzione
dell’Italia e dell’Europa, in modo si può dire del tutto autonomo,
appoggiandosi in gran parte al federalismo di tipo proudhoniano e partendo
dal principio della necessità di una sintesi tra collettivismo economico
e libertà politica.
Un’attività di studio questa, coltivata nell’isolamento e tra mille disagi materiali, che va affiancata idealmente, con gli stessi spiccati caratteri di originalità, a quella portata avanti dal movimento GL e da Carlo Rosselli, con il quale Trentin intrattenne rapporti, più che di collaborazione, di amicizia; ed uno studio che fornì molti spunti alla successiva azione di Ignazio Silone all’interno del "Centro Estero" socialista di Zurigo. L’attività di Trentin può essere divisa, sul piano dell’elaborazione teorica, in due parti(1): fino al 1932 (emigrò in Francia nel 1926) incentrò la sua attenzione sulla interpretazione delle origini del fenomeno fascista(2); dal 1933 in poi compaiono i suoi scritti dedicati alla ricostruzione della società e dei valori di civiltà oppressi dal fascismo. Trentin vede il fascismo, nei primi anni del suo esilio, come un esempio della crisi della civiltà europea, e nello stesso tempo una manifestazione estremamente labile, tanto da poter essere definita "un’avventura"(3). Egli non abbraccia la tesi gobettiana del fascismo come autobiografia della nazione, ma neppure quella crociana del fascismo come malattia passeggera. Secondo lui, prima del fascismo l’Italia era democratica ed esso aveva potuto prevalere solo per un momentaneo esaurirsi delle forze nazionali dopo il primo conflitto mondiale(4). La sua visione resta legata alla visione nazionale dei problemi, entro il quale l’Italia gioca il suo destino; va rilevata quindi, in questa fase, la differenza con chi, come Andrea Caffi(5), vedeva la crisi italiana come inserita in un più vasto momento di crisi europea: crisi delle ideologie, dei valori, della gioventù persa dietro agli irrazionalismi, crisi dello stesso stato nazionale che non riesce più a garantire, chiuso nei suoi confini, uno sviluppo armonioso dell’economia europea e dei valori di solidarietà e convivenza. In questo periodo di tempo (1926-32), Trentin si presenta invece come un democratico radicale, vicino allo spirito di coloro i quali, appena giunti in Francia da Lipari, si preparavano a fondare "Giustizia e Libertà" nel 1929. Con tale movimento, i suoi rapporti furono frequenti; Trentin si incontrava spesso con Rosselli e ancor più con Lussu. Rosengarten ha affermato che la fondazione di GL e l’incontro con Rosselli agirono su Trentin nel senso di scuoterlo da una condizione di fatalistica rassegnazione nei confronti del fascismo trionfante(7). Ma la sua presenza ai vertici di GL è documentata solo dal 1934. Quando il 5 maggio di quell’anno il Consiglio Generale della Concentrazione si riunì per sancire lo scioglimento dell’organismo antifascista, Trentin era tra i rappresentanti di GL, per la prima volta così in una posizione di responsabilità all’interno del movimento(8). Il suo ruolo, tra le file di GL, non si limitò a quell’occasione. Nel marzo del 1937 si apre il Congresso di Lione del Fronte Unico, che tiene a battesimo l’Unione Popolare Italiana - un organismo simile al fronte, dominato come questo dai comunisti - ed è Trentin che porta il saluto di GL, pur rifiutando di essere cooptato nella direzione del nuovo organismo(9). Col passare del tempo, il pensiero di Trentin si evolve però in maniera del tutto originale, anche dietro lo stimolo di esperienze personali (il lavoro di tipografo ad Auch e quindi la sua forzata ‘proletarizzazione’) e di fatti internazionali (la crisi economica mondiale, il carattere ormai europeo del fascismo dopo la vittoria nazista in Germania, l’ascesa dell’Urss a grande potenza); questi ultimi visti da lui come la definitiva prova che la sintesi proposta dal fascismo non è un superamento del regime capitalistico, bensì ne è l’unione con un modello politico autoritario. Egli ricerca così, nelle sue opere ‘ricostruttive’, dal 1933 in poi, una via per armonizzare economia socialistica e politica democratica; e dal momento in cui Rosselli viene ucciso, nel giugno 1937, Trentin continua a collaborare con GL ponendosi alla sua sinistra insieme a Lussu, su posizioni autonome e con già chiari i termini del problema della ricostruzione rivoluzionaria della società italiana ed europea. Negli studi sull’opera di Trentin, principale è sempre stata la considerazione del federalismo infranazionale, della rifondazione delle basi della società attraverso il rifiuto dello stato centralistico e autoritario incarnato dal fascismo ed il compimento di un processo rivoluzionario federalista interno ai vari stati. Sulla base degli ultimi contributi della letteratura critica su Trentin, si può però affermare che l’europeismo dell’autore si pone in un momento precedente al suo rifiuto dello stato centralizzato, rifiuto già affermato ad esempio in Aux sources du fascisme (1931)(10). Va anche detto però che questo ideale unitario europeo, che Malandrino, basandosi sulle osservazioni contenute in Antidémocratie(11), colloca prima della svolta in senso federalista infranazionale del 1932-33, è basato essenzialmente - in armonia con le idee di Rosselli - sulla sensazione della distruzione cui la civiltà europea sarebbe andata incontro, se avesse permesso al fascismo di trionfare come anti-Europa; per cui l’Europa si doveva porre quale anti-fascismo, seguendo la strada indicata dall’"apostolo e precursore" Giuseppe Mazzini con i suoi "Stati Uniti d’Europa", e incrementando soprattutto la cooperazione economica: A questo europeismo ancora in fase di elaborazione, presente comunque anche in molti altri autori di questo periodo, si uniscono temi già affermati in Aux sources du fascisme: l’avversione nei confronti dello stato centralizzato; la chiara percezione del valore della libertà; il rifiuto della concentrazione dei mezzi di produzione, tipica del capitalismo. Tale rifiuto del sistema capitalistico è evidente nelle sue opere ‘ricostruttive’ come Riflessioni sulla crisi e sulla rivoluzione (14) (una delle sue poche opere tradotte in italiano in Francia) e La crise du droit et de l’Etat (15). In questi scritti il fascismo cambia la sua connotazione per Trentin, anche in conseguenza della marea nazista montante in Germania: ora esso non è più un’avventura, ma il prodotto necessario del capitalismo e dello stato accentratore. Ma mentre il rifiuto del capitalismo nei rapporti economici è assoluto perché una delle cause fondamentali dell’ascesa del fascismo, Trentin non è critico contro il comunismo e la rivoluzione russa nel modo in cui lo era, ad esempio, Rosselli; per lui la rivoluzione bolscevica è da superare nel suo apparente democratismo, ma i messaggi che essa inviava erano sostanzialmente esatti: l’affermazione del ruolo creativo dello stato nella direzione dell’economia e la lezione che un’idea, quando appoggiata dalla forza dello spirito e della volontà, supera anche la combinazione delle forze materiali, il determinismo delle forze economiche. Questo atteggiamento nei confronti della rivoluzione russa e dei suoi sviluppi, è reso evidente dal modo con il quale Trentin commentò la nuova Costituzione sovietica del 1936 dalle colonne del settimanale del movimento di Rosselli. Il testo della Carta fondamentale russa apparve sulla rivista diviso tra il numero 26 del 26 giugno 1936 e quello successivo, del 3 luglio. In calce alla seconda parte del testo, vi è anche la prima parte del commento (lungo e anche, pur nei limiti del giurista, partecipe) che Trentin dedicò alla Costituzione e che continuò su "Giustizia e Libertà" del 10 e 17 luglio(16). La direzione del giornale, pubblicando una breve nota presumibilmente ad opera di Rosselli stesso, si dissociò apertamente dalle opinioni del professore di diritto pubblico, che salutava la costituzione sovietica come uno dei prodotti più alti della rivoluzione proletaria e come il mezzo per aprire nuove prospettive al genere umano. "Giustizia e Libertà" invece avanzava notevoli dubbi, principalmente mettendo in evidenza lo scollamento tra norma scritta e realtà effettiva della società russa. Nel suo commento Trentin metteva in risalto l’importanza della rivoluzione russa e delle sue conquiste: la collettivizzazione dell’industria, dell’agricoltura, del commercio e del credito, la costruzione di una società dove vigeva il principio socialistico del "da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro"; solo un rammarico Trentin dimostra nei confronti dei costituenti russi: quello di non aver ribadito nella nuova Carta costituzionale il ruolo che la costituzione del 1924 attribuiva "allo Stato federativo da essa creato la missione irrevocabile di costituire - di fronte alla S.d.N., espressione tipica del collaborazionismo imperialistico-borghese - il nucleo iniziale della futura Repubblica socialista sovietica mondiale"(17). Certo anche per Trentin non tutto era perfetto della nuova costituzione; in particolare gli sembrava negativo il fatto che i Soviet, da strumento del potere rivoluzionario del proletariato nella fase della costruzione del socialismo, fossero ora diventati semplici organi periferici del potere centrale, senza nessuna autonomia. La riflessione sulla costituzione, che non venne commentata ulteriormente da "Giustizia e Libertà" (cioè da Rosselli) a causa del pronunciamiento militare spagnolo, pur mantenendo comunque un favore di fondo verso la rivoluzione russa, dava l’occasione a Trentin di ribadire la sua opposizione nei confronti del potere statale centralizzato, quale si era manifestata ne La crise du Droit et de l’Etat. Su queste basi di rifiuto dell’accentramento statale, che potrebbe sembrare in apparente contrasto con la preferenza accordata ad un modello di economia coordinata dallo stato, Trentin elabora un disegno che vuole superare tale contraddizione rifacendosi al federalismo proudhoniano e italiano del Risorgimento, venato da influenze dell’anarchismo francese e dall’esperienza dei Soviet in Russia. I principi che informavano Trentin nella sua elaborazione erano quelli del decentramento amministrativo, dell’autogestione operaia e dell’autonomia integrale del cittadino all’interno dei corpi sociali. Mentre il decentramento amministrativo poteva essere materia del suo interesse anche prima del fascismo(18), gli altri due elementi devono essere considerati come frutto dell’evoluzione e della vicenda personale di Trentin, della sua condizione di "rivoluzionario liberale", come egli si definiva(19) e della sua nuova condizione di "proletario" - un fatto che, nella sua vicenda personale, ebbe sicuramente profondi riflessi sull’elaborazione teorica. Nell’opera già ricordata, La crise du droit et de l’Etat - uscita nel 1935 ed oggi pressoché introvabile in Italia nell'edizione originale - l’argomento centrale è quindi il federalismo. Trentin cerca di costruire un nuovo modello di stato, diverso da quello "monocentrico" e capace di resistere ai pericoli dell’autoritarismo. Per far ciò egli ritiene essenziale procedere alla soppressione del privilegio economico, rigenerando le basi istituzionali dello stato attraverso il ricorso al federalismo e alla salvaguardia delle pluralità sociali. Il principio dell’autonomia era negato dal fascismo centralizzatore, ma, e Trentin ne era cosciente, anche dallo stato sovietico. Sulla base di questa evidenza Trentin muove la sua critica al sistema capitalistico - rifiutato senza appello - ed allo stato accentrato, come ostacoli che si frappongono alla creazione di un ordinamento fondato sulla "giustizia" e sulla "libertà". L’influenza proudhoniana che Trentin subisce, appare evidente nelle opere successive, in particolare nel saggio Liberare e Federare e in Stato-Nazione-Federalismo (20), ma non è accettazione incondizionata, bensì adesione critica(21). Trentin accetta il federalismo di Proudhon come premessa filosofica, concorda con il suo vedere la dinamica sociale come un equilibrio di forze opposte, a volte irriducibili antagoniste, e non come la meccanica dialettica marxiana. Però individua i punti deboli proudhoniani sul piano della consistenza pratica(22). I punti di partenza definiti in La crise du droit et de l’Etat trovano compiuta sistemazione nelle opere teoriche appena citate, ed una base di azione nel movimento di resistenza francese "Libérer et Fédérer". E’ in esso che Trentin svolge la maggior parte della sua opera antifascista, prima di tornare in Italia nel 1943 e quindi morire nel 1944. Il movimento "Libérer et Fédérer" è un caso anomalo nel panorama resistenziale francese; in pratica fu l’unico ad unire alla lotta contro i boches anche un’analisi di ricostruzione dello stato che superasse il modello accentrato; un’esigenza che non era sentita così impellente, nella Résistance, come nel movimento di Resistenza italiano, se si eccettuano pochi sparuti gruppi tra i quali va indicato anche quello di André Ferrat, di matrice trotzkista, riunito intorno alla rivista "Lyon Libre", e che avrebbe organizzato con Altiero Spinelli il convegno federalista di Parigi del marzo 1945(23). Sul piano degli obiettivi politici pratici, Tobler ha affermato che Trentin ed il movimento "Libérer et Fédérer" erano contrari ad una socializzazione totale dei mezzi di produzione, come via per garantire la libertà e la dignità dell’individuo; ed in questo atteggiamento Tobler vuole vedere una somiglianza con Rosselli; ma a questo punto afferma che Trentin, Così, il federalismo di Silvio Trentin nel movimento francese si mosse su binari che tendevano a superare il federalismo puramente politico-territoriale, in quanto le esperienze esistenti (Svizzera, Stati Uniti) di federalismo istituzionale, incarnavano secondo lui l’essenza di un regime centralizzato, non rispettoso delle autonomie. Per Trentin il federalismo doveva invece dare vita ad un tipo di società estremamente sensibile alle variazioni del microclima del corpo sociale; ogni istanza della "base", arrivava al vertice attraverso un filtro, il meno deformante possibile, costituito da corpi di rappresentanza delle categorie produttive (le "autonomie primarie") e da "autonomie intermedie" che erano organizzate a livello e su base territoriale(27). La lettura del documento fondamentale del federalismo europeo, il Manifesto di Ventotene (1941) scritto da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli che Trentin ricevette in Francia verso il 1942, come ricorda Ursula Hirschmann(28), non distolse comunque Trentin dal considerare come ambito privilegiato della sua riflessione lo stato e la sua organizzazione federativa; il Manifesto di Ventotene, nel suo porre come inevitabile la riorganizzazione dell’Europa su basi federali sovranazionali per salvare i valori della cultura e società occidentali, non faceva parola sulla struttura federale infranazionale, non considerata da Spinelli e Rossi e che era invece la dimensione che, evidentemente, a Trentin stava più a cuore; e per questo motivo mi sembra che la sua lettura possa avere limitatamente influenzato Trentin. Lo "Stato", categoria per lui insostituibile, si sarebbe dovuto occupare della direzione e del coordinamento delle richieste e della risoluzione dei problemi non gestibili a livello delle autonomie federate; il problema della federazione europea restava sullo sfondo, tutto sommato secondario e successivo alla nascita dello stato federale trentiniano(29). D’altra parte, il nucleo innovativo dell’attività del movimento di Trentin non venne neppure riconosciuta dai federalisti europei e in particolare da Spinelli. Scrivendo nell’aprile 1945 per informare i compagni azionisti di Milano sulla situazione politica francese vista dal suo osservatorio di Parigi, dove si trovava per l’organizzazione e lo svolgimento del primo convegno federalista successivo alla liberazione della Francia (convegno che si tenne dal 22 al 25 marzo)(30), egli infatti include "Libérer et Fédérer" nel novero dei "nuovi" movimenti comparsi nel panorama francese, che però, a suo giudizio, nuovi non sono: Una delle dimensioni principali dell’attività di coordinamento dello stato disegnato da Trentin è evidentemente quella economica; si può dire anzi che essa è l’obiettivo finale del progetto di Trentin: fabbrica, terra, commercio e credito dovevano tutti essere organizzati e controllati e diretti dallo stato, facendo salve quelle dimensioni di autogestione delle fabbriche e di redistribuzione della terra senza le quali il disegno di Trentin si sarebbe ridotto ad un autoritario dirigismo statale. Lo sforzo di Trentin è quindi di armonizzare il più possibile questa attività direttiva e pianificatrice dello stato, con i compiti di autogestione e autogoverno dell’economia in mano alle "autonomie primarie", e con una continuamente affermata difesa della libertà di decisione dell’individuo. Nello stesso tempo viene però eliminata la presenza della proprietà privata come funzione economica autonoma: [...] Per questo la parola d’ordine che deve essere innalzata a punto di riferimento e a fonte d’orientamento di ogni sforzo volto allo scopo di preparare le forme d’un ordine nuovo, [...] non può essere che questa: autonomia e federalismo.(32) A volte comunque, l’attenzione di Trentin per il ruolo di coordinatore e di controllore dello Stato arriva a livelli tali che, ad esempio nel settore commerciale, vengono previste due valute differenti: una per uso interno ed una per scambi internazionali; cosicché ognuno avrebbe dovuto fare riferimento allo "Stato banchiere" per giustificare i suoi risparmi ed i suoi investimenti. Può essere solo un esempio di come Trentin avesse inteso in modo totale la funzione pianificatrice dell’economia da parte dello Stato; un giacobinismo democratico e federalista che, a volte, rischia di contraddirsi volendo garantire allo spasimo la dialettica tra potere centrale e autonomie primarie; dialettica che, unica, permette al singolo di uscire dallo stato di monade per diventare effettivamente cittadino. Su questo supporto di stato controllore e società federativa, si innesta quindi, in modo molto più definito che non in Rosselli, la futura organizzazione dell’Europa; organizzazione che si doveva basare sull’elemento che era lo Stato federale: "L’Italia è una repubblica federale e rivendica, in questa sua qualità, la dignità e il titolo di membro fondatore della Repubblica europea" (33). La stessa affermazione era riportata nell’art.1 del disegno costituzionale relativo alla Francia(34). Ferma restando la giustezza delle affermazioni di Malandrino sull’atteggiamento europeista di Trentin, la visione trentiniana era del tutto diversa quindi da quella preconizzata dal Manifesto di Ventotene; in particolare erano invertite le priorità: mentre per i federalisti di Ventotene la struttura federale europea doveva precedere la riforma interna dello stato, che sarebbe stata frutto, in definitiva, della stessa nascita della Federazione europea, per Trentin era esattamente il contrario: la federazione europea sarebbe nata successivamente all’istituzione dello stato federale. A questo punto sorge però spontaneo un dubbio: lo stato immaginato e disegnato da Trentin è indubbiamente uno stato sovrano, la cui sovranità include in modo definitivo anche la sfera dell’economia; cosicché gli Stati Uniti d’Europa che Trentin si augura, avrebbero dovuto basarsi su di un’unione superficiale di tanti corpi separati, ognuno con un organo dirigente e controllore. Prima di ritenere Trentin un assertore ed un difensore dello stato sovrano, bisogna però considerare il fatto che egli immaginava sì uno stato dirigista, ma soprattutto uno stato nel quale le classi privilegiate erano destinate a scomparire, assieme con il controllo delle sovvenzioni, la distribuzione delle commesse pubbliche, le spese militari; tutte controllate dalla comunità nella figura dello stato federale. Un organismo quindi pronto, almeno formalmente, ad accettare quelle formule mirate a far ottenere il completo benessere per l’uomo nel regno della "giustizia" e della "libertà". Il problema della futura unione tra gli stati "ipertrofici" che Trentin disegna, viene quindi da lui ‘risolto’ su due piani: da un lato la scomparsa delle classi privilegiate avrebbe attenuato la forza dei gruppi di pressione interni allo Stato, che premono sempre per un rafforzamento ed un mantenimento della macchina statale; dall’altro, lo stato così costituito, non più dominato dagli interessi di classe, avrebbe accettato di annullarsi per confluire in organismi più vasti ed articolati. In Stato-Nazione-Federalismo, Trentin poteva quindi affermare il principio dello stato universale come unico modo per garantire l’unità del diritto(35), richiamare l’attenzione sulla divisione dell’Europa in stati sovrani e sulla necessità di superare la divisione esistente tra le economie nazionali(36): Questo fa ingenerare il sospetto che il suo europeismo si muovesse sulla scia di una fiducia forse eccessiva nel ruolo automatico che il ‘suo’ stato federale avrebbe avuto come fondatore degli "Stati Uniti d’Europa", e tendesse a considerare come secondario e un po’ come ‘derivato’, il problema della unificazione europea. |
Note: