Progetto Italia Federale

a cura di Francesco Paolo Forti
Lavoro nero a Milano
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 Progetto Italia federale
 Ultimo aggiornamento: 
Febbraio 2002

Su gradita segnalazione di uno studente:


 

DIPARTIMENTO DI SOCIOLOGIA E RICERCA SOCIALE

Universita` degli Studi di Milano-Bicocca

Via Bicocca degli Arcimboldi, 8 – 20126 Milano


 



 



L’economia sommersa e il lavoro irregolare a Milano

a cura di Paolo Barbieri e Giovanna Fullin

Rapporto di ricerca per la Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Milano

Direttore della ricerca Prof. Emilio Reyneri

Milano, febbraio 2000


pag. Presentazione 3

1. Il quadro complessivo 5

2. L’economia sommersa e il lavoro irregolare a Milano 11
 

2.1 Le quantificazioni possibili a livello provinciale 13

2.2 Le interviste in profondità 21

          1. Natura e forma delle attività svolte, settori interessati 21
          2. Mercato, forme di concorrenza e "dumping sociale" 24
          3. Soggetti, attori e strategie nel lavoro nero 26
          4. Fattori di diffusione del lavoro nero 31
          5. Nuove forme regolative ed emersione del lavoro nero 36
          6. Le dimensioni del lavoro irregolare 38
        1. Una tipologia riassuntiva 40
      1. Le proposte per la riduzione del lavoro irregolare 43
3.1 Il potenziamento del controllo 43

3.2 Il ruolo delle convenienze relative 45

3.3 Il ruolo del consenso sociale 45

3.4 Fattori e politiche mirate al lavoro nero 46

3.5 Welfare e lavoro irregolare 48
 

 4 Alcune proposte operative 50   4.1 Un caso concreto di politica per la riemersione: i contratti di riallineamento 52


Riferimenti bibliografici 54

Allegati 56


Presentazione

Il rapporto si pone come una prima, esplorativa valutazione del fenomeno del lavoro nero e sommerso in provincia di Milano. La parte introduttiva e di presentazione del problema nei suoi aspetti più generali avrà, comunque, come dimensione di riferimento il territorio nazionale in quanto è evidente come ogni fenomeno socio-economico, per quanto localmente rilevante, possa essere valutato realmente solo in termini comparativi: diacronici e/o sincronici, cioè effettuando comparazioni fra periodi diversi (andamenti nel corso del tempo) e/o fra situazioni diverse.

La schematica introduzione riferita agli andamenti nazionali del fenomeno servirà, quindi, a chiarire meglio aspetti e andamenti che diverranno poi oggetto di specifica analisi nella parte successiva del rapporto dedicata alla dimensione locale.

La seconda parte del rapporto illustrerà, dunque, il caso milanese, presentando dapprima il materiale quantitativo analizzabile su base provinciale, quindi entrando nel vivo della ricerca e delle interviste ai testimoni privilegiati.

Ciò che emergerà in sede di conclusioni è che il fenomeno del lavoro "nero" o sommerso appare a Milano tutto sommato un fenomeno limitato, sia per quantità sia per fattori che ne favoriscono lo sviluppo. Ovviamente, all’interno del lavoro "nero" esistono situazioni e realtà fra loro profondamente diverse, ed il rapporto ne dà conto. Realtà di lavoro nero, quindi, sono presenti anche a Milano, e su di esse le istituzioni economiche e le parti sociali sono chiamate ad intervenire.

Ciò che, però, ci preme sottolineare, pur richiamando la natura preliminare ed esplorativa di questo rapporto di ricerca, è la doppia valenza che il lavoro sommerso assume a Milano: accanto al lavoro nero, infatti, si trovano diverse forme di lavoro "grigio", ovvero situazioni in cui la regolarizzazione della posizione lavorativa è solo parziale. Il caso classico di lavoro grigio è costituito da dipendenti pagati in nero per le ore di lavoro straordinario e/o festivo, ma non è il solo: si pensi, ad esempio, ai lavoratori assunti con contratto part-time o comunque con orario ridotto che lavorano a tempo pieno ricevendo l’integrazione del salario "fuori busta".

A tali realtà, che risultano piuttosto diffuse, si aggiungono quelle, altrettanto "anomale", dei lavoratori con contratto di collaborazione che in realtà hanno un rapporto con il committente del tutto simile a quello di un lavoratore subordinato, o dei soci lavoratori delle cooperative che spesso sono nella medesima posizione dei dipendenti ma non godono delle tutele riconosciute a questi ultimi. Se dunque il lavoro nero è limitato, quello grigio è, però, poco conosciuto e per nulla studiato ed analizzato a fondo, in modo da comprenderne i meccanismi che ne sono alla base, le cause, economiche, sociali ed istituzionali, i reali livelli di diffusione sul territorio, i problemi sociali cui può dar luogo, e più in generale i rischi sociali che ingenera. E non si deve trascurare che attività di lavoro irregolare dipendente totalmente irregolare sono spesso svolte da persone che hanno una posizione principale regolare, si tratti di un lavoro regolarmente registrato o dello status di pensionato, cassaintegrato, lavoratore in mobilità.

Infine, vorremmo qui ringraziare tutti coloro che, con la loro esperienza e la loro informata e competente disponibilità, hanno contribuito alla realizzazione del rapporto facendo sì che i loro vissuti e il loro lavoro quotidiano divenissero „capitale umano" condiviso e oggetto di riflessione: i testimoni privilegiati intervistati, gli operatori economici e sociali, i rappresentanti degli interessi organizzati, gli attori istituzionali.

Ci piacerebbe, però, ringraziare in particolar modo il dott. Cardinale e il dott. Cerfoglio della Direzione Regionale del Lavoro (Settore Ispezione del Lavoro) e il Sig. Borracchia della CGIL (Ufficio Vertenze). La loro accurata e competente conoscenza del fenomeno, ed i dati che ci hanno fornito, ci sono stati preziosi.
 
 

1. Il quadro complessivo

Seguendo un approccio proprio della sociologia economica, si intendono per sommerse quelle attività produttive nascoste o irregolari che non si conformano alla regolamentazione fiscale o alla normativa assicurativa. Esse possono quindi includere attività produttive legali, ma irregolari, e attività illegali, svolte in violazione delle normative civili e penali. Coerentemente con le definizioni internazionalmente stabilite, ci si dovrebbe, quindi, riferire a questi tipi di attività parlando di „economia sommersa" (Busetta, Giovannini, 1998).

In letteratura, il dibattito sull’economia sommersa è stato particolarmente vivace ed ha conosciuto aspetti e posizioni in netto contrasto fra loro. In particolare, lo scontro è stato particolarmente acceso fra quanti, soprattutto di tendenze neoliberiste, tendono a leggere l'economia sommersa come espressione del dinamismo del mercato contro le costrizioni della regolamentazione istituzionale (Priest 1994, Epstein 1994, Paglin 1994, Soldatos 1995) e quanti invece mettono maggiormente in rilievo le contraddizioni sociali che essa provoca, l'impatto negativo sul sostentamento dei sistemi nazionali di welfare e gli effetti di dumping sociale (Jo Foo 1994, Zlolniski 1994, Sassen 1994).

In queste note focalizzeremo l’attenzione sul lavoro più che sull’economia, quindi sulle forme, istituzionalmente definite o meno, che questo assume nell’area oggetto di studio. Ciò ci consentirà di operare una riduzione del significato di „economia sommersa" adottato: l’accezione di „sommerso" cui faremo riferimento parlando del lavoro a Milano, escluderà, infatti, – tendenzialmente almeno – le attività di tipo chiaramente illegale e malavitoso.

Per quanto tale scelta appaia ragionevole e ragionevolmente sostenibile analizzando „il lavoro nero ed i lavoratori coinvolti", è doveroso riconoscere che essa può rivelarsi più problematica di quanto non appaia a prima vista, vuoi da un punto di vista metodologico che da uno sostanziale.

Da un punto di vista metodologico, infatti, non è affatto un’operazione scontata valutare dove finisce un lavoro svolto in „nero" e dove inizia una attività semi o ampiamente illegale. Situazioni contingenti, figure e „professioni" particolari spesso si sovrappongono in modo difficilmente districabile.

Da un punto di vista sostanziale, invece, va ricordato che il concetto di „irregolare", si tratti di economia o di lavoro o di entrambi, può essere definito solo in negativo, per complementarità a ciò che – di volta in volta – le contingenze storico- sociali o le norme ed i provvedimenti istituzionali hanno definito come „regolare".

Come ci viene giustamente ricordato, quando il lavoro lo si trovava recandosi in piazza la mattina per essere scelti dal caporale di turno per una giornata di lavoro nei campi o per scaricare bastimenti al porto, non esisteva alcuna distinzione fra occupati regolari e lavoratori „sommersi" (Busetta, Giovannini, 1998).

Nel nostro paese, è dal dopoguerra, con l’affermarsi lento e difficile di condizioni di vita democratiche anche nei luoghi di lavoro che nasce la figura dell’occupato „regolare", cioè di colui (perché nel nostro paese si è sempre trattato più di un „lui" che di una „lei") che ha un contratto di lavoro e quindi gode di diritti sanciti e riconosciuti, civili innanzi tutto, ma successivamente anche politici e sociali (Marshall, 1963). Contestualmente nascono anche le figure sociali del disoccupato e dell’occupato irregolare o sommerso, il cui rapporto d’impiego non è conforme alle regole del diritto del lavoro, e che quindi non beneficia del sistema delle garanzie dell’occupato „regolare".

Per definizione, qualsiasi situazione sommersa, irregolare, non dichiarata, in nero o come altro la si voglia definire, non può che essere di difficile quantificazione. Nel nostro paese, tale difficoltà di quantificazione ha radici profonde e lontane nel tempo, che si accompagnano ad una diffusissima e consolidata pratica di osservare in modo ‚personale e flessibile‘ le norme quando la situazione consente di farlo a costi relativamente bassi. Conseguenza di tutto ciò è un ammontare, in Italia, di posizioni lavorative irregolari stimate da Istat in oltre 2,5 milioni fra irregolari in senso stretto‚ occupati non dichiarati e stranieri non in regola, ai quali vanno aggiunti oltre sette milioni di doppiolavoristi, per i quali la seconda attività è spesso in nero o comunque non totalmente regolarizzata dal punto di vista normativo e fiscale.

Secondo una recente indagine svolta dalla Commissione europea (Commissione Europea, 1998) una percentuale tra il 7% e il 16% del lavoro negli Stati membri ricade sotto la definizione di lavoro sommerso. Per quanto riguarda il nostro Paese, con un'economia sommersa stimata dalla Commissione tra il 20% e il 26% del Pil, l'Italia figura al secondo posto nella graduatoria europea, preceduta soltanto dalla Grecia (29% - 35%). Secondo il rapporto, i 15 Stati possono essere suddivisi in tre categorie: quelli in cui l'economia sommersa si aggira intorno al 5% del Pil, come i Paesi scandinavi, l'Irlanda, l'Austria e i Paesi Bassi; quelli in cui è oltre il 20% del Pil (Grecia e Italia), e quelli "intermedi", come il Regno Unito e la Germania.

Possiamo ritenere il quadro fornito dal Rapporto della Commissione Europea sostanzialmente attendibile: i dati riportati, infatti, non si discostano molto dalle valutazioni elaborate da Istat in sede di elaborazione delle stime di contabilità nazionale (Vedi tabelle 1-3). Da tali dati, possiamo trarre una prima immagine del lavoro sommerso nel nostro paese (cfr. Note tecniche nella pagina seguente).

La prima osservazione riguarda la sostanziale stabilità nel tempo dell’ammontare di lavoro sommerso o irregolare. Esso, infatti, cresce di solo un punto percentuale dalla fine degli anni settanta alla seconda metà degli anni novanta, in cui assomma al 22,3% del monte lavoro complessivo (unità di lavoro stimate).

Anche distinguendo l’occupazione per posizione lavorativa (dipendente o indipendente), la valutazione non muta. Ciò che osserviamo è una forte stabilità del fenomeno, stabilità che si conferma all’interno di una serie storica sufficientemente lunga da risultare significativa.
 



NOTE TECNICHE
IL LAVORO „ NON REGOLARE" NELLE STIME DI CONTABILITA‘ NAZIONALE


 
Oltre all'occupazione "regolare", ufficialmente registrata ai fini fiscali e contributivi, la contabilità nazionale include nelle unità di lavoro complessive una stima degli occupati irregolari. Anche se la metodologia seguita non è diretta alla stima del numero dei lavoratori operanti nel sommerso, ma solo alle stime del contributo del lavoro irregolare alla formazione del prodotto, i risultati costituiscono comunque un importante riferimento per la valutazione quantitativa del lavoro irregolare. La stima dell'ISTAT considera i risultati del confronto tra i dati risultanti dalle indagini sulla domanda di lavoro (Censimento e indagine sulle imprese, dati amministrativi e fiscali) con quelli di offerta di lavoro (Censimento e indagine sulle forze di lavoro). Il presupposto è che mentre le imprese dichiarano esclusivamente le unità di lavoro regolari impiegate, gli individui, non dovendo temere conseguenze sanzionatori, sarebbero disposti a dichiarare tutte le attività svolte.

Le unità di lavoro classificate come non regolari nell'indagine ISTAT di contabilità nazionale comprendono dunque gli irregolari costituiti da dipendenti non iscritti nei libri paga delle imprese o indipendenti che svolgono la loro attività in luoghi di lavoro non identificabili come tali; gli occupati non dichiarati che, pur dichiarandosi non occupati nell'indagine sulle forze di lavoro, in altro quesito sullo stesso questionario dichiarano di aver effettuato almeno un'ora di lavoro nel periodo di riferimento; gli stranieri non residenti come ad esempio lavoratori con permesso di soggiorno scaduto o clandestini; i secondi lavori facenti capo a persone che svolgono un'attività lavorativa, definita principale, che è già stata considerata ai fini della stima delle altre categorie di unità di lavoro. L'insieme di queste categorie comprende quindi sia lavoro nero sia lavoro legale ma non rilevato dalle indagini per questionari. Secondo le valutazioni ISTAT nel 1997, su un totale di 22.203.000 unità di lavoro poco più del 22% sarebbe rappresentato da lavoro non regolare. Il lavoro non regolare sarebbe per il 45% svolto da lavoratori irregolari, per il 14% da stranieri non residenti, per il 5% da occupati non dichiarati e per il restante 36% sarebbe costituito da secondo lavoro.

Per la categoria degli irregolari in senso stretto, per gli stranieri non residenti e per gli occupati non dichiarati (che comunque rappresentano una quota molto limitata dell'occupazione irregolare) si può assumere un'elevata coincidenza tra lavoratori non regolari e lavoratori sommersi; lo stesso non può dirsi con altrettanta certezza per coloro che svolgono un secondo lavoro, i quali comunque già possiedono un'occupazione dichiarata e per cui versano regolari contributi. In realtà, è probabile che parecchi lavoratori stranieri siano in regola con il permesso di soggiorno e non pochi lavorino regolarmente, ma non siano rilevati dall’indagine delle forze di lavoro, che riesce a cogliere soltanto, e non tutti, i residenti stabili. Ciò spiega perché la stime di contabilità nazionale non riesca a mettere in luce gli effetti delle regolarizzazioni, in particolare di quella del 1996 che ha necessariamente comportato l’emersione, sia pure spesso temporanea, del lavoro nero di circa 200.000 immigrati. Dunque le stime Istat di contabilità nazionale sovrastimano la presenza di lavoratori stranieri nell’economia sommersa.

Escludendo per questo motivo dal computo complessivo delle unità di lavoro irregolari il secondo lavoro, il peso delle unità irregolari risulta assai più elevato nel Mezzogiorno: in questa area si stimano circa 1,5 milioni di unità di lavoro irregolari (al netto, come s'è detto, dei secondi lavori che sono stimati in circa 700 mila unità), pari a circa un terzo del volume complessivo di lavoro nei settori della produzione di beni e servizi destinabili alla vendita". Nel Centro-Nord il peso delle unità irregolari scende al 12,6%, pari a circa 1,6 milioni di unità di lavoro. Il differenziale tra le due aree risulta particolarmente forte nel settore industriale (35,6% nel Mezzogiorno rispetto al 9,2% nel Centro-Nord); nel settore dei servizi il divario cala ma resta significativo: 15,5% di non regolari nel Mezzogiorno, 10,2% nel Centro-Nord.

Le differenze territoriali sono in parte da attribuire alla diversa composizione del settore industriale. In particolare l'industria delle costruzioni, nella quale la percentuale di irregolari raggiunge circa il 40% delle unità di lavoro impiegate, rappresenta oltre il 40% dell'occupazione industriale nel Mezzogiorno e soltanto il 20% nel Centro-Nord. Si ritiene che in alcune zone del Mezzogiorno la quasi totalità delle opere minori edilizie, effettuate da piccole imprese di costruzioni, sarebbe realizzata "in nero".

Alta è l'incidenza degli irregolari anche nel lavoro agricolo, in particolare nel Mezzogiorno, dove è ancora diffuso, anche in conseguenza dell'inefficienza del servizio di collocamento pubblico, il fenomeno del caporalato. La maggiore diffusione del lavoro irregolare si riscontra in Calabria dove il 42% delle unità di lavoro nei settori dei beni e servizi vendibili sono irregolari. Seguono la Sicilia con il 35% sul totale delle unità di lavoro e la Campania dove il peso delle unità irregolari è del 32%. In tutte le regioni meridionali, salvo l'Abruzzo, la quota di unità di lavoro irregolari, al netto dei secondi lavori, è molto maggiore della media nazionale (SVIMEZ, Rapporto 1998 sull'economia del mezzogiorno, il Mulino, 1998).

Tabella 1. Unità di lavoro dipendenti, composizioni percentuali
  1980 1985 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996
Dipendenti 69.8 68.1 68.7 68.6 68.9 69.1 69.0 68.8 68.7
Regolari 59.2 56.7 56.7 56.6 56.6 56.9 56.9 56.8 56.8
Non regolari: 10.7 11.4 12.0 12.0 12.3 12.1 12.1 12.1 11.9
- irregolari 6.7 6.2 6.5 6.6 6.8 6.6 6.4 6.3 6.2
- occupati non dichiarati 1.2 1.3 1.1 1.0 1.0 0.6 0.5 0.6 0.5
- stranieri non residenti 1.2 2.2 2.5 2.5 2.6 2.8 3.0 3.1 3.1
- secondo lavoro 1.5 1.7 1.9 1.9 2.0 2.1 2.1 2.1 2.1
                   
fonte: Istat, conti economici nazionali, in Fondazione Curella, 1998
Tabella 2. Unità di lavoro indipendenti, composizioni percentuali
  1980 1985 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996
Indipendenti 30.2 31.9 31.3 31.4 31.1 30.9 31.0 31.2 31.3
Regolari 19.7 20.8 20.7 20.8 20.8 20.4 20.5 20.7 20.8
Non regolari: 10.4 11.1 10.6 10.6 10.3 10.5 10.5 10.4 10.4
- irregolari 4.1 4.1 3.9 3.9 3.9 3.8 3.8 3.8 3.8
- occupati non dichiarati 1.4 1.0 0.7 0.7 0.8 0.9 0.7 0.7 0.7
- stranieri non residenti - - - - - - - - -
- secondo lavoro 4.9 5.9 6.0 6.0 5.7 5.7 5.9 5.9 5.9
                   
fonte: Istat, conti economici nazionali, in Fondazione Curella, 1998
 
 

Tabella 3. Unità di lavoro, composizioni percentuali

  1980 1985 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996
Totale 100 100 100 100 100 100 100 100 100
Regolari 78.9 77.5 77.5 77.4 77.4 77.4 77.4 77.5 77.7
Non regolari: 21.1 22.5 22.5 22.6 22.6 22.6 22.6 22.5 22.3
- irregolari 10.8 10.3 10.4 10.5 10.6 10.5 10.3 10.1 10.0
- occupati non dichiarati 2.7 2.3 1.8 1.7 1.7 1.5 1.3 1.3 1.2
- stranieri non residenti 1.2 2.2 2.5 2.5 2.6 2.8 3.0 3.1 3.1
- secondo lavoro 6.4 7.7 7.9 7.9 7.6 7.8 8.1 8.0 8.0
                   
fonte: Istat, conti economici nazionali, in Fondazione Curella, 1998

Osservazioni più approfondite possono essere tratte da un’ulteriore disaggregazione, sempre a livello nazionale, per posizioni lavorative e macrosettori. Notiamo, innanzi tutto, come il settore agricolo risulti l’ambito in cui il lavoro nero/sommerso è maggiormente diffuso. Complessivamente, oltre il 73% del lavoro agricolo è irregolare, nella definizione, forse un poco incolore, utilizzata dall’Istituto Nazionale di Statistica. Al suo interno, rileviamo una delle prime caratteristiche del lavoro sommerso che tornerà utile per comprendere il fenomeno nella ristretta area milanese: mentre, infatti, nel resto dell’economia nazionale il lavoro nero/irregolare è prevalente fra i lavoratori indipendenti, in agricoltura avviene l’esatto contrario, a sottolineare la differenza di fondo esistente fra due realtà del mondo del lavoro (lavoro nero subordinato agricolo / lavoro nero indipendente extragricolo). Ovviamente, la prevalenza del lavoro nero dipendente in agricoltura si spiega con una combinazione di fattori territoriali e sociali, quali la dislocazione prevalentemente meridionale dell’economia agricola ad alta intensità di manodopera e la contestuale massiccia presenza di lavoratori stranieri, immigrati dai paesi extracomunitari e possibilmente non sempre in regola con il permesso di soggiorno, che in tale agricoltura trovano impiego. Il fenomeno è decisamente stabile nel tempo e dunque definitivamente ‚robusto‘.

Come abbiamo osservato, il fenomeno presenta un segno opposto negli altri macrosettori economici: sia nel comparto manifatturiero sia nel terziario, infatti, il lavoro sommerso è prevalentemente lavoro indipendente, di piccoli artigiani e lavoratori autonomi che operano irregolarmente.

Tabella 4. Incidenza % delle unità di lavoro non regolari sul totale delle unità di lavoro per posizione nella professione e settore.

  1980 1985 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996
AGRICOLTURA:                  
Dipendenti 75.5 81.4 89.4 90.0 90.3 90.0 89.1 89.5 89.7
Indipendenti 46.1 52.9 58.2 60.6 61.5 63.7 64.4 64.6 65.5
Totale 55.3 61.5 68.6 69.9 71.1 72.4 72.3 72.6 73.4
                   
INDUSTRIA:                  
Dipendenti 11.2 13.2 13.9 14.4 15.0 15.2 15.1 15.1 15.0
Indipendenti 30.0 29.5 29.0 28.8 28.8 29.9 28.9 28.6 28.6
Totale 14.3 16.3 16.8 17.2 17.7 18.1 18.0 18.0 17.9
                   
SERVIZI PRIVATI:                  
Dipendenti 16.4 17.4 18.7 18.6 18.6 18.1 18.4 18.5 18.1
Indipendenti 29.2 28.6 27.1 26.2 25.5 26.2 26.4 26.3 26.1
Totale 22.0 22.5 22.5 22.0 21.7 21.7 21.9 22.0 21.7
                   
fonte: Istat, conti economici nazionali, in Fondazione Curella, 1998

La differenza che abbiamo sottolineato non richiama solo una diversità del fenomeno in oggetto fra settori ma, come vedremo oltre, una differenza all’interno dello stesso mondo del lavoro irregolare fra realtà lontane fra loro: il lavoro duro e sfruttato di quanti si vendono su un mercato del lavoro di bassa qualificazione, elevata marginalità e precarietà delle condizioni di vita e di produzione si contrappone al lavoro di coloro i quali hanno invece un loro personale sistema di convenienze a restare ‚nell’ombra‘ assicurata dai rapporti d’impiego o di prestazione irregolari. Come vedremo, si tratta di realtà profondamente differenti e che non sempre coincidono con la discriminante „cittadinanza nazionale / extracomunitaria".

Per concludere la nostra breve illustrazione delle linee di tendenza nazionali, possiamo passare ad osservare i dati riportati in tabella 5, in cui la composizione del lavoro non regolare è suddivisa a seconda delle sue diverse componenti, così come queste sono stimate da Istat. La tabella 5 mette a confronto il dato nazionale nell’arco del quindicennio esaminato e per la metà anni novanta propone una stima riferita al solo Centro-nord.

Dalle tabelle precedenti (tabelle 1 - 3) avevamo riportato un’immagine di sostanziale immobilità del lavoro sommerso nel nostro paese: in realtà, la tabella 5 rivela come nel periodo in questione si sia realizzata una trasformazione nell’universo del lavoro sommerso ed irregolare, che, se non ha toccato la dimensione complessiva del fenomeno, ne ha però mutato la composizione interna.

Osserviamo, infatti, che a fronte di una chiara riduzione degli occupati irregolari e non dichiarati, sono aumentati i secondi lavori e gli extracomunitari non residenti.

Tabella 5. Composizione % del lavoro non regolare

    Italia Italia   Centro Nord
    1980 1995   1995
           
Irregolari   51.0 45.0   31.7
Occupati non dichiarati   13.0 5.6   6.5
Secondi lavori   30.0 35.7   46.3
Stranieri non residenti   6.0 13.7   15.5
Totale   100 100   100
fonte: Istat, conti economici nazionali, in Fondazione Curella, 1998

Il fenomeno è evidente guardando ai dati del Centro-nord, in cui l’area „grigia" più che quella „nera" del lavoro sommerso è nettamente maggioritaria. Per quanto non sia ambizione di queste note fornire una analisi del lavoro sommerso nell’intero paese, possiamo rilevare come ciò che emerge dalla tabella 5 è che – all’interno di una situazione nazionale di lavoro „non regolare" complessivamente costante nel tempo – stiamo assistendo ad una progressiva riduzione dell’ammontare di lavoro totalmente in nero a favore di un incremento del lavoro „grigio", in quanto secondo lavoro svolto da occupati regolari, e del lavoro svolto dai cittadini extracomunitari. Si tratta di un trend che ci preme sottolineare perché sarà particolarmente utile per inquadrare e comprendere la stessa situazione del lavoro sommerso nell’area milanese.

2. L’economia sommersa e il lavoro irregolare a Milano

L’analisi del lavoro sommerso nell’area milanese si presenta metodologicamente non semplice: data l’assenza di dati Istat rappresentativi a livello provinciale, o la loro indisponibilità di fatto, una quantificazione del fenomeno è solo parzialmente possibile. Anche quando tentativi sono stati fatti (Vallone, 1996) questi sono comunque rimasti a livello di esercizio econometrico "una tantum".

Ciò che è emerso da tali esperienze di ricerca economica applicata è la limitata quantità di lavoro nero/sommerso stimata in provincia di Milano dove si valuta un tasso di irregolarità pari all’8,3% (unità di lavoro irregolari sul totale delle unità di lavoro provinciali) contro il 22,6% della media nazionale (Si veda la Figura 1, in cui è riportata la densità di unità di lavoro irregolari per provincia).

Questi primi risultati costituiscono pertanto il benchmark per il nostro lavoro. In particolare, il metodo da noi adottato per questa prima esperienza di ricerca „esplorativa" sul lavoro nero a Milano – interviste in profondità ad una vasta serie di testimoni privilegiati ed operatori, istituzionali, economici e sociali operanti sul territorio – può considerarsi un metodo valido per fornire, almeno in prima istanza, un quadro d’insieme del fenomeno ed una valutazione economico-sociale dello stesso, dei livelli e dei fattori che ne possono essere all’origine, oltre – ovviamente – a consentirci di fare il punto sulle varie e diversificate proposte che i soggetti politico-istituzionali hanno preparato per affrontare il fenomeno in oggetto.



 



 

2.1 Le quantificazioni possibili a livello provinciale

Come abbiamo anticipato, la scarsità di dati e stime sul lavoro sommerso a livello provinciale è un problema che affligge quanti vogliano avvicinarsi al problema. In mancanza di stime ufficiali sulle unità di lavoro, gli unici dati disponibili sono quelli dell’ex Ispettorato del Lavoro, oggi Direzione Regionale del Lavoro, Settore Ispezione del Lavoro.

Dobbiamo, peraltro, riconoscere il limite insito in questi dati, e cioè la loro dipendenza dall’ammontare di risorse, economiche ed umane, disponibili agli Ispettorati Regionali e Provinciali per compiere il loro dovere istituzionale, nonché dalle scelte politico-istituzionali in materia di controlli sul lavoro. Si tratta di carenze e fattori strutturali della Pubblica Amministrazione nel suo complesso, e come tali noi possiamo solo registrarle e cercare di estrarre comunque informazioni utili dai dati disponibili.

Come vedremo, esse non mancano.

La tabella 6 riporta i valori delle irregolarità nei rapporti di lavoro, per regione Lombardia e per Milano Provincia, distinti per categorie di lavoratori. Il dato lombardo distingue i dati dell’Ispettorato del Lavoro da quelli degli altri enti previdenziali ed assicurativi abilitati ad eseguire ispezioni nelle imprese; il dato milanese, riporta solo i risultati delle ispezioni effettuate dall’Ispettorato del Lavoro. La lettura del dato locale in combinazione con il dato regionale, nelle sue differenti composizioni, ci consente quindi di fornire alcune prime e – lo sottolineiamo ancora: prudentissime! - valutazioni sulla consistenza del lavoro sommerso/nero a Milano.

Osservando la Tabella 6, i dati (espressi in valori percentuali sul totale di colonna 1) riportati nelle colonne 2-11 sono relativi ai diversi tipi di soggetti che lavorano totalmente in nero. Le colonne 14 e 15 riportano invece il lavoro „grigio" e le irregolarità minori, non necessariamente dolose.

Il dato, quindi, di maggior interesse è quello riportato in colonna 13: il tasso di irregolarità netto, cioè considerando solo i lavoratori totalmente in nero. Come abbiamo modo di verificare, il valore di detto tasso è relativamente basso, sia in Regione sia – ancor più – a Milano.

Ripetiamo: si tratta di un’indicazione di massima, che dobbiamo leggere con una notevole cautela in quanto basata sui soli dati istituzionali risultanti dai controlli effettuati dagli Ispettorati del Lavoro e dagli Enti Previdenziali. Questo fatto è senza dubbio una fonte di distorsione, sia per la già ricordata carenza strutturale dei controlli sia perché la stessa ‚logica‘ che sottende la scelta delle imprese da controllare, da parte dell’Ispettorato e degli Enti Previdenziali, è fonte a sua volta di una ulteriore distorsione (criteri di scelta delle imprese, operatività prevalentemente su denuncia, scelta degli interventi anche sulla base di ‚pressioni politiche‘ o sull’onda dell’emotività massmediatica: il lavoro nero dei minori, gli extracomunitari, ecc.).

Ciononostante, una volta considerati i soli tassi di irregolarità netti, questi risultano meno della metà dei tassi di irregolarità complessivi o lordi, ad indicare come il fenomeno del lavoro completamente nero sia forse effettivamente un fenomeno di limitata ampiezza sia in Regione che tanto più a Milano.

Le osservazioni sono basate sui dati del triennio 1996-1998, consentendoci dunque un’osservazione sia pur minimamente ripetuta nel tempo. Il dato che emerge, relativamente a Milano, sembra essere la crescita costante del lavoro totalmente in nero degli stranieri (prevalentemente si tratta di extracomunitari): vedremo come anche le interviste confermeranno questo risultato. Si rileva anche un lieve aumento del lavoro minorile ma, dai dati a disposizione, non è possibile mettere in luce quale parte dei lavoratori con età inferiore a 15 anni (registrati come "minori" dall’Ispettorato) sia rappresentata da stranieri (si pensi soprattutto alla manodopera molto giovane impiegata nelle aziende manifatturiere gestite da orientali).

Osservazioni di un certo interesse possono essere tratte anche dall’osservazione di tabella 8. In essa sono riportati i tassi di irregolarità (lordi, unico dato disponibile) per settori e dimensioni delle imprese. L’immagine che ne deriva è abbastanza chiara: ad utilizzare maggiormente lavoro irregolare sono prevalentemente le imprese artigiane e le aziende di medie e piccole dimensioni, tanto in Regione quanto nella Milano terziaria e postfordista.

In conclusione, i dati in nostro possesso e sin qui illustrati mostrano una realtà in cui il lavoro nero è utilizzato da una quota rilevante di imprese - pari a circa il 50-60% - prevalentemente di piccole e medio-piccole dimensioni, ma riguarda comunque un numero ridotto di lavoratori, sia nazionali che extracomunitari.

Sembrerebbe, in definitiva, che ci troviamo di fronte ad un fenomeno diffuso per numero di „ricorrenti", cioè per quanto riguarda le imprese, quanto complessivamente non abbondante per numero di lavoratori coinvolti. Osservazioni più articolate saranno possibili solo con i dati qualitativi tratti dalle interviste a testimoni privilegiati.

Infine, un fenomeno su cui si dovrebbe ritornare con maggiori dati, ma che ci sembra comunque di poter porre anche se in via meramente impressionistica, riguarda l’assenza di netta associazione fra fasi del ciclo economico e andamenti delle imprese artigiane. L’ipotesi sottostante detta associazione fra quota di imprese artigiane attive e ciclo economico implicherebbe un‘influenza dello stesso ciclo (delle fasi depressive, in particolare) sulle scelte di „immersione" nell‘economia sommersa da parte dei piccoli artigiani. Si tratta di una ipotesi che sembra non reggere ad una prima verifica, per quanto esplorativa: le imprese artigiane attive, in effetti, sono stabili nel tempo, un lieve calo si registra solo per le manifatturiere – un trend che è tipico delle imprese del settore, ormai maturo, specialmente a Milano (Si veda figura 2).

Per analizzare la distribuzione settoriale del lavoro nero, invece, è possibile utilizzare i dati relativi alle vertenze aperte nel corso del 1998 presso gli uffici centrali della CGIL (gli unici disponibili). Naturalmente, è necessario utilizzare alcune cautele nella lettura di questo tipo di dati, dal momento che le vertenze relative al lavoro irregolare vengono aperte principalmente da lavoratori per i quali il lavoro nero rappresenta l’attività primaria. Chi svolge attività irregolari come secondo lavoro spesso non ha l’interesse né, in molti casi, il diritto di richiedere la regolarizzazione (si pensi ai dipendenti pubblici, pensionati, cassaintegrati, lavoratori in mobilità). Inoltre, i lavoratori irregolari maggiormente qualificati, che spesso hanno un elevato potere contrattuale nei confronti del datore di lavoro, non ricorrono alle vertenze. I dati presentati, pertanto, non dicono nulla su tali situazioni.

Le vertenze relative a rapporti di lavoro totalmente in nero costituiscono in media solo il 16% di tutte le vertenze aperte; la quota più rilevante di queste ultime, infatti, riguarda i licenziamenti e le questioni retributive. In alcuni settori, però, le vertenze relative a rapporti di lavoro irregolari toccano il 20%. Nel settore dell’edilizia la quota è addirittura pari al 28%, mentre è comunque elevata nel settore alimentare, dei trasporti e della scuola. I casi di riconoscimento di rapporto di lavoro subordinato in caso di lavoro formalmente autonomo si riscontrano nel settore scolastico, tra i chimici, gli edili e i grafici, mentre i casi di appalto illegale di manodopera, come presumibile, interessano soprattutto le aziende edili.

Tabella 6. Lavoratori irregolari, totalmente e parzialmente, sul totale delle aziende ispezionate
LOMBARDIA
Ispettorato del Lavoro
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12

 
 
 

TOT.NERO

13 % su lavoratori occupati
14
15
16

 
 
 

% complessiva

1996
217647
0,0
0,1
1,2
0,2
1,9
15,9
0,1
1,1
1,5
78,1
5278
2,4
0,4
1,5
4,4
1997
270741
0,0
0,2
2,0
0,1
2,7
25,5
0,1
1,0
0,8
67,6
4832
1,8
0,4
1,2
3,3
1998
275335
0,3
0,6
0,2
0,1
2,5
14,4
0,7
1,9
5,1
74,3
6116
2,2
0,4
1,4
4,1
LOMBARDIA
TOT.ENTI PREVIDENZIALI
1996
222610
0,6
0,3
0,0
0,2
0,0
1,1
0,2
0,8
18,8
78,0
10529
4,7
1,0
10,0
15,8
1997
165538
0,8
0,4
0,1
0,1
0,1
1,8
0,1
1,6
8,7
86,3
6081
3,7
1,6
4,6
9,9
1998
189991
0,6
0,0
0,1
0,1
0,1
0,5
0,1
0,7
9,2
88,7
8017
4,2
0,8
6,5
11,6
TOT.GEN.LOMBARDIA
1996
440257
0,4
0,2
0,4
0,2
0,6
6,1
0,2
0,9
13,1
78,0
15807
3,6
0,7
5,8
10,1
1997
436279
0,5
0,3
0,9
0,1
1,3
12,3
0,1
1,3
5,2
78,0
10913
2,5
0,8
2,5
5,8
1998
465326
0,5
0,3
0,1
0,1
1,1
6,5
0,3
1,2
7,4
82,5
14133
3,0
0,6
3,5
7,1
Ispettorato del Lavoro - Milano
1996
48182
0,0
0,1
0,0
0,1
0,4
14,9
0,2
0,8
0,8
82,7
1521
3,2
0,5
3,3
7,0
1997
101263
0,0
0,0
0,0
0,2
0,8
20,4
0,3
0,2
1,2
77,1
1194
1,2
0,2
1,5
2,9
1998
107786
1,2
0,2
0,0
0,0
2,3
23,8
0,2
0,3
0,4
71,5
1202
1,1
0,2
1,4
2,8
(fonte: Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Direzione Regionale del Lavoro, Settore Ispezione del Lavoro, Milano)
Legenda colonne:

1: numero dei lavoratori occupati nelle aziende controllate

2: lavoratori in CIG/S e occupati in nero

3: lavoratori in trattamento di malattia o infortunio e occupati in nero

4: lavoratori in trattamento di disoccupazione e occupati in nero

5: doppiolavoristi occupati in nero

6: minori di 15 anni occupati in nero

7: stranieri occupati in nero

8: studenti occupati in nero

9: pensionati occupati in nero

10: pseudo-artigiani, di fatto dipendenti

11: altri lavoratori totalmente in nero

12: totale lavoratori in nero totale

13: % di lavoratori in n nero sul tot. lavoratori occupati (tassi di irregolarita‘ netti)

14: lavoratori parzialmente retribuiti fuori libro paga (lavoro grigio)

15: altri casi di irregolarita' diverse e marginali 

16: tassi di irregolarita‘ lordi o complessivi

le percentuali sono calcolate sul totale di colonna 1

Tabella 7. Evasione contributiva, recuperi e aziende controllate
MILANO
1
2
3
4
5
6
7
8
1996
630
1053
1683
62,6
25.810.974
7.140.041
32.951.015
0
1997
722
1378
2100
65,6
11.873.577
9.096.386
20.969.963
16.775.971
1998
752
916
1668
54,9
8.388.952
7.804.450
16.193.402
1.650.108
LOMBARDIA
1996
3985
4508
8493
53,1
45.457.134
21.924.142
67.381.276
1.043.339
1997
4308
5001
9309
53,7
34.256.135
21.188.005
55.444.140
17.334.261
1998
4395
4714
9109
51,8
34.711.907
19.586.918
54.298.825
1.967.682
 
(fonte: Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Direzione Regionale del Lavoro, Settore Ispezione del Lavoro, Milano)

Legenda colonne:

1: aziende ispezionate e trovate regolari
2: aziende ispezionate e trovate irregolari
3: totale aziende ispezionate
4: percentuale di aziende irregolari sul totale delle aziende ispezionate
5: contributi intenzionalmente evasi, e recuperati (in 1000)
6: contributi versati in ritardo (in 1000)
7: totale contributi recuperati (in 1000)
8: di cui a favore dei lavoratori

Tabella 8. Lavoro sommerso: tassi di irregolarita' „lordi" per settori e classi dimensionali delle imprese, Milano e Lombardia

IMPRESE INDUSTRIALI  IMPRESE ARTIGIANE
TOT.
imprese > 100 dipendenti imprese 10-100 dipendenti imprese < 10 dipendenti
MILANO
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
1
2
3
4
5
6
7
8
1996
66,7
0,0
66,7
50,0
50,0
76,9
80,0
70,0
57,1
73,1
62,2
52,6
80,0
69,6
63,3
74,3
83,3
100,0
42,2
61,7
63,1
50,0
62,6
1997
25,9
66,7
40,0
37,5
55,8
65,2
75,0
69,2
72,7
71,5
58,3
66,7
50,0
73,0
75,1
71,4
85,7
0,0
60,3
63,6
65,2
50,0
65,6
1998
36,4
75,0
50,0
50,0
51,4
60,7
66,7
50,0
43,8
62,3
54,2
83,3
50,0
57,0
55,7
84,0
90,9
100,0
53,8
66,7
51,6
47,8
54,9
average
43,0
47,2
52,2
45,8
52,4
67,6
73,9
63,1
57,9
69,0
58,2
67,5
60,0
66,5
64,7
76,6
86,7
66,7
52,1
64,0
60,0
49,3
61,0
std.dev.
21,2
41,1
13,5
7,22
3,03
8,37
6,74
11,3
14,5
5,85
4,0
15,4
17,3
8,45
9,79
6,59
3,87
57,74
9,18
2,52
7,31
1,26
5,51
LOMBARDIA
1996
47,6
33,3
61,9
47,6
28,8
57,5
50,3
40,0
59,3
46,8
55,6
49,2
56,0
60,3
50,6
52,8
63,4
40,7
52,8
49,1
55,5
52,1
53,1
1997
31,4
25,5
33,3
41,7
33,1
57,4
47,4
52,4
50,4
50,4
54,7
56,9
55,0
58,3
58,2
53,9
55,8
85,7
50,6
53,1
56,3
41,7
53,7
1998
24,5
26,8
20,0
64,1
37,1
54,9
44,5
40,6
45,9
49,8
51,9
58,9
32,6
63,3
56,8
54,2
54,4
48,4
48,1
53,4
52,2
54,2
51,8
average
34,5
28,5
38,4
51,1
33,0
56,6
47,4
44,3
51,9
49,0
54,1
55,0
47,9
60,6
55,2
53,6
57,9
58,3
50,5
51,9
54,6
49,3
52,9
std.dev.
11,8
4,21
21,4
11,6
4,18
1,45
2,86
6,97
6,79
1,94
1,98
5,13
13,3
2,49
4,01
0,75
4,83
24,06
2,34
2,42
2,18
6,71
1,01
(fonte: Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Direzione Regionale del Lavoro, Settore Ispezione del Lavoro, Milano)

legenda colonne:

1 imprese metalmeccaniche
2 imprese manifatturiere
3 imprese chimiche
4 imprese edili
5 altre imprese
6 aziende commerciali, di credito,assicurative, turistiche, enti pubblici
7 imprese agricole
8 totale imprese
 



Tavola 2. Imprese artigiane attive, Milano Provincia 1990-1999 (settori a maggior densità di imprese artigiane)


 


2.2 Le interviste in profondita‘

Le interviste sono state condotte nel mese di gennaio 2000, su un gruppo di testimoni privilegiati e di attori istituzionali interessati e informati sul problema del lavoro nero/sommerso a Milano, seguendo una traccia semi-strutturata preventivamente testata su un primo nucleo di soggetti (Vedi allegati 1 e 2).

Nel corso dell’esposizione, riepilogheremo le informazioni raccolte per punti-chiave della traccia, esponendo quanto emerso dalle interviste. Nella parte finale verrà presentata una tipologia dei principali tipi di lavoratori in nero/sommerso a Milano, costruita sulla base delle interviste stesse. Ciò che possiamo anticipare, è che non ci troveremo di fronte a un’unica figura di lavoratore (e quindi di lavoro) in nero/sommerso. Generalizzazioni eccessive o semplicistiche, infatti, non sarebbero in grado di cogliere la complessità e l’articolazione del fenomeno, per non dire dei meccanismi e dei fattori che ne possono essere alla base. Il lavoro nero/sommerso a Milano è per sua natura „trasversale" ai settori ed alle figure professionali che caratterizzano l’economia locale: per questo motivo, per quanto sia possibile identificare settori e mansioni in cui esso è più presente, dobbiamo parlare di diversi tipi di lavoro (e lavoratori) in nero. Procediamo, dunque, con ordine.
 
 

2.2.1. Natura e forma delle attività svolte, settori interessati

Come è emerso dalle tabelle presentate, i settori in cui il lavoro sommerso è prevalente sono soprattutto il settore delle costruzioni, i servizi alla persona e al consumo (ristorazione, tempo libero), il piccolo commercio e l’artigianato produttivo. Ovviamente in quasi tutti i settori sono riscontrabili forme di lavoro sommerso, anche se non sempre e non necessariamente completamente in nero. Abbiamo già osservato come il fenomeno che sembra realmente caratterizzare i comparti produttivi ed economici milanesi sia in realtà costituito dall’area del lavoro ‚grigio‘, cioè non completamente sommerso. Lavoro nero o lavoro grigio dipendono sovente dalla natura delle attività e dalle qualificazioni richieste ai lavoratori: lavori di bassa qualifica nelle pulizie, ristorazione, servizi di facchinaggio e simili attività labour intensive, sono spesso in nero totale in quanto il risparmio sui costi indiretti del lavoro rappresenta spesso un fattore di indebita riduzione dei costi e di compressione del prezzo del servizio sul mercato. Alla stessa stregua, però, attività ad elevato contenuto tecnico professionale anche se per mansioni prevalentemente operaie (conduttori di macchine utensili a controllo numerico, CN/CNC e simili) possono ugualmente incentivare forme di lavoro totalmente in nero qualora il lavoratore coinvolto sia già dipendente o – più spesso – sia in cassa integrazione od usufruisca del trattamento di mobilità. In questi casi, come vedremo, gli interessi delle parti si incontrano, quando addirittura non è l’interesse del lavoratore stesso a fargli preferire un lavoro in nero totale.

Da questo punto di vista, dunque, la tecnologia in sé non sembra svolgere un ruolo particolare quale meccanismo o fattore capace di incrementare il ricorso al lavoro nero, come ci si sarebbe potuto invece attendere date le enormi possibilità di outsourcing che le moderne tecnologie informatiche offrono. Ciò che sembra emergere dalle interviste è, infatti, il ruolo delle conoscenze possedute: è la loro carenza sul mercato che davvero può spingere lavoratori qualificati a optare per doppi lavori e prestazioni in nero totale. In altri termini, essi sono in possesso di un capitale scarso, che il mercato è pronto a riconoscere nei modi e nelle forme che loro indicano. E sovente, questi modi sono diretti ad evitare di soggiacere a prelievi fiscali non indifferenti, dati i salari ottenuti.

In questo senso, dunque, le interviste rivelano come la forma stessa delle attività svolte sia duplice: lavoro realmente autonomo, cioè indipendente ed autodiretto, può in effetti realizzarsi anche in mansioni e professioni che, se fossero regolarizzate, prevederebbero un rapporto di lavoro dipendente. Viceversa, attività di lavoro formalmente autonomo possono sovente coprire mansioni talmente povere di contenuto professionale e con un’organizzazione del lavoro talmente eterodiretta da costituire subordinazione completa.

"In alcuni settori i rapporti di collaborazione vengono utilizzati in modo improprio, per regolare rapporti di lavoro a tutti gli effetti di tipo subordinato. Ciò accade soprattutto nelle aziende che eseguono ricerche di mercato, che fanno promozione telefonica (telemarketing), o che offrono assistenza telefonica di vario genere. Ci sono poi le società sportive, in cui gli istruttori e gli allenatori spesso sono assunti con contratto di collaborazione ma rispettano orari e usano attrezzature di proprietà dell’azienda. I casi limite sono rappresentati dalle segretarie, assunte con contratto di collaborazione, che lavorano nel medesimo ufficio da anni come fossero lavoratrici dipendenti" (Responsabile NIDIL – CGIL) Ancora una volta, l’elemento che sembra costituire il vero discrimine è la qualificazione posseduta dal lavoratore, la sua capacità professionale insomma, che ne esalta la forza e la capacità di mercato e quindi contrattuale.

Questo elemento emerge in molte interviste:

„ Fra i lavoratori in nero vi è soprattutto manodopera qualificata. Non si tratta di personale a livello dirigenziale ma comunque preparato e affidabile. Ad esempio, un bravo operatore per il controllo numerico, difficile da trovare sul mercato del lavoro, che magari è in mobilità, può lavorare a 4/5 milioni al mese in nero. La tendenza sarà quella di un aumento del bacino dei "liberi" ad alta professionalità soprattutto con le tecnologie informatiche sempre più importanti: il problema sarà assai gravoso per le imprese che dovranno ricorrere a queste figure sempre più importanti e con forte potere contrattuale „. (responsabile API)

"..le vertenze sono relativamente poco numerose perché i lavoratori hanno generalmente un’elevata forza contrattuale, in conseguenza della loro professionalità. " (funzionario sindacale)
 
 

Svantaggiati lo sono soprattutto gli immigrati extracomunitari impiegati in lavori ed attività marginali, di scarsissimo contenuto professionale e di basso status sociale, in cui spesso è richiesta fondamentalmente la forza fisica: lavapiatti, domestici, benzinai, camerieri, cuochi, imbianchini, portinai, facchini, fattorini (Reyneri, 1998). "Il lavoro nero c’è sempre stato e forse è aumentato per le attività di bassissima professionalità, che vengono sempre meno prese in considerazione dai disoccupati italiani. Le attività di pulizia, gli interno-cucina, chi lava i piatti e pulisce nel retro dei ristoranti". (Dirigente Unione del Commercio) Un elemento particolarmente problematico nella realtà milanese è costituito dal lavoro in nero (totale) di piccole imprese condotte da immigrati, specie di origine cinese. Queste vere e proprie imprese-fantasma lavorano solitamente come subfornitrici di imprese di maggiori dimensioni, sia „irregolari" a loro volta, sia più o meno „in regola". Le imprese maggiori, sovente non più controllate da immigrati ma da cittadini italiani, subappaltano o commissionano lavorazioni e produzioni alle imprese-fantasma cinesi. Queste a loro volta utilizzano in modo sostanzialmente indiscriminato e spesso al limite delle condizioni civili, connazionali immigrati, il più delle volte privi dei permessi di soggiorno e fortemente indebitati con i parenti, i datori di lavoro o la comunità etnica in generale per il costo del viaggio in Italia.

Per quanto concerne la natura delle attività svolte, si tratta prevalentemente di attività tessili e manifatturiere (giocattoli, gadgets, lavorazioni di manufatti in plastica o pelle) a bassissima qualità del prodotto, ma che, richiedendo scarsi capitali fissi per divenire operative, possono essere facilmente impiantate ed altrettanto facilmente sfuggire ai controlli.

Un altro settore dove si trova un’elevata concentrazione di lavoro sommerso – nelle forme di grigio e di nero totale - è quello dell’edilizia, dove il sistema degli appalti vede numerose aziende di piccolissime dimensioni competere sui costi, non regolarizzando le assunzioni o dichiarando solo il minimo delle ore (per avere la copertura previdenziale) e retribuendo in nero le ore aggiuntive. Alcuni lavoratori, inoltre, vengono invitati ad iscriversi all’albo degli artigiani, figurando dunque come indipendenti.

„Le imprese che si sono assicurate buona parte degli appalti pubblici dopo Tangentopoli a Milano, provengono dal centro-sud. Esse non hanno obbligo di iscrizione alla Cassa Edile locale, hanno una posizione assicurativa legata alla sede d'origine meno onerosa, inviano - non si sa come - manovalanza sottocosto in trasferta e creano di fatto una situazione di concorrenza sleale. Noi non possiamo che segnalare agli ispettori del lavoro queste situazioni" (Funzionario Assimpredil Milano).

"I controlli nel settore dell’edilizia sono particolarmente complessi. L’Ispettorato ha una squadra addetta specificatamente alle ispezioni in questo settore. Per fare un’ispezione in un cantiere bisogna andare in tanti, interrogare tutti i lavoratori, poi generalmente qualcuno scappa.. Spesso i lavoratori sono conniventi, preferiscono ricevere il salario fuori busta e quindi coprono il datore di lavoro. Tanti sono assunti con contratto part-time, anche se è presumibile, soprattutto nell’edilizia, che lavorino a tempo pieno e che ricevano l’integrazione in contanti" (Funzionario Direzione Provinciale del Lavoro, Sezione Ispezioni).
 
 

2.2.2. Mercato, forme di concorrenza e „dumping sociale"

Il lavoro nero, sia quando diviene sfruttamento sia quando è programmata evasione contributiva, può rappresentare un potente alteratore del mercato. Comprimendo innaturalmente il costo del lavoro, esso, infatti, modifica le condizioni di equilibrio del mercato, arrivando persino ad operare un vero e proprio „dumping sociale" che non va a danno dei soli lavoratori sfruttati, ma della stessa economia locale. Inoltre, se contestualmente si verifica anche un abbassamento della qualità media delle produzioni, esso può persino condurre ad una riduzione dello stesso mercato, se non alla sua estinzione. Il caso, ben illustrato in letteratura, è conosciuto come „market for lemons". „Limoni" sono definiti i classici „bidoni" nel commercio di autoveicoli usati negli Stati Uniti. Qualora in un mercato di auto usate (un prodotto quindi non particolarmente avanzato) si infiltrino venditori disonesti (venditori di „limoni"), questi, sfruttando il fatto che il mercato è vergine alle loro frodi, in breve tempo riusciranno a scalzare i venditori onesti, al prezzo però di frodare il consumatore, allontanandolo quindi da quel mercato. L’esito è complessivamente fallimentare, ma per il singolo free-rider esso può non esserlo affatto: il suo guadagno nel breve periodo è commisurato all’ammontare di esternalità negative che riesce a scaricare sulla collettività (in questo caso il mercato).

Problemi simili vengono denunciati anche dai nostri interlocutori, in particolare in riferimento ai casi di imprese-fantasma cinesi, le quali come abbiamo visto fanno aggio sul lavoro sfruttato dei loro stessi connazionali.

Questo fenomeno, se vogliamo „inserito" nell’economia locale da un ‘sistema di traffici’ che vanno dal traffico della manodopera al lavoro nero in condizioni di quasi schiavitù alla criminalità organizzata vera e propria, costituisce un elemento di forte preoccupazione per la comunità produttiva, nonché sociale, milanese, ed in specie per le piccole imprese artigianali. Per esse, infatti, la concorrenza di queste imprese fantasma può essere realmente problematica, specialmente in quei settori e produzioni a bassa intensità di capitali e di bassa qualità del prodotto, che comunque non hanno mai grandi margini di guadagno. L’abbattimento dei prezzi in queste realtà è tale da risultare insostenibile per molte imprese artigiane regolari:

„ una parte consistente del lavoro occulto conosciuto in zona è di manifatture orientali che sono da catalogare più come associazioni a delinquere che come lavoro nero, anche se poi queste attività hanno forti ripercussioni nei confronti delle aziende regolari. „ (dirigente Associazione Industriali)
 
 

„ i controlli e le denunce ci sono, ma l’impressione è che chiudano da una parte e si trasferiscano per riaprire l’attività in nero da un’altra „
 
 

Questo tipo di concorrenza sleale è particolarmente sofferta dalle piccolissime imprese: come abbiamo detto, le imprese maggiori operano su mercati di livello superiore, per quantità e qualità delle produzioni, o talora possono approfittare delle stesse imprese fantasma per alleggerire i loro costi. Ci troviamo, per lo meno per il momento, in una fase di „guerra fra i piccoli" da cui non è da escludere che „i grandi" traggano un loro utile, subappaltando al ribasso. Ciò che è da segnalare è che questo fenomeno potrebbe assumere un peso tale da spingere piccole imprese artigiane in difficoltà economiche a „sommergersi" totalmente, e quindi ad incentivare l’economia del lavoro nero.

Il controllo e la sanzione sono reali in molti casi, ma sembrerebbe che le denunce scattino con molto maggiore rapidità quando si tratta di colpire imprese fantasma cinesi (o extracomunitarie) che non imprese o situazioni produttive irregolari gestite da cittadini italiani. Questo fatto si spiega, comunque, anche col fatto che più difficilmente le imprese italiane a Milano sono totalmente illegali ed in nero: da qui forse una maggiore difficoltà nell’individuarle.
 

2.2.3. Soggetti, attori e strategie nel lavoro nero

Come ogni forma di attività regolata dal principio dello scambio di mercato, anche il lavoro nero/sommerso è soggetto ad un processo di matching fra due parti contraenti, domanda e offerta. Se dunque l’offerta di lavoro nero/sommerso è per così dire formata da due differenti componenti (lavoratori a bassa qualificazione, privi di professionalità specifiche / lavoratori professionalmente autonomi, dotati di elevato capitale umano e sociale da valorizzare utilitaristicamente sul mercato del lavoro irregolare) ne conseguirà giocoforza un dualismo della stessa domanda di lavoro: domanda di prestazioni specialistiche relativamente qualificate e domanda di servizi ed attività di basso contenuto professionale.

Gli utilizzatori finali del lavoro nero, a Milano come ovunque, sono costituiti sia da imprese che da famiglie. In entrambi i casi, comunque, possiamo trovarci di fronte ad una domanda di lavoro specializzato così come ad una richiesta di lavoro generico, o comunque non richiedente particolari specializzazioni professionali. Le imprese, infatti, possono rivolgersi a specialisti per prestazioni aventi particolari contenuti tecnici come anche per servizi di bassa qualità (pulizie e facchinaggi, infatti, sono fra le mansioni più soggette a lavoro nero); nel commercio e nella ristorazione, le esigenze di flessibilità oraria, di lavoro festivo, saltuario o comunque „non regolare" incentivano grandemente il ricorso al lavoro nero.

Dalla parte delle famiglie, attività e lavori di pulizie e di cura alla persona (dagli accompagnatori per persone anziane o comunque non completamente abili, ai compiti di dog-sitting e house-sitting) assumono spesso la natura di prestazioni „necessarie" senza le quali la famiglia nel suo insieme si ritroverebbe in difficoltà; tuttavia le famiglie non richiedono solo servizi relativamente poco qualificati. Tutte le ordinarie attività di manutenzione e riparazione della casa, infatti, costituiscono una fiorente domanda di attività di lavoro nero/sommerso qualificato.

Ciò che comunque chiaramente emerge dalle interviste effettuate, è che il lavoro nero/sommerso a Milano non può essere letto in termini di esclusivo sfruttamento. Casi di reale e barbaro sfruttamento esistono e sono anche recentemente usciti all’attenzione dei media. Se però vogliamo spostare la nostra attenzione dai clamori giornalistici alla realtà dei processi sociali e degli attori che di tali processi sono i primi artefici, dobbiamo rilevare come il lavoro nero/sommerso si regga anche su una ragnatela di convenienze, connivenze e scambi che coinvolge sia la domanda di lavoro che l’offerta.

Allo stesso modo, un’interpretazione del lavoro nero in chiave etnica (immigrati irregolari = sfruttati / lavoratori italiani irregolari = conniventi con i datori) risulterebbe del tutto fuorviante. Anche in settori a bassa qualificazione (pulizie e servizi domestici) in cui la forza lavoro è quasi totalmente extracomunitaria, possono darsi – come effettivamente si danno a Milano – condizioni di rigidità tali della domanda da assicurare all’offerta di lavoro una forza contrattuale ed una sicurezza di lavoro assolute.

„Oggi, nel settore delle pulizie domestiche, non c’e‘ nessuno che guadagni meno di due milioni al mese: una tale cifra e‘ ritenuta una miseria, i guadagni ordinari si aggirano sui quattro-cinque milioni. Si tratta in prevalenza di donne, che lavorano a contratto per il minimo delle ore (24 ore) in funzione assicurativa o per avere il permesso di residenza (od il rinnovo dello stesso) e poi tutto il rimanente in nero. E’ gente che lavora anche 10-11 ore al giorno, sempre." (operatore sindacale). I livelli salariali previsti dal contratto di categoria, inoltre, sono molto inferiori a quelli di mercato, soprattutto a Milano, per cui i lavoratori non sono particolarmente incentivati a richiedere la regolarizzazione, temendo di vedersi offrire retribuzioni inferiori.

In questa economia etnica, il ruolo dei network e delle reti sociali è fondamentale per garantire agli immigrati l’inserimento nel circuito lavorativo e per ridistribuire il lavoro stesso fra parenti ed amici:

„Addirittura numerose imprese sono talmente soddisfatte del lavoro degli extracomunitari che incentivano l'ingresso nel nostro paese di nuova forza lavoro attraverso i lavoratori già stabilmente assunti. A volte l'intraprendenza degli immigrati è tale da indurli a mettersi in proprio, di diventare cioè dei subappaltatori con il rischio concreto e paradossale di accedere poi all'irregolarità nei confronti di quelli che fanno venire in Italia. „ (Dirigente Assimpredil) E‘ abbastanza evidente che, una volta „socializzati" al mercato del lavoro locale, si impara a gestire la propria e l’altrui forza lavoro, e questo in ragione del fatto che esiste una certa tensione nello stesso mercato del lavoro, specie se segmentato e settorializzato. Anche questa sicurezza di poter trovare immediatamente occupazione e lavori, rende l’offerta di lavoro sicura della propria forza contrattuale e delle possibilità di guadagno che il lavoro nero offre. „ Nel caso delle pulizie, il datore non ha praticamente convenienza alcuna a dare lavoro in nero: egli paga comunque al lavoratore gli stessi soldi, solo che in nero vanno tutti al lavoratore. Però in questo modo la famiglia si evita una gran quantità di procedure burocratiche, permessi ecc. che loro non conoscono e che richiedono code e quindi perdita di tempo. Ma in definitiva sono i lavoratori stessi a preferire il nero, perché guadagnano di più, e non temono l’insicurezza: sanno di poter trovare qualcun altro che ha bisogno in un batter d’occhio. E‘ un sistema di contatti informali, di relazioni fra parenti e amici, vengono dallo stesso paese e sono una comunità.„ Nel caso dei servizi domestici, inoltre, il datore di lavoro spesso tende a non rispettare la normativa più per comodità e scarsa conoscenza delle norme che non per un preciso progetto di evasione contributiva e fiscale. Sono molte, infatti, le famiglie che ritengono di "aiutare" il lavoratore immigrato facendolo lavorare e non considerano necessario regolarizzare il rapporto. "Nelle collaborazioni domestiche il datore di lavoro certe volte ha un approccio quasi caritatevole e dice di aver dato da lavorare in nero per aiutare il lavoratore. Bisogna sensibilizzare maggiormente la gente e far capire che la regolarizzazione del rapporto di lavoro è importante" (funzionario CISL – Ufficio Vertenze). Dal canto loro, comunque, il lavoratore o la lavoratrice immigrati che operano in nero sono sovente attori assolutamente razionali: a meno che non si tratti di soggetti marginali ed isolati, essi sanno che possono rivolgersi al sindacato in caso di licenziamento, e spesso ricorrono a strategie di tipo opportunistico, avviando con il sostegno delle strutture sindacali azioni legali al solo fine di giungere ad una transazione economica che consegni loro un guadagno aggiuntivo.

Osservando i dati di Tabella 9, si rileva come la quota di vertenze effettivamente conclusasi con una azione legale di fronte al pretore del lavoro, nei casi di lavoro nero e nelle controversie legate al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato, è abbastanza bassa, inferiore alla media complessiva (36-37% contro un 40% di media generale), a sottolineare la maggior preferenza per la soluzione economica della vertenza nei lavoratori coinvolti. A volte, addirittura, le stesse strutture sindacali riconoscono che:

"abbiamo dovuto allontanare esplicitamente alcuni lavoratori perché li conoscevamo già per averli assistiti più volte in cause di lavoro nero che si concludevano sempre con una transazione. Oramai li conoscevamo e ci siamo rifiutati di stare al loro gioco, anche perché dall’altra parte c’erano comunque solo delle famiglie..." Il lavoratore quindi dapprima richiede un rapporto di lavoro in nero, per guadagnare una somma oraria maggiore, poi, una volta concluso – per i motivi più diversi – il suo rapporto d‘impiego, si rivolge al sindacato per farsi assistere ed ottenere una transazione economica per lui più conveniente.

Si tratta, comunque, di comportamenti strategici ed utilitaristici che – in modi e forme diverse - non costituiscono una prerogativa esclusiva dei lavoratori immigrati: ognuno gioca la propria scelta opportunistica come e dove le sue condizioni lavorative e professionali gli consentono di farlo, che si tratti di lavoro in nero totale piuttosto che – fatto molto più frequente nel caso dei lavoratori italiani – di lavoro grigio:

"... il lavoro "grigio" o semi-sommerso, in particolare per le prestazioni straordinarie o festive. Queste ore aggiuntive vengono, nella maggior parte dei casi, pagate in nero su esplicita richiesta del lavoratore che esige di vedersi versata tutta la somma a cui ha diritto per le opere straordinarie e non solo la parte che rimarrebbe in busta paga. Tutti gli sforzi fatti, anche in collaborazione con i sindacati, (l’intervistato è segretario di un’organizzazione di coltivatori) per regolamentare questa branca del lavoro agricolo hanno finora dato scarsi risultati. I datori di lavoro, che dovrebbero essere i principali interessati alla regolarizzazione (in quanto sostituti d’imposta e personalmente perseguibili) sono spesso "ricattati" dagli stessi dipendenti che altrimenti rifiutano di eseguire il lavoro. Il rapporto di forza, in questo caso, e‘ a tutto vantaggio del lavoratore che stabilisce le regole per le prestazioni straordinarie, anche se non è da negare che anche il datore di lavoro, visti i vantaggi personali, si pieghi alle richieste con una certa facilità."...... „Un analogo problema sembra presentarsi con i lavoratori a tempo determinato per i quali spesso viene denunciato un numero di ore lavorative inferiore a quelle effettivamente prestate. „ Siamo di fronte ad un comportamento massimizzante che riguarda lavoratori dei settori avanzati e lavoratori dei settori tradizionali, purché la domanda di lavoro sia tale da consentire loro di „giocare al rialzo": " i lavori più ricercati e richiesti, e quindi meglio pagati, sono quelli tradizionali e ormai in via di estinzione come quello del mungitore: la gara per assicurarsi le prestazioni di questi "artigiani" si gioca spesso con retribuzioni occulte, premi e gratifiche di notevole valore e la maggiore o minore disponibilità del datore a non dichiarare una parte delle ore lavorate è una discriminante non secondaria per questi operai che sanno di avere una domanda superiore all’offerta".

"Esistono casi di redditi superiori, in particolare per categorie ricercate (come i cuochi diplomati che risultano al libro paga con il minimo sindacale e poi vengono retribuiti il doppio a nero) o per alcuni operai tecnici specializzati, di cui c’è forte richiesta sul mercato." (Funzionario CdL)
 
 

Il salario in nero, dunque, non è necessariamente un salario inferiore al salario di una posizione regolare equivalente. Può esserlo nei casi di imprese-fantasma che sfruttano il lavoro di persone in difficoltà, come spesso accade, ad esempio, tra le imprese di pulizia: la manodopera richiesta da queste aziende è in genere scarsamente qualificata e facilmente sostituibile, per cui priva di sostanziale forza contrattuale. I livelli retributivi sono generalmente bassi perché le aziende si fanno concorrenza comprimendo i costi e vengono spesso premiate dal meccanismo degli appalti. "Dove non c’è necessità di avere attrezzature particolari chiunque può mettere in piedi un’attività di pulizia. Ci sono società create ad hoc, anche di grandi dimensioni con appalti per le pulizie nei ministeri, in grandi enti pubblici, che non hanno neppure una sede. Queste società sottopagano regolarmente la forza lavoro, ma quando si apre la vertenza non si riesce a individuare la sede, cambiano sede ogni quindici giorni.. Poi ci sono anche realtà al confine con la criminalità, in cui i lavoratori sono minacciati e non possono certo rivolgersi al sindacato". Nonostante queste situazioni di sfruttamento, tuttavia, molto spesso sia il lavoro in nero che le attività „grigie" hanno come motivazione principale la massimizzazione degli introiti e l’evasione dei versamenti contributivi da parte degli stessi lavoratori.

Sulla scelta di massimizzare i guadagni giocano molti e diversi fattori. Per i lavoratori autonomi, i giovani, quanti hanno rapporti di lavoro atipico (collaborazioni diverse, free-lance ecc.) un ruolo rilevante è giocato dall’assoluta incertezza rispetto alle garanzie di welfare di cui potranno godere in età matura o in caso di incidenti, malattie od inabilità. L’assenza di un valido, universalistico regime di welfare, insomma, incrementa comportamenti massimizzanti ed opportunistici nel breve periodo, specie nei giovani, i quali cercano di accantonare il più possibile, sia per scelte di consumo, sia come forma razionale di autotutela nei confronti dei rischi sociali (disoccupazione, malattia, povertà, crisi economica):

"Non bisogna dimenticare che la gente ha sempre meno fiducia sul fatto di ricevere una pensione dall’INPS per cui l’obiettivo diventa avere una retribuzione più alta, senza contributi, per poi fare un’assicurazione privata. Questo fatto non incentiva il lavoratore a voler regolarizzare la propria posizione. I collaboratori, in particolare, che hanno retribuzioni generalmente abbastanza alte, non fanno molto spesso vertenze contro i datori per venir riconosciuti come lavoratori dipendenti perché il vantaggio sarebbe avere il versamento dei contributi per una pensione che non si sa quando e come arriverà" (Funzionario Unione del Commercio, Turismo e Servizi). Una forte influenza sulla forma assunta dal rapporto di impiego (nero o grigio) viene così ad assumerla la specifica condizione in cui si trova il lavoratore: anche qui con una distinzione fondamentale che riguarda il ruolo e le opportunità di accesso al sistema di welfare nazionale. Quanti, infatti, si trovano già inseriti in tale sistema (quanti cioè hanno già un piede nel sistema delle garanzie o talora anche tutti e due (cassaintegrati, lavoratori in mobilità, pensionati) sono molto più interessati a svolgere lavori totalmente in nero, rispetto a quanti sono ancora sul mercato del lavoro: „ Per i lavoratori in "grigio", ma anche per gli ex-dipendenti del settore meccanico, giovani pensionati e pre-pensionati, si parla di salari superiori alla media dei colleghi in regola perché l’offerta di questa manodopera è inferiore alla domanda e innesca un meccanismo di corsa al rialzo dei salari per assicurarsi i servizi dei lavoratori. Nei casi dei doppio-lavoristi, dei pensionati ricollocati in azienda e in alcuni casi di lavoro femminile prevale la complicità con il datore che permette al lavoratore di usufruire di un’entrata in più oltre a quella già percepita (stipendio, pensione, contributi sociali..)"

„ La carenza di manodopera specializzata è più forte dei rischi che si corrono. In alcuni casi i datori di lavoro si sono premuniti contro i controlli tenendo registri regolari, consegnando buste paga in regola ma con un contenuto in denaro diverso da quello denunciato. „ (Responsabile sindacale)
 
 

L’altra categoria di soggetti che – per la specifica situazione in cui si trovano – sono portati a preferire rapporti di lavoro totalmente in nero sono gli immigrati, sostanzialmente senza troppa distinzione fra immigrati in regola con il permesso di soggiorno ed immigrati irregolari. Per essi, è abbastanza chiaro che difficilmente usufruiranno dei versamenti contributivi che dovessero fare, quindi comprendono immediatamente la convenienza, anche direttamente economica, a strategie di massimizzazione dell’utile immediato, tanto più quando hanno progetti di rientro in patria a breve termine. L’obiettivo principale di molti immigrati, infatti, è ottenere elevati guadagni in tempi brevi per inviare periodicamente parte dei ricavi in patria, e accumulare ricchezza sufficiente per rientrare in modo definitivo (Reyneri, 1998; IReR, 1994; Lodigiani, 1997).

2.2.4. Fattori di diffusione del lavoro nero

I fattori che possono influire sulla diffusione del lavoro nero a Milano, riguardano sia l’offerta che la domanda di lavoro. Per quanto concerne la prima, abbiamo già visto come la tendenza alla massimizzazione degli introiti possa essere considerata un motivo ed un fattore decisamente più diffuso che non lo stato di bisogno. Specialmente nel caso del lavoro „grigio", ma anche nelle prestazioni in nero di cassintegrati, doppiolavoristi e simili, i salari ottenuti sono spesso elevati e la scelta del nero diviene un momento di incontro di convenienze ed opportunismi di più parti. Difficilmente, quindi, questo tipo di rapporti potrà trasformarsi in rapporti di altra natura, anche perché tale trasformazione richiederebbe allo stesso lavoratore di andare incontro a sanzioni di tipo fiscale, oltre a dover versare le imposte arretrate sul reddito.

Solo attraverso maggiori controlli ispettivi, dunque, questa componente del fenomeno potrebbe essere contenuta, anche se probabilmente non abbattuta del tutto: la carenza del sistema dei controlli sul lavoro è però proverbiale ed oggi non costituisce certo un disincentivo al lavoro nero.

„ I controlli sono nettamente inferiori alle segnalazioni fatte e spesso vengono effettuati previo appuntamento telefonico con il datore: in questi casi è ovvio che l’imprenditore si premuri di lasciare a casa per quella giornata i lavoratori irregolari. Altre volte i controlli falliscono per una "soffiata" di anonimi al datore o, in altri casi, il principale si giustifica dicendo di avere assunto il lavoratore da pochi giorni e di non aver ancora espletato tutte le pratiche burocratiche. Il campo delle collaborazioni familiari è invece praticamente incontrollabile, se non a seguito di denunce." (Funzionario sindacale) Fattori di controllo importanti sono piuttosto tutti i meccanismi e le forme di regolamentazione istituzionali che prevedono certificazioni dei lavori fatti (in caso di riparazioni domestiche, manutenzioni ordinarie e straordinarie, ristrutturazioni e simili). In questo caso, la politica che si è dimostrata efficace consiste nel contrapporre all’interesse ad evadere di una parte dei contraenti, l’interesse dell’altra parte ad ottenere detrazioni fiscali, certificazioni dei lavori fatti ecc: "Le attività di impiantistica (idraulici, elettricisti..) sono per la maggior parte regolari perché devono iscriversi all’albo e rilasciare dichiarazioni di conformità che poi vengono richieste dalle aziende." (Dirigente ACAI). Allo stesso modo, un elemento di disincentivo al lavoro nero e allo stesso tempo di educazione dei giovani al rispetto delle normative può essere considerato l’obbligo (vigente dall’inizio degli anni novanta) di ottenere una certificazione in regola del periodo di apprendistato compiuto, al fine di poter avviare un’attività artigianale indipendente (tre anni di apprendistato: il sistema richiama alla mente il sistema duale tedesco e l’apprendistato vigente in quel paese). Questa regolamentazione ha effettivamente abbassato le convenienze dei giovani a lavorare in nero quali apprendisti, e dunque può ritenersi senz’altro valida: " I giovani che lavorano alle dipendenze degli artigiani che si occupano di impiantistica hanno tutti gli interessi a farsi mettere in regola perché hanno bisogno di certificare uno o tre anni di "apprendistato" (a seconda che abbia a o meno un titolo di studio idoneo) per potersi mettere in proprio. Queste normative dovrebbero aver scoraggiato il lavoro nero. Inoltre ci sono le certificazioni che devono essere rilasciate quando viene fatto un impianto elettrico o del riscaldamento: le aziende richiedono la certificazione perché la devono esibire per dimostrare la messa a norma degli impianti. Queste leggi hanno creato una certa cultura nel settore." (Dirigente ACAI) Per quanto riguarda i lavoratori immigrati attualmente senza permesso di soggiorno, l’impossibilità di regolarizzare la propria posizione rende il lavoro nero una scelta obbligata. L’impressione che i testimoni privilegiati hanno riguardo al lavoro nero degli immigrati extracomunitari, tuttavia, è che gli stessi provvedimenti di regolarizzazione e concessione del permesso di soggiorno possano al più far emergere per breve tempo i lavoratori in questione, ai fini di ottenere il permesso di soggiorno, salvo poi vederli tornare nel sommerso per garantirsi guadagni leggermente più elevati.

Dal punto di vista della domanda di lavoro, i fattori che possono spingere un artigiano o un piccolo imprenditore verso rapporti di lavoro in nero sono di diversa natura. Da un lato essi sono legati a fattori di mercato e di sopravvivenza delle stesse attività produttive sostanzialmente marginali. E’ il caso della piccola distribuzione, ad esempio:

„Con l’introduzione dei nuovi orari per gli esercizi commerciali, che permettono l’apertura serale o durante la domenica, i piccoli esercizi hanno incontrato forti difficoltà: se una boutique non rimane aperta la domenica quando il grande magazzino, a 50 metri, è aperto, perde moltissimi clienti che si rivolgono alla grande distribuzione. Le casalinghe sono disponibili a lavorare il sabato e la domenica per cui i titolari dei piccoli esercizi, per sostenere la concorrenza della grande distribuzione, assumono in nero solamente per un giorno alla settimana. (...) Nei piccoli esercizi anche sostituire un dipendente in malattia può essere un problema, mentre nei grandi magazzini, con molto personale, un’assenza non porta particolari complicazioni. „ Altri ordini di fattori che possono motivare la domanda di lavoro nero possono essere sia di natura istituzionale, sia connessi a ritardi ed a motivazioni di tipo culturale degli stessi artigiani e piccoli imprenditori.

Per quanto concerne i fattori e le cause istituzionali, dobbiamo ricordare il ruolo giocato dall’attuale sistema degli appalti e l’asserita rigidità del mercato del lavoro.

Sul sistema degli appalti le valutazioni sono univoche:

"Per dare lavoro nero bisogna che ci sia un bacino di utenza, un'offerta, una disponibilità. Stabilita questa disponibilità, vediamo dove c'è più offerta. Per quanto riguarda le aziende associate all'API (provincia di Milano e Lodi), sicuramente l'area più sensibile a questo fenomeno è quella che gravita nel settore caratterizzati dall'appalto pubblico (in particolare nell'edilizia, ma anche nei lavori di pulizia), incentivato al ricorso del lavoro nero dall'applicazione, malgrado le recenti normative, del meccanismo del massimo ribasso: per esempio, con la morte dell'impresa edile intesa come impresa che si assume l'incarico di svolgere un lavoro dall'inizio alla fine e con il proliferare dei sub-appalti proliferano le attività svolte in modo irregolare" (Dirigente API Milano). La valutazione del dirigente API potrebbe essere sottoscritta anche dagli interlocutori sindacali. Il meccanismo del massimo ribasso negli appalti – nonostante la legge preveda che negli appalti pubblici debbano essere privilegiate, a parità di condizioni, le aziende che rispettano i contratti - e l’irresponsabilità dell’appaltante (eventualmente in solido con l’impresa capofila) per le condizioni complessive di sicurezza e di lavoro (nei cantieri edili come in qualunque altra forma di appalto) sono da ritenersi il meccanismo perverso che incentiva il ricorso al lavoro nero e la formazione di combinazioni di interessi convergenti – quanto perversi - fra lavoratori/artigiani autonomi e imprese sub-sub-sub...appaltanti.

Finché una forma di regolazione più intelligente non provvederà a spezzare quel circuito di interessi convergenti, creando responsabilità chiare (ad esempio del committente, chiunque esso possa essere) e sistemi di interessi contrapposti rispetto alla regolarizzazione del rapporto di lavoro, il meccanismo del minimo ribasso e la catena di irresponsabilità di fatto dei vari sub-appaltanti resteranno la causa istituzionale di maggior peso nella diffusione di forme di lavoro nero e dell’economia sommersa in genere. A questo proposito, ricordiamo che secondo la documentazione presentata dall'Associazione Nazionale Imprese Edili (ANIEM) alla Camera dei Deputati si realizzerebbero ogni anno in Italia opere in nero per 40.000 miliardi; nel Mezzogiorno i lavoratori irregolari ammonterebbero ad oltre il 50%, e sarebbero diffusamente costituiti da "disoccupati dichiarati" o da lavoratori in cassa integrazione.

Al capitolo appalti si collega anche il tema „cooperative e lavoro nero". Tutti i nostri intervistati che hanno affrontato l’argomento hanno segnalato il fatto che troppe cooperative – specialmente di servizi, ma non solo – sono diventate un qualcosa tra l’organizzazione illecita per il collocamento della manodopera e la fucina di lavoro nero/precario/comunque sottocosto per l’ottenimento in appalto (o più spesso in sub-appalto...) di attività le più disparate, per le quali spesso non hanno né il know-how né la tecnica necessaria alla gestione:

"Un ulteriore settore non sempre regolare è quello delle cooperative che offrono servizi alle imprese: provengono dal sud-est della provincia milanese o dal Piemonte, ma anche dalle altre regioni. La non appartenenza al territorio le rende sconosciute e maschera eventuali irregolarità. In questo campo l’irregolarità lavorativa si situa fra il lavoratore e il gestore della cooperativa, mentre chi usufruisce dei servizi chiede sempre una certificazione di regolarità che però non sempre poi risulta valida." (Dirigente ALI) Le cooperative variamente „sociali",dunque, sono un elemento di forte rischio e che andrebbe monitorato strettamente dalle istituzioni addette, in quanto al loro interno può effettivamente darsi il rischio che i lavoratori, inquadrati come soci lavoratori, siano privati delle più elementari tutele. Le cooperative che operano intermediazione di manodopera sono spesso società a responsabilità limitata, composte di soci lavoratori, con un regolamento interno che sostituisce il contratto di lavoro e una direzione che organizza. "In realtà, tuttavia, i lavoratori impegnati vengono "affittati" ad aziende, supermercati, ristoranti, panifici, società di distribuzione, che li inseriscono in produzione o in negozio a fianco dei normali dipendenti. [...] Questi lavoratori non vengono inquadrati come lavoratori, bensì come soci lavoratori; in questo modo, anche se spesso non ne sono a conoscenza, risultano classificati formalmente come imprenditori mentre le loro mansioni sono magari quelle del ciclo di produzione in fabbrica. Questa posizione fa sì che il lavoratore risponda solo al regolamento interno della cooperativa, in cui vengono stabiliti i diritti del socio. Naturalmente, spesso, questi regolamenti non prevedono alcuna forma di tutela o di diritto del lavoratore dipendente, quale ad esempio le ferie pagate, la tredicesima, la liquidazione, né alcuna indennità per la malattia. Al contrario è solitamente specificato che se la direzione della cooperativa ritiene opportuna l’interruzione del rapporto di lavoro, il lavoratore non può opporsi" (Zandrini, 1997).

Su questi aspetti, il ruolo degli enti pubblici è cruciale, così come talvolta elevata ne è anche la responsabilità, poiché spesso sono proprio loro i committenti (più o meno consapevoli) di lavoro nero, attraverso il meccanismo degli appalti alle varie "cooperative più o meno sociali":

"Ci sono enti pubblici che appaltano a cooperative sapendo di appaltare a costi a cui delle aziende regolari non potrebbero reggere. Quando uno appalta a 10-15.000 lire all’ora sa già che quei soldi andranno a lavoratori irregolari perché il contratto ne prevede almeno 20/22.000. Gli enti pubblici, con il meccanismo degli appalti sono tra i primi responsabili della diffusione del lavoro nero" (Funzionario CGIL – Ufficio Vertenze). Riguardo alla dichiarata rigidità del mercato del lavoro, le opinioni sono più contrastanti, ed in genere si deve distinguere fra i differenti tipi di lavori e lavoratori. Per le aziende, i rappresentanti imprenditoriali intervistati hanno talora lamentato la difficoltà di licenziamento individuale e l’elevato costo del lavoro (costi indiretti). A questo proposito, dobbiamo osservare che il fattore costo del lavoro può probabilmente spiegare il ricorso al lavoro grigio ed alle varie forme di lavoro straordinario e festivo pagato in nero ai dipendenti; ma difficilmente può essere la causa per cui un apprendista viene tenuto in nero, quando la contribuzione per esso è di poche migliaia di lire a settimana (circa 5000 lire).

Per quanto concerne infine la difficoltà di licenziare unilateralmente, dobbiamo ricordare che la stragrande maggioranza delle imprese è di piccole o piccolissime dimensioni, per le quali quindi non si applicano i limiti ed i vincoli della legge 300/1970 in fatto di licenziamenti per giusta causa/giustificato motivo.

Ma un ritardo culturale va anche imputato agli imprenditori/artigiani: per quanto le procedure di assunzione e di regolarizzazione della forza lavoro possano essere laboriose e cavillose, essi sono assistiti in ciò dalle rispettive associazioni, e quindi il peso del problema dovrebbe rivelarsi alla fine relativo, se non modesto. Più probabilmente, esiste, come ricordava uno dei nostri intervistati, un reale problema culturale negli stessi piccoli imprenditori, i quali troppo spesso vedono nel lavoro nero una forma di risoluzione rapida e flessibile di problemi contingenti e/o, comunque, immaginati come tali. In effetti, l’attuale legislazione del lavoro ha flessibilizzato alquanto il mercato del lavoro e, specie con coloro che vi fanno il primo ingresso, sono applicabili soluzioni contrattuali ed istituti assolutamente flessibili. Eppure:

„i vantaggi dei contratti atipici e del lavoro interinale non sono stati ancora ben compresi dagli imprenditori che non li utilizzano con frequenza." (Dirigente Unione Commercio). Nel caso del lavoro domestico in nero, infine, dobbiamo rilevare come accanto alla conclamata volontà di evadere dei lavoratori interessati, si verifica una situazione di notevole appesantimento burocratico che grava sulle famiglie, le quali quindi trovano semplicemente più pratico „lasciare le cose come stanno": "Le procedure sono lunghe: per assumere un lavoratore extracomunitario bisogna fare la coda all’INPS per metterlo in regola e poi la coda in questura per il permesso di soggiorno.. Anche per i lavoratori italiani la burocrazia è complicata; per assumere con contratto di apprendistato, ad esempio, bisogna andare all’ispettorato del lavoro, presentare un progetto. Le grandi aziende hanno un’organizzazione strutturata, un consulente o addirittura un ufficio del personale. I piccoli si perdono per strada in tutto questo mare di provvedimenti e di norme da seguire. Gestire il personale è un costo che i piccoli fanno fatica a sostenere". (Dirigente Unione Commercio). 2.2.5. Nuove forme regolative ed emersione del lavoro nero

Dalle interviste raccolte, è emerso abbastanza chiaramente come le nuove forme contrattuali atipiche/interinali/flessibili che sono state introdotte hanno svolto, e potranno ancora svolgere, un ruolo rilevante nel favorire una certa emersione del lavoro nero (se non di quello grigio). Anche qui, però, sovente le politiche di emersione hanno sofferto di carenze di coordinamento fra le diverse istituzioni pubbliche interessate al loro funzionamento, col risultato non infrequente di scoraggiare coloro verso i quali erano dirette:

Le politiche di emersione proposte si sono rivelate un boomerang per i problemi con l’INPS, che ha cambiato le regole più volte creando sconcerto e disagio tra coloro che volevano regolarizzare la propria posizione. Inoltre si sono concentrati su un discorso di regolarizzazione della contribuzione e non hanno considerato che, nel momento in cui avveniva la regolarizzazione scattava anche il fisco per il quale non erano state previste regole particolari. Sono quindi partite le ispezioni fiscali e sono stati richieste le imposte non versate a coloro che avevano regolarizzato la posizione con l’INPS. (Funzionario Unione Commercio) Ciononostante, è comunque possibile ritenere che forme flessibili di regolazione del rapporto di lavoro possano dare buoni frutti, favorendo l’emersione del lavoro nero. Contratti di Formazione e Lavoro, Contratti di Solidarietà, part-time, contratti a tempo determinato, contratti week-end, contratti di apprendistato, contratti di emersione, lavori interinali e distacchi fra imprese, per quanto disegnati e pensati in prevalenza per la struttura economico-produttiva delle aree settentrionali (o forse proprio per questo motivo), sono visti dai nostri interlocutori come una soluzione interessante e augurabilmente valida.

Accanto alle richieste di maggiore flessibilità, si registrano comunque segnali di inadeguatezza del sistema legislativo italiano a codificare e regolare alcune forme particolari di lavoro. La costituzione della gestione separata dell’INPS per i collaboratori e l’introduzione dell’obbligo di contribuzione per i lavoratori parasubordinati hanno lasciato molte incertezze nell’utilizzo di questo contratto, portando problemi sia ai lavoratori che ai datori di lavoro. In questo senso, è interessante notare come la necessità di introdurre distinzioni chiare tra lavoro dipendente, subordinato e parasubordinato e di predisporre una normativa specifica per i contratti di collaborazione sia sentita da parte imprenditoriale oltre che sindacale.

La crescita delle vertenze riguardanti i lavoratori assunti con contratto di collaborazione che vogliono vedere riconosciuto il carattere subordinato della loro prestazione lavorativa, oltre ai problemi sollevati dagli ispettori che rilevano caratteristiche di eterodirezione nell’attività di soci-lavoratori di cooperative o di collaboratori, infatti, cominciano a rendere le collaborazioni, non tanto uno strumento di flessibilità, quanto una fonte di problemi nella gestione della forza lavoro.

"Le collaborazioni coordinate e continuative vanno regolate meglio. Per ora sono stati regolati solo gli aspetti fiscali; se arriva un’ispezione si corrono sempre rischi perché le cose non sono chiare. Il prestatore d’opera può sempre rivendicare che il rapporto in realtà è di tipo eterodiretto, o che la retribuzione non è sufficiente.. mancano le regolazioni riguardanti il rapporto di lavoro nel suo complesso. Anche il progetto di legge Smuraglia non risolve il problema, perché non definisce chi sono i lavoratori parasubordinati e intanto introduce meccanismi sanzionatori molto forti. Le sanzioni devono essere introdotte insieme a regole chiare" (Responsabile dei servizi sindacali,Unione del Commercio, Turismo e Servizi).

"Le collaborazioni coordinate e continuative, non essendo definite in modo chiaro dal punto di vista giuridico, possono sempre essere considerate forme di lavoro subordinato. Per il momento, visto il quadro normativo attuale, noi sconsigliamo questo tipo di collaborazione perché riteniamo l'imprenditore non sufficientemente tutelato. Manca la necessaria chiarezza" (Funzionario API Milano).

 
2.2.6 Le dimensioni del lavoro irregolare

Prima di procedere con la definizione di alcune "figure tipiche" all’interno del variegato universo dei lavoratori irregolari, risulta utile tentare una sintesi delle diverse forme che il lavoro irregolare assume nella realtà milanese, richiamando la distinzione utilizzata nelle pagine precedenti tra lavoro nero e lavoro grigio per ricostruire quindi un quadro sintetico delle diverse forme di lavoro irregolare trovate analizzando la realtà economico-produttiva milanese.

In primo luogo, è necessario ricordare che il lavoro nero comprende tutte quelle forme di lavoro che sono svolte senza il rispetto della normativa fiscale e previdenziale. Come già sottolineato, si è deciso di non prendere in considerazione tutte le forme di attività illegali che sono da considerarsi irregolari nella misura in cui è la stessa attività svolta ad andare contro la legge, più che la forma del contratto di lavoro. I lavoratori irregolari considerati, quindi, rientrano nelle categorie del lavoro nero o del lavoro grigio a seconda del tipo di rapporto che li lega al datore di lavoro e alla loro posizione contributiva.

In particolare, in riferimento al caso milanese, possiamo immaginare una sorta di „continuum del lavoro irregolare" che può assumere „tonalità" differenti all‘interno di uno spettro cromatico di „grigioscuri" che arrivano sino al nero completo.

Quest‘ultimo (lavoro nero) riguarda tutti quei casi in cui il lavoratore è privo di qualsiasi contratto di lavoro e quindi completamente al di fuori del mercato del lavoro dal punto di vista (formale) della regolarizzazione del suo rapporto d‘impiego, e quindi anche estraneo al sistema delle garanzie collegato al lavoro.

Le diverse „tonalità di grigioscuri" invece, comprendono lavoratori in qualche modo regolarmente inseriti all‘interno del mercato del lavoro regolare milanese, e che quindi partecipano al sistema delle garanzie che il lavoro (perlopiù dipendente) offre, ma che possono avere una componente di irregolarità nel loro rapporto d‘impiego, vuoi da punto di vista contributivo vuoi dal punto di vista della rispondenza tra forma contrattuale e tipo di prestazione eseguita.

Continuando con la metafora proposta, possiamo immaginare di discendere la scala cromatica del „lavoro grigio" individuando dapprima tutte quelle situazioni in cui il lavoratore ha una qualche posizione contributiva, cioè è inserito nel mondo del lavoro e nel connesso sistema delle garanzie, ma svolge attività lavorativa irregolare:

  • pensionati che svolgono attività lavorativa senza dichiararlo e continuando a percepire la pensione;
  • lavoratori che percepiscono l’indennità di mobilità pur lavorando in modo irregolare;
  • lavoratori in Cassa Integrazione Speciale o Ordinaria (quindi formalmente dipendenti dall’azienda che ha richiesto la Cassa Integrazione) che svolgono altre attività lavorative;
  • lavoratori dipendenti pagati in nero per straordinari/festivi, ecc.
  • Sull’altro estremo della nostra scala cromatica (i „grigi-chiari" per intenderci) ritroviamo tutti quei casi - trattati solo marginalmente in questo rapporto di ricerca - in cui il lavoratore ha un contratto che non corrisponde alla propria posizione lavorativa. Ci riferiamo in particolare a:
  • soci di cooperative che in realtà sono a tutti gli effetti lavoratori dipendenti;
  • lavoratori autonomi iscritti all’albo degli artigiani che in realtà prestano la loro attività come lavoratori subordinati;
  • soggetti „assunti" con contratto di collaborazione che in realtà sono in un rapporto di stretta o totale subordinazione nei confronti del committente/datore e che quindi andrebbero considerati alla stregua di lavoratori dipendenti.
  • Questo ultimo tipo di lavoro "grigio", sicuramente presente nella realtà milanese, non è stato preso in considerazione nel corso della ricerca in quanto il rapporto di lavoro risulta formalmente dotato di una sua specifica forma contrattuale e quindi sostanzialmente caratterizzato da irregolarità che possono essere ritenute più marginali rispetto ai casi di lavoro nero in senso stretto.

    Questo comunque non è certo un invito a sottovalutare le condizioni di precarietà in cui si trovano i lavoratori "pseudo-autonomi", formalmente presenti nel mercato del lavoro regolare come imprenditori di sé stessi, ma in realtà esclusi da alcuni diritti di tutela fondamentali riconosciuti ai lavoratori dipendenti: il riferimento è ai principali diritti di welfare. La materia è da tempo oggetto di discussione fra gli esperti di politiche di welfare e del lavoro.

    In sintesi, tenendo conto delle due dimensioni del tipo di irregolarità e della situazione del lavoratore, si può costruire il seguente quadro definitorio:

    Tipo di irregolarità

    Situazione del lavoratore
    Lavoro dipendente non registrato
    Fuori busta, rapporti di lavoro non corretti
    Esistenza di altra posizione Doppio-lavoristi

    Pensionati, cassa integrati,

    lavoratori in mobilità

    ---------------------------------
    Assenza di altra posizione Lavoratori in nero in senso stretto Situazioni di lavoro grigio
    2.3. Una tipologia riassuntiva

    Abbiamo aperto questo rapporto sostenendo che il lavoro irregolare, in nero o sommerso, a Milano in particolare, non potesse essere letto in modo unilaterale, né utilizzando schemi di analisi troppo semplicistici.

    Sfruttatori/sfruttati; immigrati/lavoratori nazionali, in regola/non in regola: sono categorie che tendono a dicotomizzare eccessivamente e, dunque, a non favorire una lettura realistica del fenomeno in oggetto.

    Abbiamo altresì sottolineato come il lavoro in nero/sommerso sia un "universo composito" e variegato, formalmente raffigurabile, per quanto concerne la regolarizzazione giuridico-formale del rapporto d’impiego, lungo una scala di "grigioscuri" a tinte più o meno fosche.

    Non dobbiamo tuttavia scordare che all’interno del mondo del lavoro "irregolare" che qui abbiamo esplorato si ritrovano differenti categorie di lavoratori e di attori sociali, che quindi devono essere definite in modo innanzitutto sociologico, cioè attraverso l’elaborazione di una serie di "idealtipi", strumento di conoscenza sociologica per definizione. Questi sono:

    1) Gli sfruttati.

    La ratio imprenditoriale alla base del rapporto di lavoro per questa categoria è da ricercarsi nella compressione del costo del lavoro, attuata riducendo non solo il salario indiretto (evadendolo del tutto) ma anche la quota di retribuzione che direttamente viene pagata al lavoratore. I settori in cui questa categoria è prevalente sono la ristorazione, i trasporti (facchinaggi), l’edilizia, le attività artigianali di piccola produzione di bassa qualità.

    Possiamo riconoscere due sottocategorie di individui:

    1a) Gli immigrati sfruttati. Si tratta in prevalenza di soggetti estremamente deboli, vuoi per caratteristiche personali (età, genere, etnia) vuoi perché di recente immigrazione e soprattutto privi di reti di sostegno e di "inserimento", cioè privi dei canali giusti per trovare un lavoro decente. Abbiamo ricordato i lavoratori immigrati cinesi sfruttati nelle imprese-fantasma, ma anche gli immigrati senza permesso di soggiorno e quindi più facilmente ricattabili da datori senza scrupoli.

    1b) Gli "pseudo-autonomi". Si tratta, in effetti, di una categoria spuria, perché formalmente almeno non rientrerebbe nel mondo e nell’economia del lavoro nero/sommerso. Il riferimento è ai rapporti lavoro parasubordinato, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa con monocommittenza (segretarie, centraliniste, telefoniste...).

    In questi casi, in effetti, un rapporto di lavoro esiste ed ha una sua natura formalmente legale: la ratio alla base, però, è ancora una volta la riduzione forse impropria dei costi del lavoro oltre ad una maggiore ‘pressione’ sul lavoratore attraverso la sua maggiore precarietà.

    Si tratta di un tema che è uscito poco nelle interviste, e che quindi non è stato affrontato lungamente nel rapporto: una sua esplorazione, infatti, richiederebbe di indagare direttamente gli attori ed i soggetti coinvolti, e non testimoni privilegiati che appartengono in prevalenza ad un "altro" mondo del lavoro.

    2) I conniventi.

    Si tratta di quei lavoratori che sono razionalmente intenzionati a perseguire una strategia di massima valorizzazione, immediata, del loro lavoro. Il loro obiettivo è, dichiaratamente, quello di massimizzare il loro introito, sia evadendo completamente la contribuzione fiscale, sia adottando strategie e, talvolta, sotterfugi atti allo scopo di innalzare il loro utile. Troviamo in questa categoria sia persone che lavorano in nero totale sia quanti lavorano in grigio, avendo comunque un insieme di garanzie fornite loro da un altro lavoro o da una situazione riferibile allo stato sociale. I settori in cui sono prevalenti sono il manifatturiero e le piccole imprese artigiane produttive, ma dobbiamo comunque sottolineare come un’elevata qualificazione professionale del lavoratore così come un’elevata domanda di tale specifico lavoro costituiscano sempre fattori che spingono alla valorizzazione individualistica nell‘economia sommersa, a prescindere quindi dallo specifico settore.

    Possiamo distinguere fra:

    2a) Immigrati che scelgono di lavorare in nero totale e che rifiutano la stessa regolarizzazione, in quanto magari già hanno assommato un numero sufficiente di ore "in regola" per garantirsi un minimo di copertura assicurativa (assicurazione da infortuni ecc.).

    É il caso del personale di servizio che mira a regolarizzare il minimo di ore necessarie (24) per avere accesso alle assicurazioni, per poi poter gestire il rimanente in nero totale. Lo stesso accade per quanti si regolarizzano solo in occasione di eventi particolari: è il caso delle sanatorie per ottenere il permesso di soggiorno. Non è raro, infatti, che l’emersione dal lavoro nero sia momentanea ed opportunisticamente mirata ad ottenere il permesso. Successivamente i lavoratori rientrano nell’economia sommersa, specialmente se il loro specifico mercato del lavoro è sufficientemente teso da conferire loro elevato potere contrattuale.

    2b) i doppiolavoristi, i pensionati (o pre-pensionati), i cassaintegrati, cioè quanti già possiedono una copertura garantita da parte del sistema di garanzie e dello stato sociale. Per costoro la domanda di lavoro è assolutamente forte: vuoi per le loro capacità tecnico-professionali, vuoi per i rapporti con il datore che spesso sono di lunga data e possono anche risalire al precedente periodo di lavoro "regolare".

    Per questi soggetti, il regolarizzarsi è solo una perdita economica netta, e questo fatto, unito alla forte domanda della loro professionalità, ne rende assolutamente improbabile l’emersione.

    Un terzo tipo di soggetti, praticamente non emerso dalle nostre interviste in quanto non immediatamente rientrante nell’universo di esperienze dei soggetti intervistati, potrebbe essere rappresentato dai liberi professionisti. Si tratta, però, di una categoria che riterremmo relativamente marginale, in quanto per un libero professionista la fatturazione è un modo per scaricare i costi sostenuti e quindi la prestazione in nero avviene solo su specifica richiesta della committenza.

    Abbiamo in questo caso, a scoraggiare il lavoro in nero, l’esistenza - almeno in via di principio - di convenienze opposte fra professionista e cliente: un meccanismo che meglio di molti controlli sembra controllare il ricorso al lavoro nero. Ovviamente, anche nel caso dei liberi professionisti, la sottofatturazione è sempre possibile, ma anche in questo caso a ‘controllarla’ vi è (o vi dovrebbe essere) la convenienza economica del cliente (specialmente se si tratta di un soggetto economico) a vedersi riconosciuto l’intero esborso erogato.
     
     

    3. Le proposte per la riduzione del lavoro irregolare

    Dal momento che, come messo in luce in precedenza, le diverse cause della diffusione del lavoro nero sono tra loro interconnesse e gli aspetti del fenomeno sono molteplici, le misure di politica dirette a ridurre il ricorso al lavoro irregolare e/o a favorire l’emersione possono essere di vario tipo e possono avere effetti diversi secondo l’ambito e le modalità di applicazione.

    Ciò che ci sentiremmo di sottolineare è come probabilmente un’azione efficace e funzionale contro il lavoro irregolare debba servirsi di un "policy mix", cioè debba ricorrere a sperimentazioni di misure differenti ma combinate fra loro. Ricercare "La Politica" contro il lavoro nero è, infatti, l’equivalente del voler identificare "La Figura" del lavoratore in nero. Un fenomeno socioeconomico complesso, va quindi avvicinato e affrontato con un saggio intreccio di misure e strumenti, conoscitivi prima e di intervento poi.

    Nelle pagine che seguono si cercherà di ricostruire un quadro degli interventi possibili, facendo riferimento alle proposte avanzate dai rappresentanti delle associazioni di categoria imprenditoriali e sindacali, che in alcuni casi hanno elaborato addirittura delle vere e proprie proposte di legge, e accennando brevemente alle strategie adottate in altri paesi europei.

    3.1. Il potenziamento del controllo

    E’ opinione diffusa che la presenza di una quota rilevante di lavoro irregolare in Italia sia causata fondamentalmente dall’assenza di adeguate misure di controllo che, se potenziate, renderebbero più rischioso il ricorso al lavoro nero e quindi incentiverebbero lavoratori e imprenditori a regolarizzare il rapporto di lavoro. Effettivamente, come è stato messo in luce, la probabilità di ricevere un’ispezione da parte dell’INPS o dell’Ufficio del Lavoro è molto bassa, soprattutto per le aziende di piccole dimensioni, per cui ricorrere al lavoro nero o utilizzare forme contrattuali in modo improprio comporta rischi quasi inesistenti.

    Le cause dell’inadeguatezza dei sistemi di controllo sono sostanzialmente riconducibili alla mancanza di personale addetto alle ispezioni, alla scarsa organizzazione interna, alle difficoltà di collaborazione tra i diversi enti preposti al controllo e, in alcuni casi, alla mancanza di una volontà politica di lotta al lavoro nero.

    Riguardo al problema del personale, è esemplificativo il fatto che il Servizio Ispezioni del Lavoro di Milano, avendo a disposizione 40 unità ispettive e ricevendo tra le 4000 e le 5000 richieste di intervento l’anno (da parte di lavoratori, organizzazioni sindacali o autorità giudiziarie), non solo svolge esclusivamente ispezioni su segnalazione - e non riesce a sviluppare attività di controllo programmate - ma incontra notevoli difficoltà a far fronte a tutte le richieste. Le ispezioni dell’INPS, invece, seguono programmi annuali focalizzati su alcuni settori e generalmente permettono di recuperare una quota di contributi evasi pari al budget preventivato.

    Esistono inoltre le attività di vigilanza congiunta, che vedono la collaborazione di ispettori del Servizio Ispezioni del Lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, e che risultano essere molto efficienti. Tuttavia, i problemi di coordinamento tra gli enti rimangono notevoli.

    La necessità di un potenziamento delle attività di controllo è particolarmente sentita nel settore del commercio ambulante, dove la diffusione del lavoro nero e dell’abusivismo è stata sicuramente favorita dall’assenza di interventi repressivi da parte dell’autorità pubblica. Il presidente dell’Associazione Commercianti Ambulanti afferma, a questo proposito:

    "Il fenomeno dell’abusivismo parte dal povero marocchino che aveva in mano quattro accendini. Poi qualcuno ha pensato di utilizzare questa gente e gli fornisce le borse, i foulard ecc. Poi una parte degli ambulanti, stanchi della situazione, hanno venduto le licenze e sono diventati abusivi anche loro. E’ stata una degenerazione progressiva per effetto dell’assenza di intervento da parte dello Stato". Relativamente al potenziamento delle misure di controllo e di lotta al lavoro irregolare, è importante sottolineare che è stato recentemente istituito, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, un Comitato per l’emersione del lavoro non regolare, con funzione di analisi e di coordinamento delle iniziative dirette a questo scopo. Accanto ad esso, a livello regionale e provinciale è stata prevista l’istituzione, presso le Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, di altrettante commissioni con i compiti di: a) svolgere analisi del lavoro irregolare a livello territoriale, b) promuovere collaborazioni e intese istituzionali e c) assistere le imprese per favorire la regolarizzazione. Tali commissioni dovrebbero svolgere una funzione incisiva, sfruttando quell'insieme di informazioni di cui può essere in possesso solo una struttura che - tramite il sistema associativo - intrattiene rapporti costanti con imprenditori, delegati sindacali e lavoratori, e ha una conoscenza diretta e approfondita della realtà locale (Leonardi, 1998).
     
     

    3.2. Il ruolo delle convenienze relative

    Dalle interviste effettuate e dalle analisi dei provvedimenti, è emerso abbastanza chiaramente come una strategia possibile per controllare il fenomeno del lavoro nero/irregolare a Milano e soprattutto per disincentivarne il ricorso da parte dei soggetti coinvolti (sia datori sia lavoratori) consista nel creare regolazioni che sollevino conflitti d’interesse fra le due parti del rapporto di lavoro.

    Il caso è particolarmente evidente nel caso delle certificazioni per piccole ristrutturazioni, manutenzioni ecc., ma abbiamo visto anche come un esempio positivo da seguire sia costituito dalla regolamentazione per l’iscrizione all’Albo Artigiani ed alle Associazioni di categoria, per cui è prescritta una certificazione di aver svolto attività di apprendistato per almeno tre anni. La certificazione dell’apprendistato, svolto con regolare contratto di lavoro, è interesse primario dei lavoratori, per i quali costituisce condizione indispensabile per accedere alla professione.

    In questo caso, un provvedimento apparentemente semplice ha avuto e potrà avere un grosso impatto sia per scoraggiare il ricorso al lavoro irregolare, sia per creare una più diffusa ‘cultura’ della legalità dei rapporti d’impiego.

    3.3. Il ruolo del consenso sociale

    I provvedimenti di certificazione e la richiesta di requisiti certificati per l’ammissione alla professione richiamano il ruolo che i fattori culturali e le norme sociali condivise possono giocare nella regolazione di un fenomeno all’interno di un gruppo sociale e di una comunità.

    In particolare, una possibile strategia da implementare, che avrebbe indiscutibili probabilità di successo, potrebbe puntare sulla creazione di consenso diffuso all’interno del corpo sociale rispetto al tema del "lavoro regolare", sfruttando al contempo le stesse convenienze particolari degli interessati (famiglie e soggetti).

    Innanzi tutto, ricordando come un lavoro regolarmente effettuato (manutenzioni, riparazioni, lavori artigianali in genere) risulti naturalmente più affidabile, sia perché soggetto a certificazioni – e qui il ruolo degli enti istituzionali come ‘certificatori’ è cruciale - sia in quanto rende agevole identificare l’artigiano che ha effettuato il lavoro, in caso di contestazioni.

    In secondo luogo, sottolineiamo l’importanza del momento informativo, ed in particolare degli appositi luoghi e spazi informativi eventualmente implementati e finalizzati a diffondere una più ampia cultura e consenso attorno al tema della sicurezza e regolarizzazione del lavoro. Stiamo ancora sottolineando l’importanza della qualità certificata e più in generale della regolarità del lavoro come valore e norma etica.

    In questo senso, infatti, le istituzioni locali possono svolgere un ruolo essenziale quali creatrici di cultura, sostenendo e favorendo la creazione di una sorta di "civicness" applicata – anche attraverso norme e sistemi di riprovazione professionale e sociale – al tema del lavoro.

    Analisi condotte sia in Europa sia negli Stati Uniti giungono alla conclusione che maggiori controlli e più severe sanzioni contro gli imprenditori che assumono "in nero" sortiscono scarsi effetti se non sono sostenuti da un forte consenso sociale, che esponga i comportamenti irregolari alla riprovazione generale e li renda, quindi, più condannabili e più esposti agli interventi repressivi. Queste analisi sono state condotte con riferimento al lavoro irregolare svolto dagli immigrati (Passel, 1996; Tapinos 1999), ma i loro risultati sono facilmente generalizzabili.

    3.4 Fattori e politiche mirate al lavoro nero

    Il problema dell’inadeguatezza dei sistemi di controllo, così come della "civicness" rispetto al lavoro, si riconnette ad una questione più complessa relativa alla percezione del lavoro irregolare come forma di frode nei confronti dello Stato e di danno nei confronti della società. Come già sottolineato, infatti, in Italia è abbastanza diffuso un atteggiamento di noncuranza rispetto alle normative del lavoro perciò le irregolarità vengono commesse spesso senza esitazioni, quasi dimenticando che il lavoro nero è illegale, e considerandolo una forma normale di gestione dei rapporti di lavoro. Ciò vale soprattutto per le aziende a conduzione familiare e per i servizi alle famiglie, come ad esempio le collaborazioni domestiche o i lavori di piccola manutenzione, dove spesso il datore di lavoro non è un imprenditore, per cui spesso non ha una conoscenza adeguata della normativa lavoristica e non percepisce completamente la gravità del ricorso al lavoro nero.

    A questo riguardo, in Germania è stata recentemente lanciata una campagna contro il lavoro sommerso che utilizza lo slogan "illegal ist unsozial" (illegale è asociale), tesa a sottolineare l’obbligo di tutti i cittadini a contribuire allo sviluppo della società, regolarizzando la propria posizione lavorativa. Alcuni Stati, inoltre, hanno introdotto campagne di informazione sui rischi corsi da chi ricorre a lavoratori non regolari: nei lavori di ristrutturazione o in caso di trasloco, infatti, rivolgersi a personale in nero significa non poter richiedere un risarcimento in caso di lavorazioni effettuate male, di danno o di furto (Commissione delle Comunità Europee, 1998).

    Campagne di informazione e sensibilizzazione di questo tipo, nonostante non possano modificare gli orientamenti culturali della popolazione, possono costituire comunque un mezzo per incidere sulla percezione del problema e incentivare comportamenti maggiormente corretti.

    Tale misura di lotta al lavoro nero, tuttavia, forse perché sconosciuta in ambito italiano, non è stata presa in considerazione da nessuno degli intervistati, nonostante più d’uno abbia connesso il problema del lavoro irregolare in Italia all’assenza di una forte cultura della legalità.

    Uno dei principali motivi che, a detta dei rappresentanti degli imprenditori intervistati, spingerebbero i datori e gli stessi lavoratori a utilizzare forme irregolari di lavoro è la presenza di elevati oneri sociali, che non solo aumentano il costo del lavoro ma accrescono contemporaneamente la differenza tra quest’ultimo e il salario percepito dal lavoratore, creando così un incentivo all’evasione contributiva. Tra le proposte di politica contro il lavoro irregolare, pertanto, va annoverata anche la richiesta, avanzata da molti, di una riduzione del costo del lavoro, tramite la riduzione degli oneri contributivi e fiscali.

    La riduzione del costo del lavoro, tuttavia, può essere effettuata anche per via indiretta - tramite sussidi o sistemi di incentivo diretti a particolari settori di attività -, senza perciò perdere la sua possibile funzione di stimolo alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Attori istituzionali importanti, quali il Comitato per l’emersione del lavoro non regolare presso il Consiglio dei Ministri, ed i rappresentanti delle associazioni sindacali (in particolare CISL e CGIL), ritengono che sarebbe utile riconoscere la possibilità ai privati di detrarre dalle dichiarazioni dei redditi le spese sostenute per servizi sociali e di cura alla persona, quali l’assistenza agli anziani e ai bambini (baby sitter), le collaborazioni domestiche nonché i lavori di piccola manutenzione domestica (idraulico, elettricista, imbianchino..). In questo modo, si sostiene, vi sarebbe un forte incentivo a ricorrere a lavoratori regolari, in modo da poter dichiarare la retribuzione versata e poterla detrarre dalle imposte.

    Questa proposta, tuttavia, non tiene forse sufficientemente in considerazione che un tale sistema di detrazione delle spese sostenute si tradurrebbe in una forma di imposta regressiva sul reddito, di cui godrebbero soprattutto i più abbienti, i quali generalmente possono fare un maggior uso dei servizi domestici. In Francia, ad esempio, è stato introdotto nel 1994 un sistema di buoni-servizio (CES "Cheque-emploi-service"), in base al quale i nuclei familiari possono acquistare servizi domestici a prezzi ridotti pur assicurando il pagamento dei contributi e delle tasse tramite il buono.

    Tale sistema, se da un lato ha favorito la regolarizzazione del lavoro nero nel settore, dall’altro ha però comportato un costo per lo Stato - in termini di imposte non riscosse - troppo elevato rispetto al numero dei nuovi posti di lavoro creati e, inoltre, ha favorito i nuclei più abbienti che sono risultati i maggiori utilizzatori dei buoni-servizio (Finger, 1997).

    Sempre in Francia, limitatamente ad alcune regioni, sono stati recentemente introdotti in via sperimentale, dei voucher denominati TES ("Titre-Employ-Service") che vengono distribuiti dalle aziende ai dipendenti che ne facciano richiesta, come forma di sostegno al reddito. I vaucher possono essere utilizzati per acquistare servizi domestici e usufruire di agevolazioni fiscali simili a quelle previste dai CES.

    In Belgio, invece, i buoni-servizio ("Cheque-ALE") sono stati introdotti per favorire il reinserimentio nel mercato del lavoro di disoccupati di lunga durata per cui possono essere utilizzati dalle famiglie esclusivamente per pagare i servizi domestici offerti da lavoratori disoccupati da almeno tre anni (contattati tramite gli uffici del lavoro).

    Infine, va ricordato che in vari paesi europei - tra cui Francia e Danimarca - sono stati introdotti sussidi o sgravi fiscali per ristrutturazioni e migliorie delle abitazioni, che si sono dimostrati particolarmente efficaci nell’incoraggiare un maggior numero di persone a rinnovare le loro abitazioni in modo legale, producendo uno spostamento del lavoro solitamente irregolare verso il settore formale e registrato (Commissione delle Comunità Europee, 1998).
     

    3.5. Welfare e lavoro irregolare

    Una misura di politica di welfare che non è stata considerata dai soggetti intervistati ma che a nostro avviso potrebbe contribuire a ridurre notevolmente il ricorso al lavoro irregolare, riguarda la modificazione dei criteri di eleggibilità all’indennità di disoccupazione.

    Come sottolineato in precedenza, per alcune fasce di lavoratori i contributi versati rispetto alla retribuzione percepita rappresentano una riduzione del salario che non porta nessun vantaggio in termini di sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro svolto. Questo discorso vale soprattutto per coloro che svolgono occupazioni saltuarie, temporanee e precarie, i quali quindi non riescono a maturare un’anzianità contributiva sufficiente a garantire loro di poter accedere all’indennità di disoccupazione in caso di perdita del lavoro.

    Una riforma del sistema di „unemployment benefits" che prevedesse un contestuale incremento dell’indennità stessa ed un allargamento dell’accessibilità anche ai lavoratori precari e saltuari - da attuarsi tramite una sostanziale riduzione dell’anzianità assicurativa richiesta per potervi accedere - costituirebbe senza alcun dubbio un incentivo notevole alla regolarizzazione dei rapporti di lavoro saltuari/precari/marginali, attività che sovente sono irregolari quando non in nero totale.

    Attualmente, infatti, l’indennità di disoccupazione viene erogata solamente a coloro che sono stati licenziati, purché abbiano lavorato per almeno 52 settimane nel biennio precedente alla cessazione del rapporto di lavoro e purché possano vantare almeno due anni di anzianità contributiva.

    Accanto a questo sussidio, che difficilmente può essere richiesto dai lavoratori con occupazioni saltuarie, esiste un’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti di cui possono beneficiare lavoratori che abbiano lavorato almeno 78 giorni nel corso dell’anno e che abbiano maturato i due anni di anzianità contributiva.

    Quest’ultimo requisito fa sì che possano usufruire dell’indennità di disoccupazione (con requisiti ridotti) solamente i soggetti entrati nel mercato del lavoro da più di due anni, nei quali abbiano altresì avuto almeno un contratto di lavoro regolare in grado di coprire il periodo contributivo richiesto. Di fatto ne usufruiscono soltanto coloro che entrano nella prospettiva di svolgere lavori temporanei con cadenza stagionale.

    È evidente come questo tipo di regolazione istituzionale dei criteri di eleggibilità all’indennità di disoccupazione risulti abbastanza disincentivante per coloro i quali sono al loro primo ingresso nel mercato del lavoro, generalmente meno consapevoli dei possibili, futuri, rischi di disoccupazione e perciò poco stimolati a regolarizzare la propria posizione lavorativa al solo fine di garantirsi l’indennità di disoccupazione in un periodo futuro.

    4. Alcune proposte operative

    1. Proposta di legge CGIL: riduzione degli oneri fiscali a carico del lavoratore in caso di regolarizzazione del rapporto di lavoro.

    Dopo aver accennato alla questione della riduzione del costo del lavoro, invocata generalmente anche se non esclusivamente dalle organizzazioni di rappresentanza di parte imprenditoriale, è interessante prendere in considerazione una proposta di legge avanzata recentemente dalla CGIL – Camera del Lavoro Metropolitana di Milano - per favorire la regolarizzazione dei rapporti di lavoro in nero. Secondo i sostenitori della proposta, i lavoratori che hanno percepito retribuzioni in nero sono scarsamente incentivati a regolarizzare la propria posizione perché rischiano di subire accertamenti fiscali severi che possono obbligarli a versare le imposte non pagate sul reddito percepito in modo irregolare.

    "L’aspetto paradossale della questione è che i lavoratori irregolari – spesso costretti a lavorare in nero con retribuzioni molto basse – rischiano di trovarsi a dover pagare somme elevate al fisco per coprire le imposte evase in passato, su un salario magari inferiore o vicino ai minimi contrattuali. Se un lavoratore ha lavorato per esempio cinque anni in nero e alla fine ottiene la regolarizzazione, deve pagare non solo i contributi evasi ma spesso anche le imposte sul reddito che ha percepito in nero che possono assommare anche a 15/20 milioni" (Funzionario CGIL Milano). Il rischio di incorrere negli accertamenti fiscali, pertanto, costituisce un disincentivo per i lavoratori a regolarizzare la propria posizione, quando non viene utilizzato addirittura come minaccia dal datore di lavoro per evitare una vertenza.

    Alla luce di queste considerazioni, la proposta della CGIL prevede l’attribuzione al datore di lavoro dell’onere del pagamento dell’imposta e/o contribuzione evasa, limitatamente alla quota relativa alla retribuzione minima contrattuale (così come definita da apposite tabelle predisposte dal Ministero del Lavoro). Tale proposta, inoltre, intende distinguere tra lavoratori irregolari oggetto di sfruttamento e lavoratori in qualche misura conniventi, che ottengono generalmente retribuzioni molto più elevate dei minimi contrattuali. A questo fine, l’articolo 4 della proposta di legge esclude dall’ambito di applicazione i casi in cui "le somme complessivamente percepite dal lavoratore siano superiori al 150% delle somme che sarebbero spettate - per il periodo di lavoro, per l’orario di lavoro osservato e per le mansioni svolte - in base ai minimi retributivi fissati dai contratti collettivi e secondo le tabelle di cui sopra". (Notiamo per inciso l’implicito, ma chiarissimo riconoscimento da parte della stessa proposta di legge sindacale delle ragioni forti per cui gli stessi lavoratori sovente scelgono forme di lavoro in nero).

    Anche per i lavoratori esclusi dall’ambito di applicazione della norma, tuttavia, sono previsti incentivi alla regolarizzazione in quanto l’articolo 5 dichiara "nei casi in cui abbia percepito somme complessivamente superiori al limite stabilito dall’articolo 4, il lavoratore che dichiari spontaneamente tali somme, entro due anni dalla data in cui è cessato il rapporto di lavoro, è in ogni caso esente da sanzioni e interessi, e potrà versare le imposte evase con rateizzazione annuale, senza interessi".

    Al datore spetta inoltre, in ogni caso, l’intero onere del versamento dei contributi previdenziali sulle retribuzioni non dichiarate, oltre al pagamento di ogni sanzione per l’evasione contributiva e per la violazione delle imposizioni fiscali sugli obblighi dei sostituti di imposta.

    Addossando al datore l’intero onere contributivo, inoltre, la normativa dovrebbe "consentire al lavoratore un percorso agevolato e non eccessivamente costoso di "ravvedimento fiscale" [...] facendo sì che il datore di lavoro non possa fidarsi della tenuta nel tempo dell’accordo in frode alla normativa fiscale e contributiva e sia dunque disincentivato a stipularlo" (Borracchia, 1998, p.4).

    2. Proposta di legge Assimpredil relativa al settore edile e all’utilizzo degli appalti Come già sottolineato in precedenza, il settore edile è uno degli ambiti di maggior diffusione del lavoro irregolare in quanto, grazie al meccanismo dell’appalto, permette alle aziende edili più piccole di divenire quasi "invisibili" ai controlli e difficilmente identificabili nel caso di vertenze da parte dei lavoratori. Negli ultimi anni l’Assoimpredil ha elaborato alcune proposte per combattere l’evasione contributiva nel settore edile, prendendo in considerazione proprio il problema del diffondersi di appalti a cascata tra numerose aziende di piccole dimensioni. Le misure identificate sono sostanzialmente due: in primo luogo, vengono ampliati alcuni obblighi di comunicazione per facilitare le verifiche e rendere possibili i controlli incrociati. In particolare per le imprese pubbliche viene esteso ai committenti l’obbligo già previsto per l’impresa aggiudicataria, di comunicare, prima dell’inizio dei lavori, agli Istituti di Previdenza e di Assicurazione e alla Cassa edile, i nominativi dell’impresa aggiudicataria e delle eventuali imprese subappaltatrici" (Proposta di legge dell’Onorevole Salvati, 1998). Va sottolineato, inoltre, che in passato tali comunicazioni venivano indirizzate solamente all'INAIL mentre ora vengono inclusi tra i destinatari anche l’INPS e la Cassa Edile.

    Per i committenti privati il ritiro della concessione edilizia viene subordinato alla produzione di una dichiarazione dalla quale risulti l’avvenuta comunicazione ai soggetti sopra elencati.

    Infine, viene proposta una modificazione della legge n.1369 del 1960 che considera l’appaltatore solidalmente responsabile con i subappaltatori per l’adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza e di assistenza. A motivazione di questa richiesta di modificazione degli attuali obblighi dell’appaltante, Assimpredil sostiene che liberando l’impresa appaltante delle responsabilità, nel caso in cui abbia posto in essere gli adempimenti previsti dalla legge e dal contratto, si dovrebbero incentivare maggiormente i comportamenti corretti.

    L’associazione di categoria delle imprese edili, inoltre, ha avanzato due ulteriori ipotesi relativamente alle modalità di versamento dei contributi previdenziali in caso di subappalto:

    a) per ogni sub-contratto di appalto di lavorazioni edili l’impresa appaltante versa agli Istituti Previdenziali il 10% dell’importo contrattale. Tale importo viene recuperato all’atto del pagamento del corrispettivo d’appalto nei confronti dell’impresa subappaltatrice" (Assimpredil, 1996). Viene inoltre imposto l’obbligo di comunicare agli istituti previdenziali l’elenco di tutti i lavoratori (sia i dipendenti dell’appaltante che quelli delle sub-appaltatrici) che accedono al cantiere e il tempo di permanenza.

    b) La seconda ipotesi sostenuta da Assimpredil, consiste nell’imporre alla prima impresa appaltatrice di ricoprire il ruolo di sostituto contributivo. Essa viene chiamata a corrispondere i contributi forfettariamente, ipotizzando giornate lavorative di 8 ore e un imponibile pari al salario riconosciuto dal contratto di categoria per la qualifica di "operaio comune". Rimane, comunque, l’obbligo di comunicazione dell’elenco nominativo dei lavoratori presenti agli enti previdenziali.
     

    4.1 Un caso concreto di politica per la riemersione: i contratti di riallineamento

    L'obiettivo dei contratti di riallineamento è quello di favorire la riemersione delle imprese irregolari attraverso uno scambio fra aziende, sindacati e attori pubblici impegnati in un programma comune di graduale fuoriuscita dalla condizione di illegalità. In sintesi, tali contratti consentono alle piccole e medie imprese, operanti principalmente al Sud (territori individuati dalla legge n. 64/86) che attualmente non corrispondono ai lavoratori i livelli salariali previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro, l'opportunità di derogare ai minimi salariali, per un periodo limitato di tempo, sulla base di un programma graduale di riallineamento dei trattamenti economici dei lavoratori ai livelli previsti dalla contrattazione collettiva nazionale.

    Ciò è possibile, naturalmente, solo a condizione che le imprese recepiscano gli accordi provinciali di riallineamento retributivo stipulati tra le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali aderenti al contratto collettivo nazionale di lavoro di riferimento.

    Nonostante i contratti di riallineamento costituiscano in Italia i principali strumenti di politica per l’emersione del lavoro nero, i responsabili delle associazioni di categoria, sia imprenditoriali che sindacali, di Milano si sono dimostrati generalmente scettici sulla loro efficacia. In particolare, viene lamentata la scarsa chiarezza degli accordi riguardo alle agevolazioni fiscali e contributive previste per le aziende che regolarizzano la loro posizione.

    Nessuno degli intervistati, comunque, ha dimostrato interesse per un’estensione alle regioni settentrionali di tali contratti.


    Riferimenti bibliografici
    Assimpredil, Nuove disposizioni per combattere l’evasione contributiva nel settore edile, luglio 1996.

    Assimpredil, Proposta di legge per combattere l’evasione contributiva nel settore edile, luglio 1998.

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    Borracchia M., (1998), Nota sull’opportunità di una iniziativa legislativa in materia di trattamento fiscale e contributivo del lavoro "nero", CGIL Lombardia, Milano.

    Busetta P., Giovannini E. (1998) Capire il sommerso. Un’analisi del lavoro irregolare al di là dei luoghi comuni, Fondazione Curella - Liguori.

    CGIL – Regione Lombardia, Camera del Lavoro Metropolitana, Bozza di articolato: norme per la lotta all’evasione fiscale e contributiva in materia di lavoro dipendente e di collaborazioni coordinate e continuative di lavoro autonomo, Milano, aprile 1998.

    Commissione Europea, (1998) Comunicazione della commissione sul lavoro sommerso, Bruxelles, luglio.

    Commissione Europea, (1998) Paper on Unclared Works, DG V, Bruxelles.

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    Leonardi S. (1998), I contratti di riallineamento: una potenzialità per l'emersione di segmenti del lavoro nero?, rapporto di ricerca Ires-Cnel , Roma, sito web http://www.lex.unict.it/dml-online/archivio/numero1/online/dossier/dossier.htm.

    Marshall, T.H. (1963), Cittadinanza e classe sociale, Utet.

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    Zlolniski C. (1994), The Informal Economy in an Advanced Industrialized Society: Mexican Immigrant Labor in Silicon Valley, in The Yale Law Journal, vol.103

      Allegato 1 - Traccia per l’intervista a testimoni privilegiati

    1. Natura delle attività svolte.

    Definire la natura e le forme più diffuse di lavoro nero nello specifico settore in cui l’intervistato opera o di cui si occupa;

    Definire in particolare quali sono le competenze professionali necessarie per svolgere il tipo di attività in oggetto, il tipo di tecnologia utilizzata, l’ammontare dei capitali richiesti per operare in quello specifico settore/attività professionale, il livello di qualificazione del lavoro (regolare ed irregolare) .

    In particolare, per le tecnologie specificare il ruolo eventualmente svolto dalle tecnologie informatiche quali strumenti che possano aver facilitato il fenomeno di "immersione" nel lavoro nero (la diffusione dei PC, il loro costo ridotto, le ridotte dimensioni, l’accessibilità: tutti fattori che possono favorire oggettivamente forme di delocalizzazione, così come di lavoro ‘domestico’ o comunque in nero).

    Si tratta di comprendere SE e fino a che punto il lavoro nero è prevalentemente lavoro a bassa qualificazione.

    Infine domandare all’intervistato se lui personalmente ha presente o può riferire di casi concreti di lavoro nero, descrivendo in cosa consistono e cosa - secondo la sua esperienza e la sua conoscenza del settore - può aver motivato la scelta del lavoro in nero rispetto al lavoro regolare, dipendente o indipendente che sia.
     
     

    2. Forma delle attività.

    Definire la forma, di fatto, del lavoro ‘nero’: si tratta di lavoro di fatto dipendente o realmente autonomo? Definire e specificare il grado di autonomia lasciata ai lavoratori, in modo da poter stabilire con un certo grado di precisione se siamo di fronte a lavori ed attività di tipo ‘subordinato’ o se invece si tratta di lavoro indipendente.
     
     

    3. Gli utilizzatori finali.

    Stabilire chi sono gli utilizzatori finali dei beni e dei servizi forniti dal lavoro nero: famiglie (e quindi beni e servizi alle persone, o ai consumi delle famiglie: attività di cura, pulizia, servizi personali e/o alla casa) oppure imprese (quindi beni, soprattutto, ma anche servizi professionali).

    Definire l’utilizzatore finale del prodotto del lavoro nero è utile per definire, indirettamente, la stessa natura del lavoro nero.
     
     

    4. I redditi.

    Stabilire i livelli di reddito e di guadagno del lavoro nero, comparandoli con quelli dell’omologo lavoro svolto in forma ‘regolare’ (dipendente o indipendente). Chiedere all’intervistato di effettuare una valutazione dei diversi livelli di reddito e di stimare la differenza fra redditi regolari ed irregolari.
     
     

    5. Rischi di controlli.

    Chiedere all’intervistato di fornire un quadro dei rischi effettivi di essere soggetti a controlli che corrono i lavoratori in nero e coloro che usufruiscono delle prestazioni in nero.
     
     

    6. Il lavoro nero come forma di concorrenza sleale.

    Chiedere all’intervistato di effettuare una valutazione ("secondo il suo giudizio e la sua esperienza del settore...") dell’incidenza del lavoro nero come concorrenza sleale (riduzione dei costi rispetto alla produzione ‘regolare’, sia che si tratti di produzione di beni che di servizi, ovviamente) all’interno del settore.
     
     

    7. Sfruttamento/complicità.

    Chiedere all’intervistato di effettuare una valutazione ("sempre secondo il suo giudizio e la sua esperienza del settore...") dell’incidenza delle forme di vero e proprio sfruttamento del lavoro nero piuttosto che delle forme di ‘complicità’ fra domanda e offerta di lavoro in nero (complicità indica il fatto che la stessa offerta di lavoro nero -cioè i lavoratori che operano in nero- possono avere convenienza a non operare in regola, per eludere/evadere le tasse). Valutare in definitiva quanto può essere elevata la componente di mero ‘sfruttamento’ del lavoro nero e quanto la componente e le motivazioni di ‘duplice-intesa’, di convenienza reciproca fra offerta e domanda di lavoro. Questo anche per valutare le diverse possibilità di emersione del fenomeno...
     
     

    8. I soggetti coinvolti.

    Definire e specificare le caratteristiche principali dei soggetti coinvolti. In particolare, chiarire bene se si tratta di:

  • lavoratori doppio-lavoristi (già con un lavoro regolare, dipendente);
  • di disoccupati in cassa integrazione o in lista di mobilità (qui riemergerebbe il discorso della ‘complicità: i disoccupati in CIG/CIGS ed i lavoratori in liste di mobilità perderebbero l’integrazione di reddito se dovessero lavorare in regola!);
  • di ex-lavoratori pensionati,
  • di familiari del ‘datore’ di lavoro;
  • di giovani-studenti;
  • di minori;
  • di donne che non vogliono regolarizzare la propria posizione
  • di immigrati extracomunitari...
  • Specificare bene le caratteristiche anagrafiche e sociali dei lavoratori in nero serve per definire la ‘composizione socio-professionale’ dell’area in oggetto e per comprendere le caratteristiche del lavoro svolto (rifarsi al primo punto: la natura delle attività svolte ed i requisiti professionali). In particolare, se si tratta prevalentemente di attività con un certo contenuto professionale, sarà prevalente la figura dei doppiolavoristi, dei cassaintegrati, dei pensionati, tutti già in possesso di un proprio capitale umano e di esperienza professionale, mentre se si tratta di attività a bassa/nulla qualificazione saranno prevalenti donne, immigrati, studenti...
     
     

    9. I fattori di diffusione del lavoro nero.

    Determinare e specificare bene quali fattori possono aver influenzato o favorito il ricorso al lavoro nero nello specifico settore/attività dell’intervistato. In particolare, specificare bene il ruolo svolto da:

    - i classici fattori fiscali legati alla scelta di evadere la contribuzione (elevati soprattutto per artigiani e lavoratori indipendenti che quindi lavoreranno parzialmente ‘a fattura’ e parzialmente in nero;

    - un elevato (o percepito come tale dai datori) costo del lavoro, soprattutto se si tratta di attività a bassa/nulla qualificazione, ma anche la difficoltà di licenziare i dipendenti, una volta assunti (ipotesi della rigidità del ML: se sono assunti poi è difficile licenziarli una volta ridottasi l’attività, diviene più conveniente optare per forme di lavoro in nero...);

    - una eccessiva complessità amministrativa per la regolarizzazione delle posizioni di lavoro;

    - le esigenze di flessibilità dell’attività svolta e/o dell’impresa, che favorirebbero il ricorso a forme di lavoro nero, per definizione molto più flessibile del lavoro regolare (orari di lavoro, turni, tempi di consegna del prodotto/del servizio, ecc.);

    - infine fattori legati all’offerta stessa, quali la volontà di mantenere coperture previdenziali quali pensione propria o del coniuge, cassa integrazione, sussidio di mobilità ecc...
     
     

    10. L’impatto di nuove forme regolamentative.

    Definire se ed in quale maniera eventuali nuove forme di regolamentazione introdotte (specificare quali e attraverso quali meccanismi!!) possano aver inciso sulla diffusione e sui motivi di ricorso al lavoro nero:

    - favorendone il ricorso e quindi la diffusione;

    - o invece favorendone l’emersione e quindi la trasformazione e regolarizzazione in forme di lavoro dipendente o più ancora in forme di lavoro autonomo, parasubordinato, pseudo-indipendente, comunque meno ‘irregolare’ del mero lavoro nero.

    In particolare, valutare il ruolo avuto da provvedimenti quali l’obbligo di certificazione dei lavori di piccola ristrutturazione ecc. effettuati in ambiti domestici; il ruolo delle nuove forme e possibilità di deduzioni fiscali (per le ristrutturazioni edilizie); il ruolo dei provvedimenti di regolarizzazione degli immigrati non EU, la semplice maggiore disponibilità di forme di contratti di lavoro atipici (collaborazioni coordinate e continuative, contratti a tempo determinato, lavoro interinale...)
     
     

    11. Valutazioni dell’intervistato.

    "In base alla sua specifica esperienza ed alla sua conoscenza specifica del settore... " chiedere all’intervistato di valutare quali misure pensa potrebbero incidere efficacemente sul livello e sui fattori alla base del lavoro nero a Milano.

    (NB: livelli e fattori non sono necessariamente correlati. I livelli sono indicatori meramente quantitativi (quanti sono?) esprimenti il tasso di lavoro nero a Milano quale % sul totale dell’occupazione. In quanto tale, esso può anche non essere particolarmente elevato (ipotesi di ricerca). I fattori che spingono o favoriscono il ricorso al lavoro nero/irregolare, invece possono essere molto più ‘strutturali’ e pertanto è interessante individuarli e specificare attraverso quali meccanismi esercitano la loro azione. Infine, la ricerca e/o gli intervistati potranno eventualmente indicare policies di intervento anche in presenza di livelli bassi di lavoro nero).

    Chiedere anche all’intervistato di indicare se, nel suo settore/attività, il lavoro nero era più diffuso in passato rispetto ad oggi, e quindi di indicare cosa ha determinato la sua riduzione (o al contrario il suo incremento eventuale).
     
     

    12. Le eventuali reazioni/denunce.

    Chiedere all’intervistato di specificare se è a conoscenza di casi in cui qualcuno degli associati alla sua specifica associazione/albo/ordine professionale, abbia denunciato un concorrente non in regola o lo abbia segnalato all’associazione.

    Specificare la politica dell’associazione/albo/ordine professionale in questi casi: come agiscono?

    Quanto sono attivi nell’azione di controllo/repressione, e quanto ‘lasciano correre’??
     
     

    13. Networking.

    Chiedere all’intervistato se conosce altre persone, all’interno delle associazioni di categoria o altrove, che potrebbero fornire utili informazioni riguardo al lavoro sommerso a Milano; chiedere anche di fornire una sua valutazione circa i settori/attività/aree professionali in cui il lavoro nero è particolarmente diffuso a Milano.

    Sollecitare eventuali altri contatti e nominativi da contattare in quanto persone che potrebbero essere a conoscenza del fenomeno o di aspetti peculiari di esso.

    Allegato 2 – Elenco soggetti intervistati

    Segretario A.C.A.I. Milano

    Direttore Relazione Industriali A.P.I. Milano

    Componente Comitato di Presidenza Assimpredil Milano

    Funzionario Servizio Problemi del Lavoro e Sindacali Assimpredil Milano

    Responsabile Area Lavoro e Previdenza Associazione Industriali Monza e Brianza Monza

    Direttore Associazione Legnanese dell’Industria Legnano

    Funzionario Area Lavoro e Previdenza Assolombarda Milano

    Funzionario C.I.A. Confederazione Italiana Agricoltori Milano

    Funzionario C.N.A. Confederazione Nazionale Artigianto Milano

    Segretario Generale Confartigianato Alto Milanese Legnano

    Funzionario Federazione Provinciale Coltivatori Diretti Milano

    Funzionario Lega Regionale delle Cooperative e Mutue della Lombardia Milano

    Funzionario Unione Agricoltori Milano

    Segretario Generale Unione Artigiani della Provincia di Milano Milano

    Responsabile Relazioni Sindacali Unione Artigiani della Provincia di Milano Milano

    Direttore del Personale Unione del Commercio, Turismo e Servizi Milano

    Funzionario Servizi Sindacali Unione del Commercio, Turismo e Servizi Milano

    Segretario Camera del Lavoro Brianza Monza

    Segretario Camera del Lavoro Brianza Monza

    Segretario Camera del Lavoro di Legnano Legnano

    Segretario Camera del Lavoro Milano

    Funzionario CISL Milano

    Segretario CISL Brianza Monza

    Segretario CISL Magenta - Abbiategrasso Magenta

    Segretario CISL Ticino Olona - Legnano Busto Arsizio

    Funzionario UIL Milano

    Funzionario UIL Milano

    Assessore al Personale Comune di Milano Milano

    Funzionario Direzione Provinciale del Lavoro Milano

    Responsabile Area Vigilanza Ordinaria Direzione Regionale del lavoro Milano

    Funzionario INPS Milano

    Funzionario Direzione Regionale del Lavoro Milano

    Presidente Associazione Commercianti Ambulanti Milano

    Responsabile NIDIL CGIL Milano

    Responsabile Area Mercato del Lavoro CGIL Milano

    Funzionario Ufficio Vertenze UIL Milano

    Funzionario Ufficio Vertenze UIL Milano

    Funzionario Ufficio Vertenze UIL Milano

    Funzionario Ufficio Vertenze CISL Milano

    Funzionario Ufficio Vertenze CGIL Milano

    Funzionario Servizio COLF CGIL Milano