Come nasce l’iniziativa per più democrazia in Sud Tirolo?
Il nostro impegno è cominciato dopo l’incontro con il parlamentare
svizzero Andreas Gross, che avevamo
invitato all’Ekö institute per una serie di conferenze su che cosa
impedisca la svolta ecologica. Noi, infatti, siamo dell’avviso che la politica
di per sé è un elemento cruciale nel capire i motivi per
cui la svolta non si realizza, dato che ciò dipende anche da una
maggior partecipazione dei cittadini alla politica. Così ci siamo
rivolti a un parlamentare svizzero, che peraltro è la persona forse
più competente sulla democrazia diretta a livello europeo, proprio
perché ci raccontasse un po’ le esperienze in quel paese.
Andreas Gross, infatti, è promotore dell’iniziativa “Eurotopia”,
un movimento che si batte per l’introduzione, soprattutto nella costituzione
europea, di forme e strumenti di democrazia diretta, con la possibilità
per i cittadini di decidere, attraverso delibere popolari, sulle questioni
che ritengono importanti. Ecco, per noi quell’incontro è stato decisivo
per lanciare un’iniziativa a favore dell’introduzione di strumenti di democrazia
diretta anche qui in Alto Adige.
Va subito chiarito che in Alto Adige questo è possibile in base
allo statuto di autonomia; l’art. 60 dà infatti alla regione la
competenza di regolamentare referendum e proposte di legge popolari. Ma,
ripeto, questa è un’opportunità data soltanto alle regioni
con statuto autonomo. Qui, comunque, la legge regionale che prevede il
nuovo ordinamento degli statuti comunali, con la possibilità della
delibera civica a livello comunale, è stata introdotta soltanto
nel ‘93 e soltanto in forma opzionale. Quindi il comune può decidere
se prevedere la delibera civica, però non è costretto a farlo
e, qualora preveda la delibera civica, questa può anche non essere
vincolante per il consiglio comunale, ma semplicemente consultiva. Invece,
essendo questi statuti una sorta di costituzione per i comuni, i cittadini
avrebbero almeno dovuto avere la possibilità di modificare lo statuto
in base alle proprie convinzioni ed esigenze.
Tu hai studiato, in particolare, l’introduzione di forme di democrazia
diretta in Baviera...
In Baviera, nel ‘95, è avvenuta una votazione popolare che ha
portato all’introduzione della delibera civica a livello comunale. Questo
è stato possibile in base a una specifica disposizione contenuta
nella costituzione bavarese che, appunto, a differenza di quella di tutti
gli altri länder tedeschi, prevede l’iniziativa legislativa popolare,
anche se con soglie molto alte di accessibilità allo strumento.
In pratica i cittadini possono presentare un disegno di legge e poi arrivare
a una consultazione popolare, ed è questo lo strumento che è
stato utilizzato per introdurre la delibera civica a livello comunale.
Questa specificità della Baviera si spiega col fatto che Hoegner,
primo ministro della Baviera nel secondo dopoguerra, nel periodo nazionalsocialista
era stato in esilio in Svizzera e lì aveva conosciuto la democrazia
diretta. Convinto dell’efficacia di questa forma di democrazia aveva fatto
in modo che questo strumento venisse introdotto anche nella costituzione
varata in Baviera subito dopo la seconda guerra mondiale.
La soglia di attuazione di tale disposizione, come dicevo, è
però pazzesca. Per presentare un disegno di legge sono necessarie,
su una popolazione di 10 milioni, 25.000 firme e una volta presentato il
disegno di legge è la Corte Costituzionale a valutare se la richiesta
è valida o meno. Se viene ritenuta valida, i cittadini devono sostenere
ancora una volta la richiesta di votazione popolare, raccogliendo in due
settimane l'appoggio del 10% degli aventi diritto al voto, che in Baviera
equivale a 870.000 persone.
Nonostante questi impedimenti, però, attraverso un’azione civica
i promotori sono riusciti a costruire una rete di promozione della democrazia
diretta in tutta la Baviera, con migliaia di persone attive a livello comunale
e circondariale, e sono stati in grado di coinvolgere la popolazione a
un punto tale che è stato possibile raccogliere in quel breve arco
di tempo addirittura il 13% degli appoggi. In due settimane sono infatti
arrivati a un milione e 200 firme, e questa è stata la premessa
per portare quel disegno di legge alla votazione popolare.
Nel frattempo c’era stata una controproposta da parte della Dieta bavarese,
in primo luogo dalla Csu, che prevedeva anch’essa l’introduzione della
delibera civica comunale, ma con un quorum di partecipazione e di consenso,
ancora più alto e con difficoltà maggiori nella raccolta
firme. Insomma, era facile intuire che non volevano che questa possibilità
venisse poi utilizzata. Tutti e due i disegni di legge sono comunque stati
portati alla votazione popolare, che c'è stata il 1 ottobre '95,
con una partecipazione del 37% degli aventi diritti al voto. Con quella
percentuale in Italia il referendum non sarebbe stato valido, invece là
il problema del quorum non esiste: vince la maggioranza di coloro che vanno
a votare a dispetto della quota partecipativa. La proposta dell’azione
civica ha avuto la meglio su quella della Csu, col 63% contro il 34%; e
soltanto il 3% non ha voluto saper niente né dell’una né
dell’altra proposta. Da allora la delibera civica a livello comunale è
entrata in vigore.
La Baviera, dunque, ha ormai una triennale esperienza ed è quindi
un osservatorio molto interessante per capire che uso fanno i cittadini
di questo strumento. Infatti, l’iniziativa per più democrazia tedesca,
il corrispettivo della nostra, ha seguito fin dall’inizio l’attuazione
di questo strumento, rilevando, per esempio, che i cittadini sono più
inclini a risparmiare dei propri rappresentanti. All’inizio dare ai cittadini
questa possibilità, ossia di poter decidere addirittura sulle imposte,
è stato oggetto di varie critiche: “Ma, come è possibile?
Così, si rischia di scardinare i bilanci!”, ed invece i cittadini
hanno risparmiato circa 30 miliardi di marchi.
Tra l’altro, sempre in tema di risparmio, l’ultimo atto impressionante,
frutto dell’iniziativa legislativa popolare, è stata una votazione
popolare con la quale i bavaresi hanno abolito il Senato della Baviera.
Questo può forse suscitare qualche perplessità sulla validità
dello strumento, ma in realtà il Senato era un unicum nel paesaggio
politico-istituzionale della Germania, esisteva soltanto in Baviera ed
era un organismo con poca incisività sulla produzione di leggi.
L’istituzione decisiva è la Dieta bavarese mentre il Senato era
più che altro una zona di parcheggio per vecchi politici, e per
qualche personalità di organismi importanti, che venivano appunto
parcheggiati lì con una buona paga.
C’era stata comunque una lunga discussione, anche a livello di partiti,
sull’abolizione o meno del senato, ma, a causa della Csu, non si era arrivati
all’abolizione e così ad abolirlo sono stati poi i cittadini con
questo strumento.
Quali sono le tematiche che stanno più a cuore ai cittadini?
Gli argomenti sui quali c’è stata più richiesta di votazione,
di espressione della propria libertà, riguardano il traffico, le
infrastrutture, i progetti edili e in generale la pianificazione urbanistica.
Comunque non ci sono limiti per ciò che può essere sottoposto
alla decisione popolare.
A livello comunale, per esempio, la cittadinanza può decidere
su tutto ciò su cui ha facoltà di decidere il Consiglio comunale,
quindi anche sul bilancio, sui piani urbanistici e così via.
Noi abbiamo anche cercato di capire se la delibera civica viene utilizzata
o meno a favore dell’ambiente e abbiamo verificato che in qualche modo
le decisioni popolari bilanciano le decisioni di volta in volta a favore
o contro l’ambiente. Non c’è quindi una tendenza unilaterale, se
si tiene però conto che con questo strumento è stato possibile
respingere dei progetti o delle decisioni comunali a sfavore dell’ambiente,
allora, in fin dei conti, può ritenersi vantaggioso per una politica
ambientalista. Per quanto riguarda, in cifre, l’utilizzo di questo strumento,
va notato che nel corso di questi 3 anni ci sono state 360 delibere civiche,
che è un numero sicuramente ragguardevole.
La cosa forse più interessante e imprevista è che molto
spesso non si deve arrivare fino alla delibera con l’iniziativa civica,
perché il solo fatto che esista questo strumento già modifica
la politica: i politici sanno che se prendono decisioni non volute dai
cittadini, questi ultimi prenderanno provvedimenti. Quando infatti i cittadini
stanno prendendo l’iniziativa a favore o contro un certo progetto, spesso
si trovano degli accordi anche prima di arrivare alla votazione popolare
e la rappresentanza politica si ritira o modifica la propria decisione.
Questo strumento, perciò, ha già una funzione, un potere
di cambiamento della politica istituzionale, per il solo fatto di esistere.
Su questo abbiamo un esempio anche qui da noi, dove la delibera civica
a discrezione del Consiglio comunale è stata introdotta in 114 comuni
su 116 (in realtà in Alto Adige è prevista la delibera civica
anche nella forma vincolante).
Nel comune di Caldaro, dove il Consiglio comunale e la giunta avevano
espresso l’intenzione di realizzare un parcheggio sotterraneo in zona centrale,
è stato sufficiente l’annuncio della raccolta di firme per chiedere
la delibera civica perché la cosa morisse. Questo mi sembra un elemento
decisivo per l’iniziativa legislativa popolare: i politici cominciano a
comportarsi in modo diverso se sanno che i cittadini hanno questo strumento
in mano. La prassi politica si modifica in modo abbastanza consistente.
In Italia a che punto siamo?
Mi limito a parlare della nostra iniziativa perché è quella
che conosco meglio. Come anche in altre parti d’Europa, l’iniziativa è
stata sostenuta dai partiti di opposizione e respinta dai partiti di maggioranza.
Quindi sembra che, a prescindere dalla collocazione dei vari partiti, la
cosa decisiva sia di essere all’opposizione o al governo. Noi, per esempio,
siamo stati sostenuti da partiti differenti -come Solidarietà, che
è di sinistra, e da un partito come Alleanza Nazionale, che è
al lato opposto-, ma accomunati dall'essere entrambi all’opposizione.
Mentre un partito come la Svp, che si definisce popolare, che è
votata da oltre il 50% dei cittadini, e che quindi non dovrebbe aver paura
che la volontà dei cittadini si differenzi dalla sua, non ne ha
voluto sapere ed è stata proprio la forza decisiva nel respingere
la nostra proposta di legge.
In questa situazione siamo arrivati alla trattazione nel plenum del
consiglio regionale e il disegno di legge riguardante il livello comunale
è stato respinto, mentre il disegno di legge sull’iniziativa legislativo-popolare,
ossia sull’introduzione del referendum deliberativo, per un voto a favore,
è stato accettato .
Ovviamente la cosa non era finita lì, perché è
il governo italiano che deve porre il sigillo su una legge varata a livello
regionale. Due mesi dopo, infatti, abbiamo avuto la notizia che il disegno
di legge era stato respinto con la motivazione, abbastanza debole, che
la costituzione italiana non prevede -loro addirittura hanno detto “esclude”,
ma non è vero- il referendum deliberativo. Questo rifiuto si attaccava
al fatto che nello statuto di autonomia la dizione era troppo generica,
parlava soltanto della facoltà della regione di fare leggi sul referendum
senza specificare se si trattasse appunto di referendum deliberativo o
abrogativo. Per cui il governo ha negato al consiglio regionale la competenza
a deliberare una legge che prevede l’introduzione del referendum deliberativo.
Anche nella seconda trattazione, nonostante avessimo presentato un disegno
di legge che prevedeva una forma compatibile con la costituzione attuale,
la legge è stata ugualmente respinta. Quella legislatura è
finita nel novembre scorso, ma noi abbiamo tutte le intenzioni di andare
avanti, anche se a questo punto la situazione è piuttosto complessa
e delicata, perché si dovrebbe operare a più livelli, di
statuto di autonomia, di costituzione...
In questa nuova legislatura, comunque, si aprirà per la prima
volta una discussione sulla riforma dello statuto di autonomia e tenteremo
di mobilitare la popolazione affinché si rafforzi e promuova quell’autonomia
provinciale e regionale, che qui è forte ed è una cosa unica,
in direzione di un’autonomia civica.
Fino ad oggi, tutta l’autonomia che i politici sono riusciti in realtà
a costruire consiste nell’aver portato a livello regionale, e soprattutto
provinciale, competenze originariamente statali, però quella competenza
è limitata al blocco istituzionale.
Non si è voluto, non si è pensato, di trasferire qualcosa
di questa autonomia direttamente sul livello civico e così la sovranità
popolare finisce nella sovranità delle istituzioni rappresentative.
Il nostro intento sarebbe invece quello di rivendicare in questa legislatura
l’autonomia civica, soprattutto nella forma delle autonomie comunali. Allo
stato attuale, l’autonomia dei comuni in Alto Adige è limitata innanzitutto
per quanto riguarda l’autonomia territoriale: la Provincia, per esempio,
ha la facoltà di modificare d’ufficio i piani urbanistici, può
fare ciò che vuole su un territorio comunale, a prescindere dalla
volontà comunale e dai preesistenti progetti.
L’autonomia dei comuni, poi, è limitata anche perché
non possono disporre di sufficienti risorse finanziarie per il loro bilancio:
per l’80% dei bilanci i comuni sono dipendenti dalla giunta provinciale,
se vogliono realizzare qualcosa devono prima andare dall’assessore competente,
che in base alla legge provinciale può dare i soldi o meno; soltanto
per il 20% del bilancio i comuni possono decidere autonomamente cosa fare.
Per questo che vogliamo portare avanti un pacchetto teso a dare più
peso politico, più sovranità, più autonomia ai cittadini.
La vittoria dei cittadini in Baviera ha fatto sì che anche in
altri länder si siano attuate delle iniziative simili, soprattutto
tendenti a ridurre numericamente le soglie poste per l’utilizzo degli strumenti.
L’iniziativa bavarese va soprattutto verso l’introduzione dell’iniziativa
legislativa popolare a livello statale, della federazione, che adesso prevede,
come da noi in Italia, solo il referendum abrogativo. Con la nuova coalizione
rosso-verde in Germania forse i tempi si stanno abbreviando; sotto Kohl
c’era una chiusura netta di fronte a un richiesta del genere. Nel documento
di coalizione è stato infatti messo un punto che riguarda specificamente
l'introduzione dell’iniziativa legislativa popolare; questo punto, però,
non dà ancora garanzie che lo strumento venga previsto in modo accessibile
al cittadino.
Per questo l’iniziativa continua, mobilitando i cittadini a favore
di una democrazia intesa in forma partecipativa, integrativa, diretta.
Noi cerchiamo di fare da ponte con l’Italia, ma ho la sensazione che, a
differenza dei paesi nordici, in Italia sia molto più considerata
l’idea della rappresentanza che non quella della democrazia diretta.
Quando si parla di democrazia diretta si citano la Svizzera, la Germania,
e in generale il Nordeuropa, ma quanto conta la collocazione geografica?
In effetti sembra che conti. Ci sono alcuni autori che attribuiscono
la maggiore disponibilità verso la democrazia diretta alla religione
vigente nei vari paesi, e soprattutto al fatto che le Chiese protestanti
non intendono la Chiesa come frapposta tra Dio e la popolazione. Il protestantesimo,
infatti, parte dal presupposto che il singolo, uomo o donna, ha la possibilità
di comunicare direttamente con l’entità assoluta senza mediazione.
Mentre il cattolicesimo pensa proprio l’opposto: gli esseri umani hanno
bisogno della Chiesa come tramite verso l’assoluto. Tutto questo ha una
corrispondenza nell’idea di rappresentanza politica: i cittadini, il popolo,
non sono in grado di gestirsi le proprie sorti. Ci sono i pochi eletti,
gli uomini e le donne di facoltà, che riescono a interpretare e
a sapere, a mediare la volontà del cittadino e a dettare poi legge.
Questa è sicuramente un’interpretazione interessante, anche
se non esaustiva, perché ci si potrebbe allora chiedere come mai
il cattolicesimo si è radicato proprio in Italia, in Spagna, nei
paesi meridionali... Insomma, non è una spiegazione del tutto soddisfacente.
Questa differenza è comunque un dato di fatto. Per quanto riguarda
il caso Svizzera, Andreas Gross ha, secondo me, una spiegazione valida:
gli unici stati al mondo ad aver introdotto e realizzato la democrazia
diretta sono la Svizzera e gli Usa, i quali non l’hanno introdotta a livello
federale, ma a livello di 23 singoli stati. Questi due stati si distinguono
per il fatto che prima dell’introduzione della democrazia diretta non hanno
conosciuto la monarchia. E la monarchia è stata sicuramente una
forma statuale che ha costruito dei sudditi, che non ha permesso che si
sviluppasse nei cittadini una coscienza della propria libertà e
autonomia.
Gli Usa, poi, forse rispecchiano anche il carattere dei pionieri: gente
libera, che andava a costruirsi la propria realtà e che istituiva
dal basso le proprie autorità senza la presenza di un feudo, o di
una famiglia di monarchi, a tutelare la popolazione e nel contempo decidere
quanto doveva essere concesso o negato. In Svizzera la pratica di riunirsi
in piazza e votare sulle questioni importanti è esistita fin dai
tempi antichi, anche se allora il voto era palese, era una democrazia che
non conosceva il voto segreto.
Comunque, il dato determinante mi sembra sia che in questi due stati
non esistevano -come esistevano invece in Francia, dove l’autoritarismo
monarchico era molto sviluppato- quegli apparati autoritari che in altri
paesi hanno fatto sì che i cittadini fossero portati in qualche
modo a delegare la propria competenza, la propria responsabilità.
Nella dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, uscita dalla
Rivoluzione francese, è stata per la prima volta introdotta l’idea
che deve essere il cittadino stesso a dettarsi la legge e che comunque
non debba esistere legge che il cittadino non abbia contribuito a formulare.
Questo stava scritto nella dichiarazione, poi, però, l’andamento
della democrazia ha preso altre vie, il potere è stato preso in
mano da piccoli ceti della popolazione che se lo sono gestito nella direzione
della democrazia parlamentare.
Oggi qual è la tendenza in corso?
Io credo che oggi ci troviamo davanti alla possibilità, che è
anche una sfida, di fare un passo decisivo verso una reale autonomia dei
cittadini e non parlo solo di quelli dell’Europa o dell’Occidente: poco
tempo fa ho letto che in Brasile ci sono città dove sono i cittadini
stessi a farsi il bilancio comunale. Questa tendenza si può scorgere
probabilmente un po’ in tutto il mondo, soprattutto nell’ambito dei movimenti
di liberazione, anche per il solo fatto che questi popoli stanno cercando
di emanciparsi da poteri loro estranei.
Da noi, invece, dove quei problemi non esistono più, si tratta
appunto di realizzare la libertà del singolo cittadino. Purtroppo,
in Italia non esiste ancora l’idea di una cittadinanza libera, autonoma,
contraddistinta dalla facoltà di agire indipendentemente, per esempio
dai partiti politici. Questa possibilità, secondo me, sarebbe l’unica
vera risposta istituzionale alla situazione ingarbugliata di questo periodo
ed è per questo che mi sembra importante parlare di queste esperienze,
di luoghi non molto distanti dove già vige tutta un’altra idea di
politica e di democrazia.
Per vivere, la democrazia ha bisogno dei cittadini, non può
essere gestita in modo distaccato, come avviene adesso da parte di istituzioni
e rappresentanze.
Il pericolo è che la democrazia cada in discredito per come
viene gestita dalle istituzioni e che venga solo la voglia di cestinarla,
come sistema che funziona malamente. Ma così come vige adesso, la
democrazia semplicemente non è compiuta, va sviluppata ulteriormente,
e sicuramente in direzione dell’autodeterminazione dei cittadini.
Hai presente altre situazioni in cui si sta muovendo qualcosa?
Ci sono gli stati dell’Est, gli stati Baltici, che dopo l’abbattimento
della cortina di ferro hanno introdotto lo strumento della legislazione
popolare. C’è il Portogallo, dove i cittadini hanno acquisito la
facoltà di decidere addirittura rispetto a modifiche da apportare
alla propria costituzione e iniziative simili sono in atto anche nei Paesi
Bassi. In Danimarca e in Svezia, poi, sono stati i cittadini a decidere
se far parte o meno della Comunità Europea, cosa che in Italia non
è avvenuta. Qui da noi l’argomento generalmente preferito contro
l’introduzione di forme di democrazia diretta è: “Ma da noi la popolazione
non è matura per utilizzare questo strumento in modo saggio. In
Svizzera c’è tutta un’altra cultura che giustifica l’esistenza di
questi strumenti...”.
In realtà non si può far dipendere l’introduzione di
questi strumenti dalla valutazione della maturità della popolazione,
perché la crescita culturale avviene anche attraverso questi strumenti.
Non credo che cent'anni fa, in Svizzera, si potesse parlare di una popolazione
più matura di quella italiana attuale.
Resta il fatto che questo strumento sono sempre stati i cittadini stessi
a darselo; non è mai stato concesso dall’alto, ha dovuto essere
conquistato dai cittadini stessi. E una volta ottenuto, ha contribuito
allo sviluppo di un’altra cultura e maturità. Insomma, noi diamo
ai cittadini la responsabilità di decidere sulle proprie sorti affinché
si sviluppi anche un senso civico diverso e una cultura politica veramente
democratica.
Esiste un problema di limiti da porre all’ambito delle decisioni
che possono essere prese con iniziative popolari?
Questa è una questione controversa perché i diritti umani,
civili, che tutelano il singolo o una minoranza, una volta acquisiti non
possono essere messi in discussione neanche attraverso strumenti di democrazia
diretta.
Questo a livello teorico, ma se vogliamo andare al concreto basta guardare
alla Svizzera, dove è a disposizione tutto, non ci sono limiti.
Ecco, lì la cosa funziona e anzi proprio lì si vede che i
cittadini sono sufficientemente responsabili da poter lasciare loro la
facoltà di decidere su tutto. Addirittura credo che i cittadini
svizzeri potrebbero introdurre la pena di morte o decidere di espellere
tutti gli immigrati, ma sono cose che non avvengono.
Anche le recenti iniziative che andavano a ledere i diritti delle persone
di nazionalità straniera residenti in Svizzera, ed erano finalizzate
a chiudere un po’ i confini, non hanno avuto la meglio, non sono state
accettate dalla maggioranza della popolazione. Sempre in Svizzera stanno
accadendo cose per noi veramente impensabili: adesso è in corso
un’iniziativa che mira al dimezzamento del traffico automobilistico nell’arco
di dieci anni.
Immaginiamoci in Italia un’iniziativa tesa a scrivere nella costituzione
l’obbligo per la rappresentanza di dimezzare il traffico entro 10 anni!
In Svizzera, invece, è un’iniziativa importante, che coinvolge migliaia
e migliaia di persone e che nell’anno 2001, credo, sarà portata
alla votazione popolare.
Si può benissimo pensare che non avrà la maggioranza,
però, come dicevo, tutte le attività svolte attorno a questa
iniziativa stanno già adesso producendo grandi cambiamenti, ben
oltre ciò che si sta facendo altrove, per esempio in Italia, per
risolvere questo problema.
Insomma, vere discussioni a livello pubblico, sensibilità sociale,
senso civico sono molto maggiori là dove i cittadini possono esprimersi
direttamente. |